venerdì 30 dicembre 2016

MEZZO SECOLO

Fra trentasei giorni per uno strano volere del destino festeggerò il mio cinquantesimo compleanno, 18.250 giri del pianeta Terra attorno alla sua stella.
Per una qualche ragione a me sconosciuta sono sopravvissuto a due incredibili incidenti stradali: un cappottamento multiplo in un freddo mattino domenicale sulla via Appia Antica di ritorno da una discoteca con frattura della scapola e macchina (Micra) distrutta, circa 25 anni fa, e una caduta in motocicletta (la mia amata Honda custom) sulla Roma - Napoli all'altezza di Cassino, con svenimento (mi sono svegliato in ospedale), frattura del gomito e moto distrutta (in entrambi i casi le riparazioni mi sono costate quasi come l'acquisto del nuovo), nella primavera del 2006 mentre, ironia della sorte, mi recavo a Barletta per il funerale della madre di mio cognato.
Oltre a ciò, già di per se alquanto stupefacente visto che si può perdere la vita per incidenti autostradali molto meno invasivi, molte altre volte mi sono trovato in situazioni al limite dal quale sono uscito miracolosamente senza un graffio o danni collaterali ai mezzi sui quali viaggiavo: tra i miei ricordi vive un viaggio in un area carretta a sei posti che feci da Caracas alle isole Los Roques in Venezuela alla fine del quale, dopo oltre mille chilometri di sorvolo dell'oceano praticamente in apnea (il velivolo era privo di aria condizionata, di cinture di sicurezza ed, ovviamente, di qualunque altro oggetto per un ipotetico salvataggio) atterrammo miracolosamente su di un lembo di spiaggia in quanto il presunto pilota probabilmente sbagliò la manovra di atterraggio su quella che dall'alto dei cieli appariva come una pista di atterraggio di un ipotetico scalo aeroportuale privo, tra le altre cose, di una torre di controllo; qualche anno dopo, fece notizia la morte di due persone di Ariccia, in viaggio di nozze credo di ricordare, che perirono nella caduta nell'oceano dello stesso modello di aereo (magari era il medesimo) nello stesso percorso.
Mi sono trovato molte volte a riflettere su questi accadimenti senza essere riuscito, ovviamente, a darmi una risposta convincente sul perché io sia riuscito ad uscirne vivo; resta, quindi, il fatto che il fato ha voluto che io continuassi il mio percorso, di cui ora sto raccontando alcuni episodi, che lo hanno, inevitabilmente, segnato.
Ho sempre creduto, sin dall'infanzia, che pur se apparentemente artefici del nostro destino questo, nella realtà, sia predeterminato pur non avendo alcuna idea né sul perché questo assunto mi sia sempre appartenuto né, tanto meno, sul perché io gli faccia piena professione di fede.
Mi ritengo, a torto o ragione, un essere biologico senziente e razionale, lontano da ogni deriva trascendente e spirituale, profondamente immerso nella convinzione che l'essere vivo è fine a se stesso, ovvero che essendo l'uomo perituro, per l'appunto, il meglio che può avere lo debba ricercare nel breve, o lungo a seconda dei punti di vista, periodo della sua esistenza corporea. 
Non posso però negare a me stesso che il mistero che avvolge la nostra, mia, esistenza contenga qualcosa di irrazionale che sfugge ad ogni possibile considerazione dell'intelletto; perché io sia ancora vivo nonostante quello che mi è successo, anche a causa della mia imprudenza, ed altri, che magari abbiano posto maggiore attenzione alle loro azioni, no destabilizza sempre più le mie radicate credenze su come in realtà debba essere considerata l'esistenza dell'uomo (ammesso che questa sia a tutti gli effetti la realtà fattuale).
Il quattro di febbraio 2017, quindi, dovrei festeggiare i miei cinquanta anni, ammesso che il fato voglia ciò ... nel frattempo continuerò a pormi domande di cui non avrò mai una risposta, pur se questo, e lo dico sottovoce, non è quello che in verità sono convinto che accadrà ... 

mercoledì 28 dicembre 2016

MAINFRAME

Tutto quello che viviamo potrebbe essere in realtà virtuale, ovvero predeterminato da relazioni matematiche sviluppate in codici di programmazione inseriti in un mainframe che a sua volta li ridistribuisce in stazioni operative periferiche che a loro volta li ridistribuiscono in stazioni operative locali nelle quali la presunta realtà viene in effetti visualizzata.
Si, lo so, è la tesi sostenuta nella celeberrima trilogia di Matrix, chi non l'ha vista gli consiglio di farlo, che partendo da un punto di vista religioso, l'attesa dell'Eletto (ovvero il Messia), rappresenta un mondo che viene apparentemente vissuto tramite, appunto, l'elaborazione continua di "matrici matematiche", ma che nella realtà vede gli umani come esseri biologici coltivati da macchine al fine di usarli come fonte di energia per la loro stessa sopravvivenza.
Per quanto possa sembrare paradossale è forse però la tesi di quella che definiamo "fantascienza" che più si avvicina alla realtà, se così ci possiamo permettere di chiamarla.
Se proviamo a considerare con estrema attenzione lo sviluppo tecnologico della nostra società non possiamo non prendere atto di come le rappresentazioni di "realtà virtuali" siano sempre più presenti nel nostro quotidiano, e di come noi le stiamo sempre più metabolizzando come contigue alla realtà che crediamo tale.
Viviamo in un mondo di "immagini"riprodotte continuamente sulla tecnologia che crediamo di saper controllare in virtù del fatto che la possediamo, ma di cui, in realtà, non sappiamo nulla e che usiamo forse per l'uno per cento delle capacità che la stessa può consentire.
Compriamo sofisticati computer, che usiamo come telefoni, che possiedono più microchips dell'elaboratore che, dicono, ci ha portati sulla Luna (ho forti dubbi in proposito); esercitiamo una leggera pressione sul vetro dello schermo per "premere" una "app" (c'è un app per tutto ...) e visualizziamo immagini che accettiamo come reali per il solo fatto che queste appaiono e che se ci piacciono condividiamo con i nostri contatti facendole diventare "virali", senza chiederci se quello che vediamo appartenga effettivamente alla realtà che crediamo di conoscere.
La riproposizione di queste senza soluzione di continuità crea un mondo parallelo virtuale nel quale siamo profondamente immersi tanto da crederlo, appunto, reale, né più né meno come nella profezia celebrata nel film di presunta "fantascienza" Matrix.
La "rete" assurge così al ruolo di mainframe, convogliando quello che vuole nelle ramificazioni periferiche sino a raggiungere ogni singolo individuo dell'apparente mondo reale, proiettandolo, invece, in una realtà precostituita nella quale emergono all'improvviso figure  che assumo, per una qualche oscura ragione, ruoli di megafoni di quello che esplode successivamente come pensiero dominante sul pianeta.
Si, lo so, è fantascienza. Si, lo so, esiste il libero arbitrio. Si, lo so, possiamo sempre tenerla spenta la nostra stazione periferica. Si, lo so, ma lo facciamo? ...



martedì 27 dicembre 2016

L'ARROGANZA DELL'INETTITUDINE

Quella che mi appresto a fare è un'amara considerazione sulle conseguenze dell'assunzione di potere da parte di persone che tutto dovrebbero avere ricevuto dalla vita tranne assurgere a ruoli istituzionali nel nostro apparente sistema democratico.
Prima di ricevere, per una qualche oscura ragione, una qualunque investitura popolare queste persone conducono le proprie campagne elettorali sulla presunta inettitudine di chi anelano a sostituire, puntando il dito sui ripetuti errori, tralasciamo per quieto vivere le accuse di disonestà su cui si fondano oramai tutti i variopinti programmi elettorali che prorompono dai vari partiti e/o organizzazioni che compongono il nostro sistema politico, che questi avrebbero commesso nel corso della durata dell'incarico ricevuto.
Ricevuto quanto richiesto dall'elettore i presunti novelli dioscuri di quella che è stata definita, a torto o ragione, una scienza ovvero la politica, non fanno altro che sostituirsi ai precedessori cercando di imporre in tutti modi consentiti la "propria" idea del concetto di amministrazione, fregandosene di cercare la necessaria condivisione delle magnifiche idee che partoriscono negli anfratti delle loro diaboliche menti.
Quello che poi rende tutto veramente paradossale è che quando l'inettitudine a ricoprire l'incarico ricevuto per grazia si palesa inequivocabilmente, queste persone trovano rifugio nell'arroganza dell'imposizione al popolo bue delle loro presunte magnifiche idee.
L'altra assurdità che si manifesta ciclicamente, poi, per difendere il proprio indifendibile operato è la scusa della ferrea opposizione al presunto rinnovamento dei così detti "poteri forti" che trascorrerebbero, a loro parere, il tempo a cercare di denigrare quanto di buono questi novelli dioscuri della politica italiana starebbero tentando di fare.
Non, quindi, una severa autocritica sulle proposte emanate accompagnata da una diffusa ricerca di consenso, ma un arroccamento sull'impossibilità di fare in quanto ostacolati dalla fantomatica, quanto potente, organizzazione dei "poteri forti", che avrebbe come compito primario quello di ostacolare chiunque cerchi di deviare da un certo percorso prestabilito.
Una nazione non può crescere culturalmente basandosi su questi ridicoli e pretestuosi presupposti, ovvero sulla continua ricerca di giustificazione di quanto chi è stato incaricato per investitura popolare non è in grado di fare per deficienze di conoscenze e, sopratutto, di personalità.
Una classe dirigente solida non si crea dal nulla e, soprattutto, non parla al popolo con "slogan pubblicitari" indegni a certi livelli; non postula il futuro di una società procedendo a tentoni, e, soprattutto, non crede di avere certezze sul quanto si appresta a fare ma, bensì, spera che quanto sta cercando di proporre produca risultati in un futuro prossimo.
Una classe dirigente vera non è arrogante perché sa bene che è proprio nell'arroganza che può decadere da essere tale, in quanto considerare un popolo "bue" non ti rende più forte ma molto, molto fragile.
Ho avuto la fortuna di conoscere persone molto importanti ed quello che ho potuto constatare è che tutte queste sono molto umili pur possedendo straordinarie capacità intellettive, e questa è una cosa di cui ho fatto tesoro ed è anche la spiegazione che mi sono dato per gli arroganti che popolano il sistema politico italiano ... 


giovedì 22 dicembre 2016

IL GORMITA SENZA NOME

Nell'epico scontro che vide contrapposti Leander e Drakonius un anonimo Gormita recitò un ruolo che si rivelò, infine, decisivo, seppur questi non fu mai menzionato nell'epopea del misterioso popolo che visse sull'isola di Gorm.
"Il Gormita senza nome" non possedeva alcuna speciale qualità, né era dotato di una particolare intelligenza, aveva fama, oltretutto, di essere un pavido e protendere sempre e comunque per soluzioni accomodanti; evitava, fin dove gli fosse possibile, di prendere posizione su questo o quello.
Viveva isolato, per quanto gli fosse concesso, e cercava in ogni modo di passare inosservato, trastullandosi nel suo pacifico approccio alle cose della vita, scevro da elucubrazioni filosofiche, religiosi e politiche, attività di cui non riteneva essere degno.
Nel susseguirsi degli eventi lui cercò, riuscendovi, di restare in disparte, come spettatore non pagante mentre il suo popolo combatteva l'eterna battaglia fra bene e male, la quale nel momento che il suo intervento si rivelò decisivo, vedeva alla guida della contrapposte fazioni Il Sommo Luminiscente ed Obscurio.
Passeggiando indisturbato in una zona remota dell'isola di Gorm incontrò per caso il Vecchio Saggio, che seduto all'ingresso di una oscura caverna meditava su cosa fosse possibile fare affinché il bene prevalesse sul male in via definitiva.
Il Vecchio Saggio, preso dai suoi alti pensieri, non lo degnò neanche di uno sguardo, cosa che lasciò completamente indifferente il Gormita senza nome, in quanto aveva fatto l'abitudine ad essere ignorato dal suo popolo; si avvicinò comunque al Vecchio Saggio chiedendogli cosa stesse facendo lì, lontano dall'epicentro della battaglia che vedeva, al momento, il bene soccombente alla furia del male.
Il Vecchio Saggio, infastidito dalla sua presenza, non rispose. Il Gormita senza nome, non affatto sorpreso dalla sua reazione, riprese così la sua passeggiata; fece alcuni passi per allontanarsi, poi, ripensandoci, tornò indietro.
Ripeté la domanda usando un tono più deciso, quasi di sfida, sorprendendosi egli stesso per l'autorità che aveva inferto alla sua espressione più di quanto ne fu sorpreso il Vecchio Saggio.
Ci fu un lungo momento di silenzio, che fu rotto dalla sincera ammissione del Vecchio Saggio di non avere idea di quale strada intraprendere per ribaltare la situazione che appariva alquanto compromessa.
Il Gormita senza nome ascoltò quanto il Vecchio Saggio ebbe a dire, poi sorrise e gli disse di affidare gli Occhi della Vita al dinosauro Razzle e di farli portare sulla terra; ci fu ancora un momento di silenzio, poi Il Gormita senza nome salutò e riprese il suo cammino.
Il Vecchio Saggio comprese all'istante le potenzialità della proposta ricevuta e decise di attuarla senza remore, cosa che comportò, alla fine, la vittoria del bene sul male.
Nel momento dei festeggiamenti per la vittoria il Vecchio Saggio cercò ripetutamente il Gormita senza nome, ma non riuscì più a trovarlo e così il merito dell'idea fu ascritto per sempre al suo nome, come oggi è noto nei racconti sull'epopea dei gormiti ...








mercoledì 21 dicembre 2016

ACCATTETEVILLE

C'è qualcosa di perverso che permea il nostro parametro di valutazione riguardo alle capacità individuali di chi opera nelle istituzioni, alieno e indifferente alla necessaria astrazione dalla provenienza politica della persona stimata.
I giudizi, così drogati, risultano del tutto inaccettabili in quanto carenti della dovuta serenità nella valutazione di quanto ci si appresta a commentare; se continuiamo ad arrocarci su posizioni precostituite non sarà mai possibile un confronto costruttivo su quello che occorrerebbe fare e sul come procedere una volta stabilito l'obiettivo da raggiungere.
Un'idea dovrebbe essere valutata in quanto tale e non in base alla fonte di provenienza, che non può mai essere considerata aprioristicamente detentrice del sommo sapere in quanto scelta individualmente.
Se non riconsideriamo il nostro approccio al bene comune ed alla sua amministrazione continueremo ad essere sommersi da polemiche continue senza soluzione di continuità, dovute non alla necessaria discussione di quanto proposto ma alla fonte della proposizione, che rappresenta, inequivocabilmente, lo scoglio culturale più arduo da valicare.
La dicotomia destra/sinistra, seppur sepolta dagli eventi storici che si sono susseguiti, continua a essere la pietra miliare del metro di valutazione da adottare nel giudizio da profondere essendo assurta nel nostro Paese al livello dell'eterno scontro teologico fra bene e male.
Seppur con interpreti e forme rappresentative nuove e diverse, nell'immaginario collettivo queste vengono, forse inconsciamente, riallineate alle ideologie imperanti nel secolo scorso, causando quello che oggi è sotto gli occhi di tutti.
Il sistema partitocratico è divenuto obsoleto, questo dovrebbe essere chiaro seppur non lo è, e l'esplosione del movimento 5 stelle come associazione politica, oltre tutto vietato dalla Carta Costituzionale, rappresenta l'emblema delle tesi che sto cercando di esporre.
Libere associazioni di cittadini sono già state costituite a vari livelli da molto tempo, qualcuna per necessità si è poi trasformata in partito (Lega Nord), altre sono restate nel limbo indefinito nel quale le pone, appunto, la Costituzione ma tutte stanno li a testimoniare l'inadeguatezza del sistema politico italiano fondato sui partiti.
Quello che occorrerebbe, ora, è la necessaria e dovuta regolarizzazione costituzionale di queste associazioni al fine di reindirizzare il sistema istituzionale regolatore della vita pubblica.
Se non si prende coscienza di ciò nel futuro sarà sempre più difficile eleggere governi stabili che possano attuare un programma teso a mantenere l'Italia nel livello del contesto mondiale nel quale oggi si trova.
Se non si trova il coraggio di rompere il muro e passargli attraverso, che ve devo dì ... questo c'è ... accattateville ....


martedì 20 dicembre 2016

L'ANACORETA

E' possibile nell'invasiva attuale società occidentale praticare un anacoresi che possa definirsi tale?  Ovvero, è possibile vivere ponendosi fisicamente al di fuori della stessa?
Da un punto di vista strettamente pratico certamente no, il bisogno di produrre un minimo di reddito che possa permetterti di vivere non può consentirtelo, quindi se ci atteniamo pedissequamente al significato etimologico del termine, ovvero "ritirarsi in un luogo solitario", appare completamente fuori luogo il suo utilizzo per definire una situazione di distacco dalla realtà fattuale nella quale viviamo.
Se però riconduciamo, estendiamo, tale concetto al ridurre al "minimo indispensabile le relazioni sociali", il termine potrebbe essere usato per l'esperimento che sto cercando di attuare da qualche tempo.
Quello sto tentando di fare può apparire come la follia degenerativa di una mente malata, è forse in parte lo è, ma l'idea mi si è insinuata dentro tempo addietro e dopo vari tentativi falliti credo di aver finalmente trovato la convinzione per attuarla.
Non potendo abbandonare il lavoro, per ovvi motivi, ho deciso di rarefare la mie frequentazioni sociali fino al minimo che mi consenta di non perdere del tutto i contatti con le persone che fanno parte da tempo della mia vita, distaccandomi, nel contempo, da tutte le attrattive che la socialità può propormi per trascorre il mio tempo libero; ho, inoltre, deciso di non utilizzare più il telefono portatile come mezzo di comunicazione, ovvero l'ho chiuso in un cassetto.
Le mie uniche apparizioni pubbliche, se così è possibile definirle, le pratico tramite questo blog e facebook, piattaforme pseudo relazionali che non possono in alcun modo sostituire un contatto fisico reale.
L'esperimento è teso a verificare la mia capacità di sopportazione di una situazione di auto esclusione da quella che definiamo vita reale, al fine di ricercare un equilibrio interiore scevro dalle interferenze esterne derivanti da obblighi sociali ai quali mi sono reso conto di dover continuamente sottostare.
Non come una fuga, quindi, da una pressione costante dovuta alla manutenzione di rapporti di varia natura, ma bensì come una necessità individuale di, appunto, benessere spirituale e contemplativo di ciò che in realtà sono.
Ovviamente ciò non interessa nessuno se non me stesso, e lo scrivo solo, ed esclusivamente, al fine di auto sostenermi in questa prova che può apparire, e forse lo è, nonsense ...




lunedì 19 dicembre 2016

IPOTESI DI POSTULATO

Se fondiamo nel concetto di "onestà" il presupposto ineludibile per una "buona condotta politica" a cosa dovrebbe sottintendere il medesimo?, ovvero quando il comportamento politico che ci apprestiamo a sindacare può definirsi tale?
E' onesto chi non prende soldi per avvantaggiare questo o quello oppure è onesto chi ricava da comportamenti condannabili dalla legge un acclarato bene comune? 
Se il fine giustifica i mezzi, e se, quindi, il politico che finisce sotto processo e viene condannato ha però ottenuto quello che aveva promesso in campagna elettorale, il giudizio del popolo deve essere necessariamente negativo?
Viceversa, se il medesimo politico facendo riferimento alla stella polare dell'onesta non ottiene ciò che il popolo ritiene ineludibile, il giudizio sul suo operato deve intendersi ugualmente necessariamente negativo?
Nel momento in cui la sovranità popolare concede ad un tizio di poter disporre della cosa pubblica affinché questo possa poter raggiungere gli obiettivi sbandierati prima delle elezioni, cosa ritiene che lo stessa debba fare per accontentare i suoi elettori?
Nel momento decisionale chi tiene l'istituzione è solo; si sarà consigliato, avrà ascoltato, avrà valutato tutte le possibili alternative ma, comunque, arriverà un momento in cui dovrà necessariamente assumere una decisione definita su quanto sta per promulgare.
Se nel vaglio delle possibilità quella che appare la più giusta in relazione alle aspettative sociali potrebbe comportare un rischio giudiziario da assumere sulla propria persona, quale sarebbe la scelta giusta da fare? Optare per una soluzione sicura ma mediocre oppure correre il rischio e protendere per quella in cui potrebbe ritrovarsi difronte ad un giudice per giustificarla?
Quante scelte che poi si sono rivelate corrette hanno avuto per presupposto un comportamento non in linea con il dettame legislativo?
Quale è il vero significato del potere politico? E può questo essere alieno alle regole prestabilite in virtù della "Ragion di Stato" che gli e propria?
La persona che ha guidato sette governi italiani, conducendola in quello che è passato alla storia come il "boom economico", giudicata in un tribunale come mandante di un omicidio, avrebbe potuto avere come attenuante, qualora ciò fosse stato vero, che la decisione sarebbe stata presa in forza dell'allora "Ragion di Stato"?
E se nel collegio giudicante ci fosse stati voi, qual'è la decisione che avreste preso in proposito? 
Il fine giustifica sempre i mezzi fino a quando produce un diffuso benessere o i mezzi non giustificano mai un fine pur se ritenuto socialmente apprezzabile?




domenica 18 dicembre 2016

IL CAPO COMICO

Che questo sia uno strano Paese è cosa nota, acclarata, ineludibile, ma quello che sta accadendo nel sistema politico italiano è qualcosa di veramente incredibile.
La sfiducia nelle istituzioni ha raggiunto livelli impensabili fino a qualche tempo fa e ciò ha comportato un disorientamento nel popolo in quanto ha eroso certezze che sembravano consolidate, causando, nel contempo, la frantumazione delle ideologie dominanti sulle quali tutto il sistema era stato edificato.
La fine della Prima Repubblica causata dallo scoperchiamento di una diffusa corruzione e lo sdegno che ne è seguito ha aperto una voragine che non si riesce più a chiudere; l'intoccabile classe dirigente politica non è stata più tale dopo "mani pulite" ed è finita costantemente nel mirino della magistratura, tanto da esserne, oramai, completamente succube.
L'ascesa politica di Silvio Berlusconi, che per primo comprese il vuoto che si era creato nel nostro sistema politico, fondatore del "partito di plastica", ha cambiato radicalmente il concetto di politica al quale gli italiani erano abituati; il famoso "discorso del predellino" ha segnato, inequivocabilmente, un tratto distintivo tra il prima ed il dopo.
L'idea che potesse nascere e proliferare un associazione politica completamente estranea ai modelli esistenti all'epoca ha prodotto una reazione a catena di cui oggi si stanno manifestando chiaramente gli effetti.
L'idea di produrre nel tempo una classe dirigente dedita all'attività politica, allevando giovani in apparenza promettenti e legati all'ideologia nella quale avrebbero costruito le loro carriere, è svanita nel momento in cui il concetto che potesse  "fare politica" chiunque ha preso piede e si è radicata nel pensiero comune.
Il modello esistente, da quel momento, è evaporato senza che ce ne fosse uno pronto a sostituirlo, creando quella diffusa incertezza di cui oggi stiamo verificando gli effetti.
Il popolo, in cerca di nuovi orientamenti, ha iniziato ad affidarsi più all'istinto che ad un ideologia creando disorientamento anche in una classe politica non all'altezza delle pretese di una nazione che sta cambiando il suo modo di pensare.
In questa mancanza di riferimenti chiari e certi un Capo Comico ha trovato il suo spazio facendo emergere un movimento teso alla salvaguardia di valori chiave predeterminati di facile presa sulla popolazione.
La costante crescita ha comportato, poi, una necessaria assunzione di responsabilità istituzionali nelle quali il predetto movimento sta muovendo i primi incerti passi, facendo assurgere l'uomo qualunque a ruoli qualche tempo addietro inaccessibili.
Quello a cui occorre porre attenzione, a mio modo di vedere le cose, sono i dogmi sui quali il Capo Comico muove le sue pedine; le rivoluzioni populiste possono essere efficaci, ma possono anche avere derive incontrollabili. 
Il senso democratico non può risiedere in un unica volontà, per sua natura. Ho sempre diffidato dell'uomo solo al comando, ed ora più che mai. Forse sono in errore a considerarlo tale, ma prestare attenzione all'evolversi dell'attuale situazione politica non può non essere preso in considerazione da parte di un popolo che voglia definirsi tale.



mercoledì 14 dicembre 2016

IL PRODOTTO "CALCIO"

(vedi anche soccer league serie A)

Rifletto oramai da molto tempo sul "prodotto calcio", offerto oramai quotidianamente dalle due pay per view che operano sul territorio nazionale, e più lo faccio tanto più me ne distacco.
La visione della partita è preceduta dalle interminabili analisi degli esperti, quasi sempre ex calciatori, che producono banalità senza soluzione di continuità oltre tutto molte volte sconfessate dall'andamento della partita.
Gli altrettanto interminabili post partita, analizzati dai medesimi esperti del pre, arricchiti, per così dire, dalle interviste ai protagonisti, ovvero calciatori e allenatori (lasciamo stare i presidenti), sono ancora più stucchevoli e surreali; se fossero mandate in onda le immagini di una partita della giornata precedente e la facessimo seguire dalle immagini del post partita di quella appena visionata ascolteremmo le medesime parole vuote e di circostanza.
Le partite poi, nonostante l'enfasi profusa dai commentatori, oramai più venditori che cronisti, la maggior parte delle volte offrono uno spettacolo desolante, in stadi quasi sempre vuoti nei quali oramai è anche proibito tifare (non riesco a capire, in proposito, come si possa vietare la libertà di espressione sancita dalla Costituzione Italiana, di gran moda in questo momento).
Esistono e sopravvivono nel nostro Paese tre quotidiani sportivi, quasi tutti interamente dedicati al calcio, e tutti i maggiori quotidiani nazionali contengono almeno due pagine di cronaca sportiva; cosa trovino da dire ogni giorno resta per me un mistero.
A Roma, ma anche in altre città italiane, ci sono poi trasmissioni radiofoniche dedicate interamente ad una squadra, che ogni giorno propongono un fiume di parole accompagnate dalle opinioni telefoniche di esperti e finanche ascoltatori, che devono essere comunque un numero elevato visto che queste trasmissioni vivono della raccolta pubblicitaria che è legata agli ascolti.
A quanto ne so, poi, seppur per pochi intimi, sussistono ancora programmi televisivi su canali locali storici che propongono fiumi di parole, magari anche immagini di repertorio, accompagnate, pensate un po, dalle opinioni dei medesimi esperti dei network nazionali e delle radio e finanche dalle telefonate degli spettatori.
Se fosse possibile sommare tutte le parole che vengono dette e scritte giornalmente sui media sul "prodotto calcio" arriveremmo, credo, a numeri a nove zeri,  che se moltiplicati per i restanti 364 giorni produrrebbero un numero mostruoso.
Se facessimo lo stesso calcolo per argomenti culturali (escludo la politica da questo discorso in quanto oramai la dialettica, una volta elitaria, è  stata ridotta ad una rissa quotidiana dalle persone che la frequentano senza avere alcun merito in proposito) cadremmo nello sconforto più totale, in quanto le parole dette e scritte sarebbero davvero poca cosa rispetto al "prodotto calcio" ed, oltretutto, dovremmo anche prendere atto che i numeri di chi le legge od ascolta potrebbero risultare statisticamente ininfluenti.
Tutto questo, a mio modesto avviso, rappresenta inequivocabilmente lo specchio di un Paese che crede di essere all'avanguardia mentre nella realtà fattuale è divorato dall'insipienza nonché da una radicata pigrizia dell'apprendimento.
Non è possibile cambiare un modello socialculturale se prima il cambiamento non sopravviene negli interpreti che dovranno poi attuarlo, e per far ciò che questo accada occorre una ferrea volontà di migliorarsi.
Credere di sapere resta il più grande difetto degli italiani e la migliore testimonianza in proposito è quanto sta producendo il movimento apparentemente rivoluzionario "5 stelle", che per una qualche oscura ragione ha in mano il cerino per accendere la miccia di un'esplosione nucleare, ma che non sfregherà mai per accenderne la fiamma perché, come ho più volte ripetuto, a dire "no" non ci vuole nulla ma per dire "potremmo fare" anziché "faremo" occorre una sensibilità sconosciuta a queste latitudini ...





lunedì 12 dicembre 2016

ARCHIVIO AKASHICO - parte seconda

Esiste veramente un archivio universale dove è depositato tutto lo scibile apprendibile? E, se si, come è possibile accedervi? La domanda, apparentemente senza risposta, trova un suo fondamento nella nostra storia evolutiva, ovvero di progresso tecnologico e di sviluppo delle capacità umane ancora oggi non completamente conosciute, quindi limitate.
Rileggendo attentamente quanto l'uomo è stato capace di creare non possiamo non notare come ci siano stati lunghi periodi di stabilità di conoscenza alternati da periodi di grande espansione della stessa, ovvero salti temporali che ci hanno condotto a dove siamo oggi.
Se prendiamo in considerazione solo gli ultimi 70 anni, ovvero dalla seconda guerra mondiale in poi, non possiamo non stupirci di quanto l'uomo è stato in grado di sviluppare come tecnologia e di come questa abbia notevolmente influenzato il nostro modo di vivere.
Se pensiamo che nel breve periodo intercorso fra la prima e la seconda guerra mondiale, nel quale era facile ipotizzare una grande stasi dello sviluppo atteso che l'europa occidentale, culla del sapere scientifico e del progresso tecnologico (la rivoluzione industriale inglese ha segnato l'inizio di una era completamente diversa da tutte le precedenti con l'imposizione di nuovi modelli scientifici, culturali e societari), era tesa alla sua completa ricostruzione, è esplosa una tecnologia di cui ancora oggi ignoriamo l'origine, quasi tutta completamente pensata e realizzata nella Germania che poi si sarebbe ritrovata sotto l'egida nazista, non possiamo non porci la domanda di partenza di questo post.
I salti evolutivi umani, andando a ritroso nel tempo, si sono concentrati tutti in periodi più o meno lunghi ovvero non sono stati lineari e progressivi; si sono alternati periodi di oscurità e periodi di luce, nei quali grandi menti hanno sostituito completamente i modelli scientifici conosciuti con altri migliori che hanno condotto a livelli di vita superiori permettendo, nel contempo, di far accedere grandi masse di persone ad un livello di conoscenza prima impensabile.
In questi periodi lucenti si sono verificati anche strane situazioni di scoperte e invenzioni simultanee, tra le quali, che citiamo solo a titolo esemplificativo, il telefono e la corrente elettrica, cosa che ci conduce di nuovo al punto di partenza, ovvero la domanda se può esistere o meno un archivio universale dove è depositata tutta la conoscenza che si sviluppa, appunto, nell'universo alimentato da forme di vita biologiche senzienti mentre scrivono il loro libro della vita.
A questo archivio, o registro akashico, potrebbe poi essere concesso l'accesso a forme di vita biologica superiori, ovvero dotate di particolari capacità intellettive (predestinati) a cui sarebbe stato assegnato un ruolo di sviluppo della forma di vita di appartenenza; gli accessi sarebbero prestabiliti in base alla metabolizzazione di quanto proposto in precedenza ovvero dell'assorbimento della razza delle novità e del sua grado di apprendimento.
Si, lo so, tutto ciò può sembrare alquanto irreale, per non dire surreale, ma le testimonianza elencate nella prima parte di questo post potrebbero condurre al ragionamento che sto proponendo in questa seconda parte, tesa esclusivamente a proporre un argomento di riflessione su ciò che in realtà siamo e di come in realtà ci sviluppiamo.
L'attuale comunità scientifica mondiale è molto in fermento sulle possibilità dell' esistenza del registro Akashico, che viene, quindi, considerato, non  da un punto di vista spirituale, ovvero immanente, ma come ipotesi reale di studio basato su criteri accettati dalla scienza ...






sabato 10 dicembre 2016

ARCHIVIO AKASHICO - parte prima


(fonte: http://www.innernet.it/larchivio-akashico-il-libro-della-vita)

Esodo 32:33

31 Mosè ritornò dal Signore e disse: "Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d'oro. 32 Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato ... E se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto!".
33 Il Signore disse a Mosè: "Io cancellerò dal mio libro colui che ha peccato contro di me". 

Rudolf Steiner (1861-1925), filosofo, pedagogista e fondatore della Società Antroposofica.

"… l’uomo è in grado di penetrare alle origini eterne delle cose che svaniscono con il tempo. In questo modo egli amplia la sua facoltà cognitiva se, per quel che riguarda la conoscenza del passato, non si limita alle evidenze esteriori. Poi egli può vedere negli eventi non percepibili ai sensi quella parte che il tempo non è in grado di distruggere. Egli passa dalla storia transitoria a quella non-transitoria. È un fatto che questa storia sia scritta in caratteri diversi rispetto a quella ordinaria. Nella gnosi e nella teosofia viene chiamata la Cronaca Akashica ... Al non iniziato, che non è ancora in grado di fare l’esperienza di un mondo spirituale separato, è facile che l’iniziato sembri un visionario, se non qualcosa di peggio. Chi ha acquisito la capacità di percepire il mondo spirituale arriva a conoscere gli eventi passati nel loro carattere eterno. Questi ultimi non stanno di fronte a lui come la morta testimonianza della storia, bensì appaiono pieni di vita. In un certo senso, ciò che è avvenuto ha luogo davanti a lui".

H. P. Blavatsky (1831-1891), mistica e fondatrice della Società Teosofica.

"Akasha è uno dei principi cosmici e un soggetto plastico, creativo nella sua natura fisica, immutabile nei suoi principi più elevati. È la quintessenza di tutte le possibili forme di energia, materiale, psichica o spirituale; inoltre, contiene in sé i germi della creazione universale, che fiorisce sotto l’impulso dello Spirito Divino".

Edgar Cayce (1877-1945), mistico cristiano e fondatore della A.R.E.

"Vedo me stesso come un piccolo punto fuori dal corpo fisico, che giace inerte davanti a me. Mi sento oppresso dall’oscurità e provo una solitudine terribile. Sono consapevole di un fascio bianco di luce. Da piccolo punto che sono, mi dirigo verso l’alto seguendo la luce, sapendo che devo seguirla, altrimenti sarò perduto. Man mano che percorro questo cammino di luce, divento gradualmente consapevole di vari livelli sopra i quali c’è movimento. Sopra il primo livello esistono forme indistinte e orribili, figure grottesche come quelle che si vedono negli incubi. Andando avanti, cominciano ad apparire da entrambi i lati figure deformi di esseri umani con alcune parti del corpo ingrandite. Di nuovo, avviene un cambiamento e divento consapevole di figure grigie incappucciate che si muovono verso il basso. Gradualmente, il loro colore si fa più chiaro. Poi, la direzione cambia e queste figure si muovono verso l’alto, mentre il colore delle loro tuniche si schiarisce rapidamente. In seguito, cominciano ad apparire da entrambi i lati profili indistinti di case, muri, alberi ecc., ma ogni cosa è priva di movimento. Andando avanti, appaiono quelle che sembrano normali città, con più luce e movimento. Quando quest’ultimo aumenta, divento consapevole dei suoni: inizialmente strepiti confusi, poi odo musiche, risate e canti di uccelli. C’è sempre più luce, i colori diventano bellissimi e si sente il suono di una musica meravigliosa. Le case restano indietro, davanti c’è solo un insieme di suoni e colori. Improvvisamente mi imbatto in un archivio. Si tratta di una sala senza muri né soffitto, ma sono consapevole di vedere un uomo anziano che mi porge un grande libro, una documentazione dell’individuo per il quale sto cercando informazioni" ... "L’archivio che l’entità stessa scrive pazientemente sopra la matassa del tempo e dello spazio. Esso viene aperto quando il sé è sintonizzato con l’infinito, e può essere letto da coloro che si stanno armonizzando con tale consapevolezza".

martedì 6 dicembre 2016

POST SCRIPTUM - "NO"

Cosa porta con se il "NO" decretato dal popolo sovrano alla presunta riforma costituzionale che è stata proposta e sbandierata come ineludibile?
Non è facile di sicuro una analisi certa degli effetti collaterali che si dipaneranno dalla bocciatura emersa dal referendum, in primis  in quanto l'elettore italiano è volubile per natura, ovvero molto di quello che produce nelle urne è dettato nella grande maggioranza delle volte dalla spinta emotiva della situazione storica che vive.
Poi, quasi mai l'aggregazione politica sui temi referendari può essere replicata nelle votazioni politiche, o amministrative, in quanto le ragioni che muovono queste alleanze vivono solo ed esclusivamente in ragione del momento, ovvero della convenienza che sembra emergere nell'appoggiare una tesi piuttosto che un'altra.
Inoltre, la situazione economica europea, riflessa in quella mondiale, incide profondamente nelle politiche degli stati moderni, influenzandone, in ragione degli scopi, la formazione dei governi in virtù della possibilità di ricatto, più o meno velata, che possiede in ragione della probabilità di effettuare investimenti e creare, di concerto, occupazione, temi dominanti, oramai, di tutti gli indirizzi socio politici delle sovranità nazionali (e sovranazionali).
Tutto quello che verrà detto, in proposito, sarà, per forza di cose, molto aleatorio e condizionato, per l'appunto, dagli scopi che verranno proposti da chi in possesso della forza economica per farlo.
Ragionare sulle percentuali virtuali in possesso di questo e di quello appare, in conseguenza, un gioco sterile fine a se stesso, buono per occupare spazio sui media che, nonostante tutto, veicolano ancora oggi l'informazione verso quello che l'editore, non più puro ovvero con lo scopo di fornire solo ed esclusivamente informazione tout court, ritiene utile in relazione della causa da sostenere.
Ritengo, comunque, che qualcosa sia emerso dalla votazione del quattro dicembre, al di là di quanto è risultato dalle urne, perché reca con se, a mio avviso, un messaggio nuovo che non è possibile sottovalutare, ovvero la necessità di un ampio consenso condiviso nelle scelte degli indirizzi che determineranno il futuro del nostro Paese.
Continuare a considerare ininfluente il pensiero sociale reale credendo di possedere una verità assoluta non è più accettato in quanto tale; ignorarlo conduce solo a nuove fratture che presto diverranno insanabili. 
Il sistema politico così come è attualmente strutturato è inadeguato ad affrontare le nuove sfide che il futuro ci proporrà senza soluzione di continuità, e la vera riforma da affrontare dovrà essere, per forza di cose, quella per sostituire l'odierno modello cui si fa riferimento.
Le dicotomie ideologiche che ancora sussistono nel nostro Paese appaiono, allo stato attuale, dinosauri preistorici inconciliabili con le necessità della moderna società "liquida" (Zygmunt Bauman docet) che viviamo, disancorata dai blocchi di pensiero che hanno regolato il secolo scorso; non comprenderlo sarebbe l' errore più grave che si possa commettere.
Come un errore altrettanto imperdonabile, se non maggiore, sarebbe quello di cercare, o aspettare, un messia in grado di rivoluzionare questo modello desueto ed inefficace; l'aggregazione attorno ad una figura simbolo è essa stessa un retaggio culturale antiquato di acclarata minorità e sottomissione che conduce, inequivocabilmente, all'annientamento del libero pensiero per il mantenimento di status quo acquisiti.

mercoledì 30 novembre 2016

ORA PRO NOBIS

Sancta Maria, mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae. Amen ... 

Oggi mi sono svegliato con in testa le parole di chiusura della preghiera con la quale i cattolici si rivolgono alla vergine Maria, in latino, e non nella versione in italiano, seppur io le disconoscessi totalmente.
La cosa mi è apparsa talmente strana che dopo il caffè mi sono preso la briga di controllare se fossero quelle esatte, e con mia grande sorpresa ho preso atto che lo erano; uscito per andare al lavoro i miei pensieri sono rimasti ancorati alla locuzione ora pro nobis, nel vano tentativo di comprendere il motivo di come ci fosse entrata e perché.
Assorbito poi dalla routine quotidiana, la cosa era sembrata scivolata via, ma nel momento in cui sono entrato in macchina per tornare a casa quelle parole sono tornate prepotentemente a circolare nella mia testa, inoculandomi uno strano senso di ansia nonché una notevole agitazione, pur in assenza di una motivazione seppur apparente.
Arrivato a destinazione ho deciso di fare due passi per acquietare i miei sensi scossi dal perpetuarsi della riproposizione di questa locuzione latina, che circolava nella mia testa come in un loop senza soluzione di continuità.
Passeggiando senza meta sotto casa ho iniziato a pormi delle domande alle quali non avevo, per ovvi motivi, alcuna risposta da dare ammesso che ce ne fosse una; poi, nel frullare le varie idiozie che prorompevano dalle mie acide elucubrazioni, mi è tornata in mente una frase che ho pronunciato parlando con una mia collega molto devota nonché assidua praticante dei riti cattolici.
Facendomi gli auguri per il mio onomastico, oggi è sant'Andrea, è rimasta totalmente sorpresa dalla mia risposta: pur ringraziandola, le ho detto che a me questa celebrazione appare assurda, come assurdo mi appare festeggiare la data di nascita. Ho infine anche aggiunto che un vero cattolico dovrebbe festeggiare la morte, in quanto le permette di ricongiungersi con il Dio a cui è devoto.
Al momento non avevo dato importanza a quello che avevo detto, infatti ne abbiamo riso abbondantemente, ma nel momento in cui è tornato a galla e per una qualche ragione l'ho collegato al risveglio, il tutto mi è apparso chiaro ed ineludibile.
Non sono un credente, né, tanto meno, un praticante di riti cattolici ortodossi; il mio pensiero sulla religione l'ho esternato più volte in post su questo blog e non ha nulla a vedere con la trascendenza.
Le parole che ho scritto sopra, cui mai ho dato rilievo, all'improvviso hanno preso luce e potenza pur non comprendendo ancora, mentre scrivo, il motivo per il quale ciò sia avvenuto.
Forse un giorno anche questo mi sarà chiaro; quello che mi resta di tutto ciò e che ora, pur volendo, quanto è accaduto non mi è possibile ignorarlo ...




martedì 29 novembre 2016

SI O NO?

In questi ultimi giorni dell'anno il tema dominante che sta coinvolgendo a tutti i livelli la società italiana è la proposta di modifica della legge costituzionale che sarà oggetto di referendum popolare il prossimo 4 dicembre; premetto che non essendo un elettore attivo, nel senso che non mi reco a votare da oltre venti anni, non ho alcun interesse al risultato della consultazione che avverrà a breve.
Quello che mi interessa è come la questione è pubblicamente discussa, al di là degli interessi di parte che tentano di indirizzare l'elettore dove vogliono che vada.
La Costituzione, costituita da un blocco di norme suddiviso dai Padri Fondatori in due parti (Diritti e Doveri dei Cittadini e Ordinamento della Repubblica), istituisce i Principi Fondamentali sui quali è basata la nostra attuale democrazia partendo dall'assunto decretato dall'art. 1: "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione".
E' stata approvata dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre del 1947 (a breve, quindi, compirà 69 anni) e promulgata dal provvisorio capo dello stato dell'epoca Enrico De Nicola cinque giorni dopo, il 27 dicembre, data della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 298 edizione straordinaria, ed è entrata in vigore il 1° gennaio del 1948.
Ora, come tutte le leggi di cui ci siamo auto dotati, è pacifico che possa essere modificata se non interamente riscritta, in virtù di nuove esigenze che l'attuale organizzazione societaria può richiedere.
Non ha origini trascendenti, ovvero carattere immanente, non è migliore o peggiore di tutte le altre leggi costituenti esistenti, è sconosciuta alla maggior parte della popolazione italiana, e, sopratutto, è stata scritta affinché il periodo di dittatura che ha preceduto la nascita dell'attuale democrazia non possa ripresentarsi in forma legale, ovvero possa essere possibile esclusivamente tramite un'azione di forza e non  suggellato, quindi, da una votazione popolare.
Restano, dunque, parole scritte su di un foglio di carta da poche persone, che in quel determinato periodo storico si sono fatte carico di farlo, in ragione di dare un nuovo ordine ad un paese devastato dalla partecipazione alla più grande guerra mai combattuta sul pianeta; al di là del valore etico di quanto prescritto nella Legge Costituente, credo che prendere atto di ciò sia ineludibile prima o poi.
Quello che dovremmo valutare non è se modificarne una o più parti ma, bensì, se quanto indicato nella stessa abbia ancora oggi un valore imprescindibile al quale la nostra società non possa, o voglia, rinunciare.
Ho già avuto modo di scrivere come il tentativo di promulgare una Legge Costituzionale dell'Unione Europea (l'accordo di Lisbona) sia stato bloccato nei paesi nei quali l'approvazione non è stata tacita, ovvero parlamentare come nel nostro, ma sottoposta a referendum consultivo,e di come la continua cessione di sovranità alle istituzioni europee abbia già implicitamente inciso sulle regole supreme accettate nel 1947. 
La nostra società sta cambiando molto più velocemente di quanto potesse essere stato ipotizzato alla fine della seconda guerra mondiale, e l'evoluzione costante abbisogna di decisioni rapidi che l'attuale potere legislativo non può prendere in virtù dei meccanismi di approvazione cui le proposte di legge devono sottostare, appunto, in ragione delle Legge Costituente.
Credo anche che però tali decisioni debbano essere prese in forma ampiamente condivisa da un governo che abbia titolo per farlo, non quindi da quello attuale, frutto di un ignobile compromesso basato su di una ipotetica ragion di stato, che legifera in violazione della costituzione che ha proposto di modificare.
Noi scriviamo le leggi e noi possiamo cambiarle, questo non dobbiamo mai dimenticarlo. Nulla di quello che viene proposto ha origini divine in quanto prorompe da uomini e non da dei. Nulla è immutabile. Nulla, infine, può essere per sempre.
Ma nulla, direi anche, può essere proposto da chi non ha alcun diritto di farlo.



domenica 27 novembre 2016

ZENIT & NADIR


Tu sei matto ... questa è la frase che mi sono sentito dire più spesso nella vita da quasi tutte le persone con le quali ho avuto la fortuna, o la sfortuna dipende dai punti di vista, di relazionarmi con una certa frequenza, vuoi per lavoro, vuoi per amicizia, vuoi per frequentazioni di posti di aggregazione, notturni e diurni; ad un certo punto, a forza di sentirmela ripetere, ho creduto che fossi realmente un uomo dominato da impulsi irrazionali, da spunti incontrollati, da manie eccessive ed inconsuete tanto da suscitare nelle persone ilarità e compatimento.
All'inizio la cosa non mi disturbava, poi ha iniziato ad infastidirmi, poi ho iniziato a farmene una ragione finendo per accettarla in quanto tale, pur continuando a domandarmi cosa vedono le persone in me.
Ho sempre avuto una vita normale, direi: priva di phatos,  monca di eventi eccezionali, magra di eruzioni intellettuali di particolare rilevanza, orfana di atti delittuosi; eppure, per una qualche ragione che disconosco quello che faccio viene sempre vissuto come dissociativo da quella che viene generalmente considerata normalità.
Sono emotivamente instabile, questo lo riconosco,tendo all'isolamento e vivo in costanza di eccessi dell'animo, passando dal mio zenit al mio nadir in un batter di ciglia, ma tutto questo mi rende diverso?
Mi pongo questa domanda non in relazione a me stesso, ma nell'ottica di come oggi la nostra società percepisce fattualità alternative agli standard conclamati ed imperativi che la regolano, e di come la stessa li metabolizza in ragione degli stessi, stimando, così, comportamenti all'apparenza alieni al mondo che vive; non il giudizio in quanto tale, quindi, ma il metro con il quale lo stesso viene applicato.
Ho smesso da tempo di fare considerazioni di valore su ciò che le persone che frequento fanno o dicono, in quanto sono giunto alla conclusione che esternano niente altro che ciò che sono, ovvero ciò che hanno acquisito come conoscenza nello sviluppo della loro vita: sum ergo cogito, tendendo, quindi, a considerarle in un ipotetico rovesciamento del motto cartesiano.
Negli zenit e nadir delle nostre deboli esistenze, fallaci per natura e tendenti alla sopravvivenza ad ogni costo, la percezione esterna di ciò che si è è risulta, a mio parere, viziata e in molti casi priva della necessaria discrezionalità,  moderatrice della valutazione alla quale siamo incapaci di sottrarci.
Cosa sia normale o meno io non lo so, o forse non riesco a comprenderlo dal mio limitato punto di osservazione; ciò che so è che nessuno è perfetto e che è questa la grande differenza fra l'essere umano ed una macchina, che farà sempre quello che vogliamo ma non sarà mai in grado di sorprenderci ...



sabato 26 novembre 2016

WATHSAPP

L'asfalto della statale era interamente coperto dalle macchine usate dai pendolari per andare al lavoro, come tutte le mattine, le settimane, i mesi, oramai da anni.
Ilaria percorreva quella strada da dieci anni oramai, tanto che pensava che avrebbe potuto guidare fino all'azienda dove lavorava bendata.
Pioveva e questo rendeva più noioso del solito essere in quella fila infinita che non sembrava muoversi mai, come prigioniera di una sorta di incantesimo da cui sembrava impossibile evadere.
Nel mentre i suoi pensieri correvano liberi nella prateria della sua testa e lo speaker della radio continuava a proferire banalità senza soluzione di continuità, sul suo Iphone whatsapp segnalò l'arrivo di un messaggio con un gingle; Ilaria prese il telefono e lesse quanto pervenuto. Era Giovanna, che commentava la stessa identica situazione nella quale si trovava lei, solo che lo faceva dall'altra parte della città: rispose al messaggio all'istante, come reazione predeterminata da un azione.
Lo scambio di commenti continuò sino all'entrata di Giovanna al lavoro, che la salutò augurandole di arrivare prima del tramonto; Ilaria sorrise e tornò a fissare il coacervo di colori sfumati dalla pioggia e dal parabrezza inondato di pioggia che aveva di fronte e ai lati.
All'improvviso poi la fila si diradò sino a svanire, permettendole così di affondare il piede sull'acceleratore per recuperare parte del tempo perso nell'ammucchiata mattutina dei condannati al girone infernale delle statali cittadine; arrivò al suo svincolo e sospirando per il successo s'immise sulla strada di periferia che da lì a dieci chilometri l'avrebbe portata al lavoro.
Era una strada pericolosa, con la pioggia ancora di più, e buia, in quanto in parte coperta dal fogliame degli alberi che la costeggiavano, ma Ilaria la conosceva bene e la percorreva sempre con prudenza.
Si assestò sui settanta chilometri orari ed accese le luci per un ulteriore sicurezza e fece i primi due chilometri in perfetta solitudine. Poi l'Iphone segnalò un nuovo messaggio su wathsapp, Ilaria lo vide e prese il telefono, era Roberta che le chiedeva dove fosse; rispose con una certa difficoltà, in quanto alternava gli occhi fra lo schermo ed il parabrezza.
La sua amica gli recapitò subito un nuovo messaggio, Ilaria teneva ancora il telefono con la mano destra e lo lesse prontamente; la pioggia era aumentata d'intensità e fuori era ancora più buio. Una macchina proveniente in senso inverso a forte velocità le provocò un brivido mentre scriveva la risposta, in quanto la vide solo quando gli fu di fronte, facendole alzare d'istinto il piede dall'acceleratore per portarlo sul freno che sfiorò leggermente, ma tanto da far accendere le luci posteriori degli stop; non lasciò però il telefono, attendendo il messaggio successivo che le avrebbe indicato il posto dell'incontro per l'aperitivo della sera.
Il nome del locale apparse subito dopo, ma Ilaria non lo conosceva e iniziò a scrivere a Roberta di dargli l'indirizzo, nel mentre che un tir uscito probabilmente dalla sua azienda si trovava esattamente al centro della carreggiata forse per essere uscito male dalla curva precedente.
Ilaria alzò gli occhi  per guardare la strada prima di terminare l'ultima parola da scrivere e se lo trovò davanti a pochi metri dalla sua macchina; lasciò cadere il telefono per afferrare lo sterzo anche con la mano destra per avere più forza nella sterzata, che tentò in effetti, ma trovandosi con la quarta marcia innestata la macchina non reagì all'improvviso cambiamento di direzione che voleva imprimerle, e prese a scivolare verso il grande automezzo.
L'impatto fu violento, tanto da catapultarla sul sedile posteriore sommersa dai vetri del parabrezza infranto dallo scontro; si ritrovò in un silenzio improvviso senza ben comprendere cosa fosse successo.
L'Iphone le era finito accanto, proiettato anche esso dalla forza dell'impatto sul sedile posteriore; cercò di prenderlo ma non riuscì a postare il braccio, anzi si rese conto che non lo sentiva affatto.
Trascorsero alcuni minuti, poi un fiotto di sangue le proruppe dalla bocca con un violento spasmo che prima la tirò su e poi la lasciò cadere violentemente di nuovo sul sedile con la faccia proprio vicino allo schermo del telefono che continuava a lampeggiare messaggi di Roberta di cui comprese l'ultimo ,,, Ilaria What's up?
Chiuse gli occhi nel freddo che d'improvviso s'abbatté sul suo corpo esanime e in un grande sforzo riuscì a spostare il braccio sinistro fino a posare la mano sull'Iphone ...
Così la trovarono i soccorsi che arrivarono dopo circa un ora, ma lei questo non lo vide. Il suo viso inespressivo striato di sangue ora era quello di una bella e giovane ragazza che aveva sacrificato la sua vita al dio pagano della tecnologia come in un antico rito religioso per invocarne la sua benevolenza ... 

sabato 19 novembre 2016

PROFEZIA

 ... così riuscimmo, dopo innumerevoli tentativi e molte vite umane perse, ad arrivare su Marte e con il tempo a installarvi stazioni abitabili; poi iniziammo ad inviare pionieri, che costruirono i primi insediamenti umani con il fine di provare a viverci stabilmente. E così fu. Poi iniziammo a cercare materie prime per rendere possibili i viaggi di andata e ritorno, visto che non era possibile trasportare materiale dalla Terra nelle quantità sufficienti allo scopo. Trovammo quello che cercavamo, ma ben presto emerse l'impossibilità di estrarre quello che occorreva sia in quanto le risorse umane non erano sufficienti per la gravosa attività da intraprendere sia in quanto le condizioni climatiche esterne rendevano i lavori incredibilmente difficoltosi; inoltre, non era possibile trasportare dal nostro pianeta grandi quantità di persone, sia per gli elevati costi per costruire navi spaziali adatte allo scopo sia perché essendo un viaggio senza ritorno era molto complicato trovare volontari disposti a tale sacrificio, pur se in nome di un futuro possibile.
Trascorsero così circa cinquecento anni, nei quali gli insediamenti si moltiplicarono fino a rendere possible la copertura di tutte le zone abitabili di Marte; furono trasportate sul pianeta anche varie specie di animali per verificarne l'adattamento alle condizioni del pianeta rosso. Risultò che una particolare specie di scimmie non solo riusciva a sopravvivere con grande facilità nell'ambiente esterno, ma anche che il loro dna, come risultò dagli studi effettuati, si modificava dopo un breve periodo in modo tale da farle adattare alle nuove condizioni creando, di fatto, una nuova specie.
Furono così inviati due scienziati specializzati nella manipolazione del dna, un uomo e una donna, che accettarono in quanto convinti, da quanto avevano potuto studiare dai dati che venivano loro inviati da Marte, di poter creare un ibrido da ricavare dalla fusione del dna umano con quello delle scimmie marziane.
I tentativi furono molteplici, i primi ibridi creati erano poco più che scimmie, comunque incapaci di apprendere. Poi vennero create specie sempre più evolute, finché si arrivò alla conclusione che l'ultimo ibrido generato, dopo 10 anni marziani, fosse quello giusto.
Ne crearono molte migliaia, con l'intenzione che successivamente si sarebbero riprodotti da soli, come gli umani, e iniziarono ad impiegarli nell'estrazione delle materie prime nei vari insediamenti. 
Con il passare del tempo però gli umani che regnavano su queste tribù si resero conto che il loro apprendimento restava limitato e che, inoltre, gli istinti animali avevano il sopravvento sull'agire razionale che speravano fossero riusciti a ricreare artificialmente. 
Iniziò un lungo periodo oscuro nel quale le tribù degli ominidi marziali si combatterono senza sosta per l'acquisizione di fette di territorio, tanto che la situazione risultò alla fine incontrollabile per gli umani, che decisero di rifugiarsi in una stazione orbitante sopra al pianeta rosso.
Decisero, quindi, dopo feroci anni di discussioni, di cancellare la specie generata: scatenarono su tutto il pianeta esplosioni atomiche accompagnate da violente piogge di meteoriti da loro indotte grazie alla tecnologia di cui disponevano.
Prima di procedere incaricarono un ominide marziano che si era evoluto meglio degli altri di costruire un arca per salvare tutte le specie animali.
E l'inferno fu. 
Poi gli umani, dopo aver appurato che nessuno fosse sopravvissuto, scesero nuovamente sul pianeta e ripresero gli esperimenti, che alla fine ebbero successo: una nuova specie fu creata.
Nel tempo vennero costruiti su Marte insediamenti sempre più grandi, sui quali gli umani regnavano in qualità di dei.
Nei mille anni successivi furono estratte dal pianeta ingenti quantità di materie prime da inviare sulla Terra affinché gli umani riparassero i danni da loro stessi creati, finché un giorno lasciarono Marte per sempre, con la promessa che un giorno sarebbero tornati.
L'ultimo uomo che lasciò il pianeta convocò il marziano a cui avevano deciso di affidare le sorti della loro specie sul monte Tamarat, dicendogli che Dio gli avrebbe lasciato le 10 regole da seguire affinché le loro comunità prosperassero vivendo in armonia.
Il marziano si recò sul monte ed attese, finché nella notte marziana un lampo accecante rischiarò il buio accompagnato da un rumore assordante, facendolo inginocchiare come un penitente; un bagliore radiante apparve sopra di lui, rendendo giorno la notte, mentre l'assordante rumore scemava.
Un lampo di fuoco proruppe da quella luce immanente fermandosi di fronte al marziano impaurito; e scese il silenzio.
Una voce tonante gli disse di alzarsi e dal cielo caddero due enormi pietre che si posarono ai sui lati, poi cadde anche un bastone che finì nelle sue mani illuminandosi.
La voce tonante gli chiese di scrivere quello che le si apprestava a dire e così fu. Poi l'assordante rumore esplose di nuovo ed il cielo tornò ad illuminarsi a giorno per un breve momento; il marziano tornò penitente e quando fu nuovamente buio si alzò.
Le due enormi pietre di fianco a lui erano incise, il bastone volato via.
Si avvicinò tremulo alla prima pietra, prese coraggio e lesse la prima regola che Dio gli aveva dettato mentre si trovava in uno stato di trance:
Io sono il Signore Dio tuo: non avrai altro Dio fuori di me ...

CARAVAGGIO IN FUGA NELLE TERRE DEGLI ALDOBRANDINI - di Maurizio Centi


L’amico scrittore Andrea De Rossi è un uomo molto curioso, si guarda sempre intorno. Io rispondo alla sua curiosità con queste poche righe sul romanzo storico “Caravaggio in fuga nelle terre degli Aldobrandini”, edizioni Annales, scritto a quattro mani da me e da Marco Passeri.

Perché un libro Caravaggio

Perché c’è di mezzo la storia di due quadri quasi identici, raffiguranti entrambi un San Francesco in meditazione dipinto agli albori del 1600. È stato lungo il tempo occorso per l’attribuzione al Caravaggio della tela carpinetana, e invece la velocità con la quale è stato sottratto alla comunità un elemento dalla forte connotazione identitaria è stata impressionante. E ancora oggi nessuno pensa di restituirglielo neppure in prestito.
La lunga stesura del Caravaggio in fuga è andata di pari passo con una ricostruzione storica avvincente, portata a termine col massimo rigore con il supporto di diversi ‘collaboratori’ sparsi tra Roma e il territorio dei Monti Lepini, ma grazie soprattutto ai preziosi suggerimenti della Dott.ssa Fiora Bellini, Funzionario Storico dell'arte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Ma in fondo il libro mirava semplicemente ad affermare un postulato: che se si può ragionevolmente affermare che il quadro originale del San Francesco, come ritenuto da diversi autorevoli studiosi del settore,  era destinato al convento francescano di San Pietro, allora sarebbe bene che tornasse a Carpineto, magari in quel bellissimo Museo della Reggia dei Volsci che dispone di tutti i requisiti per poterlo ospitare.
Questo l’intento del racconto e il tentativo fatto. Ma se alla fine questa storia non avrà convinto tutti, speriamo che abbia perlomeno il pregio di voler restituire anche solo idealmente il San Francesco al luogo al quale è stato un tempo dedicato.

Il Caravaggio a Carpineto, feudo Aldobrandini

L’ipotesi che i quadro, scoperto casualmente nel coro della chiesa di San Pietro a Carpineto Romano, nel 1968, dalla storica dell’arte Maria Vittoria Brugnoli, fosse destinato al convento francescano di San Pietro, dicevamo, è del tutto plausibile.
Basti pensare che Il Cardinale Pietro Aldobrandini, signore del feudo detto Carpineto ricomprato assieme ai borghi di Maenza e Gavignano dalla disastrata casata Conti di Segni e Valmontone, assillata ormai da debiti e creditori, volle costruirvi strade, fontane, bei palazzi, conventi e luoghi di preghiera da abbellire con le opere degli artisti del momento. Ciò sia per aggiungere prestigio a quel suo feudo che per compiacere la sorella Olimpia, detta la Rossana. E poiché il Caravaggio, grazie alla sua fama già diffusa poteva di sicuro aggiungere valore a quel progetto, fu quasi certamente una committenza del Cardinale Aldobrandini per la nuova chiesa di San Pietro, ultimata a ridosso della morte dello stesso Caravaggio.
Quanto poi alla sua presenza in carne e ossa a Carpineto, pur restando aderenti ai fatti storici, abbiamo voluto riempire di immagini la zona d’ombra che va dalla fuga del pittore da Roma, a fine maggio del 1606, a causa dell’omicidio di Ranuccio Tomassoni, fino al suo documentato arrivo a Napoli nel mese di settembre di quello stesso anno.
Contenuti di pura fantasia, dunque, anche se dopo aver studiato le mappe dell’epoca non sembreranno poi così improbabili come può sembrare a prima vista.

Perché Carpineto

Qui entrano in ballo gli affetti. Oltre la mia nascita romana io ho tra le mie origini questo paese e parte del suo sangue scorre nelle mie vene. Mio padre ci era nato nel ’27 e lì ho trascorso tutte le mie estati fino all’adolescenza. La mia seconda patria. Marco Passeri è nato non distante, a Valmontone, ma ha trascorso tutta la vita a Carpineto e ci vive ancora con la sua bella famiglia. Evidentemente abbiamo entrambi voluto restituirgli almeno una parte di tutto quello che ci ha donato lui nel tempo. Gli era dovuto.
Maurizio Centi

Caravaggio in fuga nelle terre degli Aldobrandini è stato presentato a Carpineto Romano all’interno dei festeggiamenti della Sagra della Callarosta, il 29 ottobre 2016, nel Teatro della chiesa di San Pietro.
http://www.annalesedizioni.it/wordpress/?page_id=432

Colgo l'occasione per ringraziare Maurizio per la sua sempre grande disponibilità a fornirmi materiale per il mio blog e per la pagina di facebook Culture Club Albano Laziale, con l'augurio che questo nuovo lavoro gli renda le soddisfazioni che merita.

mercoledì 9 novembre 2016

NELLA BOTTE PICCOLA

Francesca aveva sempre sofferto la sua statura, sfiorava i due metri, che la rendeva, a suo dire e usando un eufemismo, poco agile nei movimenti; si rendeva conto di essere sgraziata e per quanto avesse cercato di correggere il suo portamento viveva la sua fisicità come una menomazione, una disabilità, un handicap.
Nella pubertà le avevano accollato ogni genere di appellativo estremizzante la sua altezza, a quindici anni sovrastava i suoi coetanei di quindici centimetri abbondanti, e per quanto avesse cercato di ignorarli, al limite di abituarcisi e riderci sopra, ciò le aveva causato una sorta di stress psicologico permanente che l'aveva portata a vivere la sua socialità esclusivamente nelle ore scolastiche obbligatorie e a frequentare le lezioni universitarie minime per sostenere un esame; evitava accuratamente ogni altro contatto sociale tanto da lasciare anche l'amato basket, in quanto non avendo particolari qualità da esprimere nel gioco si sentiva comunque sopportata dalle sua compagne in quanto ritenuta "una pertica" da usare nei minuti finali per tentare, magari, di recuperare una partita che sembrava perduta.
Alla soglia dei trent'anni viveva come una reclusa, con una ottima laurea in giurisprudenza di cui non sapeva che farsene in quanto nessuno la prendeva in considerazione durante i colloqui per via della sua ingombrante presenza che metteva a disagio i suoi interlocutori.
Era stanca Francesca: era stanca dei troppi libri letti, della troppa televisione che si sorbiva ogni giorno, della preoccupazione dei suoi genitori per il suo futuro, delle lunghe e sempre più snervanti passeggiate solitarie nel bosco prossimo al suo piccolo paese in collina, dei suoi dialoghi con se stessa, di quel corpo che malediva continuamente, di sentirsi diversa, di non poter vivere una vita a suo dire "normale" per quello che voleva dire, di non poter sognare di avere accanto una persona da amare; era stanca, sopratutto, delle crisi depressive che sempre più frequentemente l'assalivano lasciandola lacerata nel profondo dell'animo.
Accadde così che in un piovigginoso giorno di novembre decise di andare a vedere un film narrante una storia d'amore al cinema. Accadde così che nel primo spettacolo pomeridiano la sala fosse vuota. Accadde così che si sedette nella seconda fila, le luci divennero prima soffuse per poi spegnersi e che i titoli di coda iniziarono a scorrere sulle dolci note suonate da un pianoforte. Accadde così che il primo tempo terminò e lei iniziò a piangere mentre le luci riprendevano vita. Accadde così che si accorse che nella sua medesima fila sedeva un ragazzo e che anche lui asciugava lacrime fuoriuscite dalla proiezione delle immagini sullo schermo.
Accadde così che i loro occhi umidi di pianto si incrociarono e che nei loro visi albeggiò un timido sorriso di complicità. Accadde così che il film termino in un tipico lieto fine hollywoodiano e che si ritrovarono a uscire insieme dalla sala mentre scorrevano i titoli di coda sulle medesime note suonate dal medesimo pianoforte dell'inizio.
Accadde così che una volta fuori i loro occhi si incrociarono di nuovo alla medesima altezza, non più umidi, non più timidi, non più soli.
Accadde così che il ragazzo che aveva di fronte le tese la mano, che lei la prese, che i loro corpi si avvicinarono, che per la prima volta entrambi avvertirono una strana ed inusuale sensazione di serenità.
Accadde così che Francesca scoppiò a ridere e portandosi la mano libera a coprire la bocca disse "nella botte piccola ..."; accadde così che il ragazzo le si avvicinò fino a sfiorarle il viso e ridendo le sussurrò "c'è poco vino ...".
Accadde così, che ci crediate o no ...

lunedì 7 novembre 2016

T'AVEVO DETTO

Gino rideva nervosamente, dopo aver ricevuto un colpo cruento come un cazzotto da ko sferrato da sotto verso l'alto che colpisce il mento di un boxer mandandolo violentemente ed irrimediabilmente al tappeto; rideva per non piangere, ma l'espressione stralunata che si era stampata sul suo viso tradiva in pieno lo stato confusionale nel quale si trovava in quel lurido momento.
Aveva ascoltato l'avvocato che aveva di fronte in un religioso quanto penitente silenzio e s'aspettava ciò che poi era stato effettivamente proferito pur se in un linguaggio forbito e scevro di una qualsiasi influenza emozionale, pur tuttavia le ultime parole ricevute forarono la narcosi prodotta da quelle precedenti riportandolo improvvisamente alla vita come se gli avessero fatto una puntura di adrenalina in pieno petto mentre si trovava in overdose.
Comprese in quel lampo di lucidità di non avere via d'uscita; avrebbe dovuto affrontare un processo nel quale l'unica certezza sarebbe stata rappresentata dall'incertezza di quanto sarebbe durata la pena che il collegio giudicante gli avrebbe inferto.
L'avvocato ben comprese il momento, ne era assuefatto dalla sua lunga attività penale, ma prima di congedarlo gli rappresentò che se voleva che avesse continuato a rappresentarlo avrebbe dovuto versargli quindicimila euro antecedentemente alla fissazione della prima udienza dove si sarebbe presentato come imputato.
Gino ascoltò anche queste parole in un religioso e penitente silenzio, poi si alzò, gli tese la mano, lo ringraziò e si voltò per uscire dalla monastica stanza dove uno dei principi del foro romano riceveva i suoi clienti finiti nel mirino della legge per averla violata; costava molto, ma se aveva una possibilità di uscire da quel casino non indenne ma quanto meno con una pena minima da scontare magari ai domiciliari lui era uno dei pochi che poteva raggiungerla.
Quando fu fuori respirò una lunga boccata di aria, tirò su la lampo del giaccone, accese una sigaretta e si diresse a passo svelto verso la metropolitana; scivolò tra la gente in stato di trance, urtando qualche passante e la colonnina che divide l'entrata del sottopassaggio che l'avrebbe condotto alla fermata del treno che l'avrebbe riportato a casa.
Scese alla sua fermata nel medesimo stato ipnotico con il quale era entrato alla partenza, assente dal presente, proiettato in un indecifrabile ed oscuro futuro che per quanto si sforzasse non riusciva ad immaginare.
Si fermò al bar, ordinò un negroni, pur essendo appena le undici di mattina, e si sedette fuori, prendendo posto al tavolo rosso con la scritta coca cola sul risicato marciapiede dell'anonima periferia nella quale viveva.
Accese ancora una sigaretta, butto giù due sorsi di quello che avrebbe dovuto essere un negroni, allungò le gambe sotto il tavolo e chiuse gli occhi in cerca di un momento di quiete o di un qualcosa che comunque avrebbe potuto calmare l'agitazione che lo pervadeva; terminò il pessimo drink e ne chiese un altro, e poi un'altro ancora.
I nervi iniziarono a sciogliersi proporzionalmente all'alcol che ingurgitava, facendo transitare il suo stato da narcotico a dolcemente insensibile, o almeno così apparve al suo grande amico Filippo che lo raggiunse non appena fu informato del suo arrivo dal barista che iniziava a preoccuparsi della piega che stava prendendo quella situazione.
Gino lo vide, si alzò con difficoltà dalla sedia e lo abbracciò con la forza che gli restava, biascicando infine qualcosa di incomprensibile nel suo orecchio sinistro.
Filippo comprese all'istante come era andata la visita all'avvocato, lo conosceva da trent'anni e mai l'aveva visto bere di mattina; lo aiutò a sedersi di nuovo e si accomodò anche lui. Ordinò un campari, accese una sigaretta e fissò per un  momento il rado traffico di metà giornata restando in silenzio finché Gino non iniziò a piangere.
Filippo aspirò quello che restava della sigaretta, la lasciò poi cadere in terra e bevve in un sorso il suo campari, quindi si alzò, gli si pose dinanzi e guardandolo con fare paterno gli sussurrò: "t'avevo detto io che finiva così ...".



sabato 5 novembre 2016

QUELLO CHE VOLE VEDE'

Sofia si ritrovò d'improvviso a guardare il mare uscendo dai suoi pensieri come da un onda che l'aveva momentaneamente inghiottita pervasa da un ansia che oramai si trascinava dietro da tempo.
Faceva freddo, un vento gelido spazzava il bagnasciuga sotto un tetro e plumbeo cielo che colorava di grigio tutto quello che vedeva; l'inverno si era appena annunciato alla fine di una interminabile estate trascorsa interamente in solitudine e aveva deciso per questo di andare al mare, dopo che l'aveva evitato fino a quel giorno.
Camminava e pensava Sofia, pensava a come fosse potuto succedere che ad un certo punto della sua vita si fosse ritrovata completamente sola, senza che più nessuno la cercasse; anzi, era sempre più convinta che le persone che aveva frequentato per tutta la vita stessero cercando di evitarla, arrivando ad ignorare anche telefonate e messaggi che lasciava su telefoni e social di chi credeva fosse amica.
Ripercorreva ogni parola detta ed ogni cosa fatta, o non fatta, negli ultimi tempi, cercando un possibile motivo che l'avesse precipitata in quella solitudine ma per quanto cercasse nulla le appariva degno di essere preso in considerazione.
Arrivò così presso alcune barche da pesca in secca sulla spiaggia, trovò un vecchio e malandato sandalo di salvataggio immerso per metà nell'arenile e protetto da due grandi pescherecci ai lati; vi si sedette e continuò a guardare il mare ed a riflettere.
Poi iniziò a piangere, prima sommessamente poi via via con più vigore, accompagnando le lacrime da acuti singhiozzi che le strozzavano la gola acuendo il dolore che le era esploso dentro dopo che per troppo tempo l'aveva represso in un angolo della sua anima.
Con la testa fra le mani non si accorse subito che quel suo singhiozzare aveva attirato verso di lei una persona, che ora le era di fianco e la guardava in silenzio in un misto di sorpresa e tenerezza; vide prima i piedi, poi i suoi occhi arrossati e gonfi di lacrime entrarono in quelli di un vecchio e minuto pescatore dal volto scuro e pieno di rughe che accolse il suo sguardo con un sorriso.
Si scusò Sofia e fece per alzarsi, ma il vecchio con un lento quanto rassicurante gesto della mano la invitò a restare seduta; poi, gli si avvicinò e si sedette, infine, accanto a lei.
Non disse una parola e si mise a fissare il mare, Sofia, stranamente sedotta da quella presenza, fece altrettanto, asciugando con la mano destra l'ultima lacrima che ancora scorreva lentamente sul suo viso.
Passarono del tempo così uno accanto all'altra, in un silenzio irreale che vibrava nel vento, assorti nei loro pensieri, complici di un momento surreale avvolto di mistero e spiritualità, talmente denso da acquietarla e rinvigorirla.
Poi lui si alzò, la guardò ancora negli occhi, gli sorrise e fece per allontanarsi; Sofia ebbe un attimo di smarrimento nel buio che della sera che ora li avvolgeva e rendeva le loro figure indefinite ma prese coraggio e sottovoce chi chiede chi fosse.
Lui non rispose, si voltò e prese a camminare verso le luci di una casa prossima alla spiaggia di cui poteva intuire i contorni.
Sofia si alzò e gli corse dietro, in un tripudio di emozioni che percuotevano la sua anima di nuovo attiva dopo quell'interminabile assopimento che credeva oramai irreversibile; gli si affiancò e gli chiese di nuovo chi fosse.
Il vecchio si fermo, si girò verso di lei e le si avvicinò prendendole infine entrambi le mani nelle sue, la fissò ancora una volta negli occhi e alla fine di un interminabile silenzio le disse: "ricordati sempre che la gente vede solo quello che vole vedè ...".
Poi le lasciò le mani e gli fece scorrere orizzontalmente la mano destra sul viso, occultandole la vista;Sofia restò immobile, sorpresa da quel gesto e dal calore improvviso che sentì emanare, così tanto acceso da fargli chiudere gli occhi, da quel palmo ruvido che sfiorò il suo volto.
Li riaprì infine in un buio totale non più scosso dal vento; era di nuovo sola, ma per la prima volta dopo tanto tempo comprese che sola, in verità, non lo era mai stata ...




lunedì 31 ottobre 2016

BIGNA CHE PEDALI

Lorenzo si laureò alla fine del 1992 alla facoltà di Economia e Commercio della Sapienza con il massimo dei voti con una brillante e visionaria tesi sui futuri e possibili sviluppi del micro prestito; conseguito il diploma di laurea iniziò a proporsi alle aziende che pubblicavano annunci di lavoro cercando profili cui riteneva di avere le qualità per farlo.
Dopo un paio di anni in cui sostenne diversi colloqui si trovava ancora disoccupato, il futuro che si era immaginato uscendo dall'università stentava a palesarsi; le grandi aziende di respiro internazionale cui si era proposto nel migliore dei casi lo ritenevano acerbo ed immaturo per i ruoli cui aspirava.
Non si perse d'animo e continuò la sua ricerca rivolgendosi ad imprese più piccole, in alcuni casi a carattere familiare; l'Italia sembrava vivere un nuovo boom economico ed era certo che avrebbe trovato presto un occupazione degna degli anni impegnati nello studio.
Trascorsero così altri due anni di vani colloqui; si sentiva rispondere sempre le stesse cose: o ora inesperto per il ruolo o era troppo qualificato.
Suo malgrado decise di rivolgersi a persone che potevano aiutarlo ad inserirsi nel mondo del lavoro tramite le giuste conoscenze; questo gli costò fatica, riteneva ciò un qualcosa di inaccettabile, ma alla fine una piccola azienda che produceva mobili alla periferia nord di Roma  lo assunse come contabile.
Vi lavoravano quattro persone alla produzione, compreso il proprietario e suo figlio, una segretaria tuttofare ed un autista per le consegne; su consiglio del commercialista, visto che il lavoro aumentava, decisero di assumere un ragazzo per tenere in ordine la contabilità da trasferire poi allo stesso che avrebbe provveduto agli adempimenti fiscali. Non era quello che aveva sognato ma da qualche parte doveva pur cominciare, e così inizio a dedicarsi al suo primo vero lavoro.
Aveva uno stanzino nel capannone della produzione, buio e umido, dotato di una piccola scrivania, una macchina dattilografica, una calcolatrice, penne, registri ad uso prima nota. Trascorse qualche giorno prima di capire dove fosse finito, fra foglietti di carta con preventivi lasciati in un cestino di paglia, clienti da chiamare per sollecitare pagamenti, urla del proprietario nel capannone e liste della spesa giornaliere che gli telefonava la moglie dello stesso.
Capitò poi che iniziò anche ad usarlo per piccole consegne, riscossioni, versamenti in banca ed altro; lavorava anche dieci ore al giorno con la medesima paga delle sei pattuite al momento dell'assunzione. Alla fine del secondo mese era stremato, lavorava anche il sabato, giorno dedicato alle vendite, a volte anche la domenica, e provò a chiedere al proprietario, al termine di una lunga giornata festiva di febbraio, un giorno di ferie per il lunedì; si trovavano nel parcheggio, faceva freddo ed iniziava a piovere.
Il proprietario lo ascoltò mentre saliva in macchina, chiuse lo sportello, abbassò il finestrino e gli fece cenno di avvicinarsi, quando si chinò per ascoltarlo gli urlò in faccia: "a regazì, se voi lavorà quà bigna che pedali ... bona serata ... "; poi accese il motore e se ne andò dove doveva.
Lorenzo restò immobile nel parcheggio, non aveva compreso la risposta ricevuta; se ne accorse il figlio che scoppiò a ridere, poi gli si avvicinò e gli sussurrò: "a Loré, te voleva di che qua se va 'ferie a metà agosto quanno chiudemo come tutti l'altri, nun se potemo permette de sta a casa quanno ce va. Ce so quattro famie che dipenneno da quello che famo, papà nun ce dorme a notte se a fine mese nun c'ha i sordi pe' paga' li stipendi. Te vole bene, sa che hai studiato e che questo oggi te pò sembrà che nun sia posto pe' te, ma credeme Lorè, papà m'ha detto che co' l'aiuto tuo sta piccola fabbrica un giorno sarà grande perché tu ce la farai diventà. Domani viè a lavorà, nun je da sto dispiacere ...".
Lorenzo rifletté su quelle parole tutta la notte e  l'indomani si ripresentò puntuale al lavoro che non lasciò mai; l'azienda crebbe fino a divenire un marchio internazionale,  nel corso del tempo ne divenne prima direttore e poi socio, nonché un intimo amico della famiglia che gli aveva offerto un'opportunità.
Ieri, a ventiquattro anni esatti da quando iniziò, un ragazzo che aveva assunto per il marketing ha bussato alla sua porta, in verità sempre aperta a tutti, per parlargli; lo ha fatto entrare, lo ha ascoltato con attenzione, si è quindi alzato e si diretto verso la finestra. E' restato alcuni minuti in silenzio guardando il piazzale dove i tir caricano i mobili che vengono prodotti per essere esportati in tutto il mondo, poi si è voltato verso di lui e sottovoce gli ha detto: "a regazì, se voi lavorà quà bigna che pedali ... bona serata ... ".



sabato 29 ottobre 2016

A BODRILLA

Sara era nata quattro anni prima di Veronica: aveva lunghi capelli biondi, un fisico da atleta modellato prima dalla ginnastica artistica e poi dalla pallavolo, possedeva una  notevole capacità di apprendimento e una spiccata capacità relazionale; sembrava aver ricevuto da madre natura le qualità di una predestinata.
Veronica al contrario, era sempre stata goffa; per quel corpo abbondante nel quale era cresciuta, per la sua difficoltà nelle relazioni, per la sua inerzia nell'apprendimento iniziale, per la sua grande timidezza; fino ai quattordici anni non aveva praticato alcuno sport ed aveva superato a fatica le scuole medie.
Erano sorelle, ma  sembravano esserlo solo sullo stato di famiglia per quanto erano diverse l'una dall'altra.
Negli anni dell'adolescenza Sara esplose in tutto il suo vigore, si diplomò al liceo classico con il massimo dei voti e fece il suo trionfale ingesso alla facoltà di psicologia della Sapienza; Veronica, al contrario, soffrì maledettamente gli anni del liceo. Era sempre oggetto di sberleffo da parte dei ragazzi del suo corso: vestiva fuori moda, non aveva praticamente amici e continuava ad ingrassare senza soluzione di continuità.
A casa le cose non andavano meglio; Sara la derideva di continuo, gli faceva scherzi di pessimo gusto e poi iniziò a non appellarla più con il suo nome quando si riferiva a lei con altri ma come "a bodrilla", per via dell'abbondante forma che aveva assunto il suo corpo.
Veronica ne era succube, piangeva di continuo per questo ma era totalmente incapace di reagire; i suoi genitori, oltre tutto, le apparivano indifferenti a quanto le succedeva e ciò la faceva chiudere sempre più in se stessa.
Alla fine del liceo non ne volle sapere di continuare gli studi ed entrò nell'azienda di famiglia, dove il padre la destinò praticamente alla corrispondenza in quanto pur se contrariato dagli studi scelti da Sara, avrebbe voluto che conseguisse una laurea in giurisprudenza, era convinto che sarebbe stata lei a prendere il suo posto quando sarebbe andato in pensione.
Venne così il giorno che Sara fece il suo trionfale ingesso in azienda, dove acquisì una funzione dirigenziale senza aver mai lavorato un solo giorno.
Veronica, nei cinque anni che aveva trascorso al lavoro aveva costantemente migliorato la sua posizione avendo mostrato una certa predisposizione per l'attività di famiglia, ma continuava ad essere relegata nelle retrovie; non partecipava alle riunioni e non veniva interpellata per nessuna decisione strategica.
Nei due anni successivi Sara palesò tutta la sua inadeguatezza per ruolo che le aveva assegnato il padre, mentre Veronica, al contrario, aveva acquisito giorno dopo giorno una grande padronanza del sistema gestionale dell'azienda; pur tuttavia l'organigramma aziendale restò immutato, come restò immutato l'atteggiamento di sua sorella nei suoi confronti.
In un caldo giorno di metà d'agosto i genitori organizzarono un barbecue cui parteciparono anche loro con i rispettivi consorti e figli oltre agli amici di famiglia; Veronica per tutto il tempo si divertì alle spalle di Sara, irridendola per il fatto che la gravidanza l'aveva lasciata ancora più grassa di quanto già non lo fosse. Al culmine degli sberleffi di cui in tanti ridevano Sara si accorse che Veronica piangeva da sola sotto il porticato, si alzò dal lettino dal quale era sdraiata e gridò: "Bodrilla, portaci qualcosa da bere", tornando poi nella posizione iniziale mentre rideva sguaiatamente.
Veronica entrò in cucina, prese due bottiglie di vino e si diresse poi verso il gruppo di persone che attorniavano sua sorella; le posò sul tavolo, poi si piegò su Sara, l'alzò di peso e la scagliò, infine, con una forza inaudita sul prato senza proferire alcuna parola ...
Nei due anni successivi "a bodrilla" assunse le redini dell'azienda, triplicò il fatturato, licenziò tutto il personale con responsabilità dirigenziale e relegò Sara in un ruolo ininfluente nell'organigramma aziendale; si fece crescere i capelli, biondi come la sorella, assunse un personal trainer che rimodellò il suo corpo e divorziò dal marito, in quanto comprese di averlo sposato solo per disperazione.
Oggi Veronica, affermata donna d'affari, viene spesso invitata a parlare  di "meccanismi motivazionali" in convegni industriali; la prima slide della sua presentazione  in power point è bianca con la scritta in grassetto "A BODRILLA" ...