lunedì 30 giugno 2014

ANDY WHAROL


 

ANDY WHAROL

FONDAZIONE ROMA  MUSEO - PALAZZO CIPOLLA (Via del Corso 320)

fino al 28 settembre 2014
 
 
 Andy Warhol (Andrej Varhola, Jr.) nasce il 6 agosto del 1928 a Pittsburgh,  Pennsylvania; muore a New York il 22 febbraio 1987.

Da una piccola cittadina americana, nel pieno della "grande depressione" che aveva attagliato gli USA dopo il crollo della borsa di New York, un figlio di immigrati cecoslovacchi, dopo aver studiato arte grazie ai risparmi del padre, sbarca nella Grande Mela, ed inizierà un'ascesa senza limiti nell'olimpo dell'arte, che lo porterà a diventare esso stesso un icona.
Senza soldi, busserà alle case di riviste di moda dell'epoca, ottenendo contratti da designer che gli permetteranno di vivere e di fare la sua arte.
 
Il 23 febbraio 1987, il Daily News titola a tutta pagina: "POP ART'S KING DIES".
 
La popolarità e la celebrità raggiunte da Wharol possono racchiudersi tutte in questo necrologio celebrativo di un artista divenuto divo e simbolo di un periodo storico, vate dell'"essere famosi", ossessionato dal successo ed interprete della trasformazione della società di massa.
Ha portato semplici oggetti  da nulla a icone immortali: le scatole delle zuppe CAMPBELL'S sono un immagine potente di come abbia influito nella società dell'epoca trasformandola e iniziando il percorso che l'ha condotta sino ad oggi.
Conferendo dignità di icona ad un prodotto da supermercato compie anche un gesto d'amore, in quanto sottrae gli oggetti all'invisibilità che li condanna il loro uso e consumo rendendoli completamente presenti.
Ha portato nel mondo dell'arte aspetti mai visualizzati prima: la serie dei DISASTRI, ad esempio, o la celeberrima SEDIA ELETTRICA
 
 
 
soffocante rappresentazione della morte, l' anticamera dell'inferno direi.
Come la serie dei teschi (SKULLS)
 
 
generata dopo che gli avevano sparato nella sua FACTORY, accusato di sfruttare le idee degli artisti che ospitava e con cui lavorava nel suo laboratorio.
C'è un particolare in questi quadri: l'ombra proiettata dal teschio assume, a volte, le sembianze di un volto di un bambino, come un ideale filo che leghi nascita e morte nel rapido dipanarsi della vita umana.
Un predestinato, una genialità fuori dagli schemi, un prodotto esso stesso, visto che realizzava serie delle sue opere, numerandole e rendendole fruibili a più persone interessate alla sua arte.
Una macchina per fabbricare, metafora vivente della società ossessionata dal consumo ad ogni costo.
OXIDATION, la serie di tele realizzate apponendo uno strato di vernice fresca di rame sui cui poi orinava (chiedendolo di fare anche ai frequentatori della FACTORY) creando un effetto di ossidazione, sublima all'ennesimo grado questo aspetto che è parte integrante della sua arte, che non bisogna cercare di comprenderla, deve piacerti.
Scattava foto con una POLAROID, perché aveva un flash così accecante che rendeva i visi fotografati come se avessero sempre vent'anni (pre-botolino...): viveva anni luce avanti rispetto a i suoi tempi, di cui si è sempre definito un cronista.
Sapeva trarre da ogni cosa un evento: un giorno una pazza entrò nella FACTORY chiedendo di" TO SHOOT"  i quadri che stava realizzando su MARILYN MONROE: to shoot prende sia il significato di fotografare che sparare. Pensava volesse, appunto fotografare i quadri, e gliene indicò quattro appoggiati al muro: questa, invece tirò fuori una pistola e sparò in mezzo alla fronte dell'icona immortale della diva più diva di sempre.
Rattoppò il buco in fronte e nacque la serie SHOOT MARYLIN
(uno esposto a Roma) nelle quali si può vedere un cerchio nel bel mezzo della fronte dell'attrice.
 
Non volevo più uscire da Palazzo Cipolla, ieri, mentre ero in visita.
Continuavo a girare per le sale guardando e riguardando i quadri, scoprendo sempre un nuovo particolare, un aspetto che mi era sfuggito, come in una specie di catarsi.
Ti prende ANDY WHAROL, e non ti lascia più. L'avevo visto nel 97 a Milano e da allora non mi ha più mollato.
C'è qualcosa che irradia dalle sue opere (gli occhi melanconici di Marilyn non sono mai stati così visibili se non nelle sue rappresentazioni) e che ti conduce in uno spazio estremo della nostra società, che è derivata anche da come ANDY WHAROL ha rappresentato e condizionato un cambiamento epocale (sconosciuti ed oggetti che divengono icone - divi- , un "sistema Hollywood all'ennesima potenza).
Non perdetela.
Sarebbe un peccato.

 
 
 
 

 




 

venerdì 20 giugno 2014

... Diecimila ...

Oggi il mio blog ha raggiunto le diecimila visualizzazioni da quando è attivo.

GRAZIE.

andrea

domenica 15 giugno 2014

l'Italico vizio

L'indignazione a comando è forse il peggiore dei vizi dell'homo italicus.
Periodicamente questo esce dal suo stato di ibernazione e si indigna contro qualcuno/ qualcosa; aggrotta le ciglie, alza la voce, organizza una piazza, verga striscioni, si arma di trombette e via dicendo.
I blogger si scatenano, i tweet trabbocano, i giornali tracimano.
Poi, d'incanto, il rumore svanisce e torna il silenzio sulle strade e nella rete, fino alla prossima sommossa nazionale, fatta da un popolo ciarliero sì, urlante sì, ma poco incline a passare ai fatti.
Nella storia italiana non è presente alcuna rivoluzione, a parte il Risorgimento se così vogliamo definirla ma è tutt'altro.
Fioriscono i capipopolo, i Masaniello d'occasione, pronti a cavalcare le onde di disgusto.
Così i cervelli da riporto che popolono il suolo peninsulare ritrovano un senso di appartenenza, un sussulto di orgoglio, un impeto di giustizia sociale e vorrebbero assurgere a giudizieri e giustizialisti, il più delle volte facendo uso dell'insulto, unica arma che sono capaci di usare.
Decretato l'insulto tornano a casa, fanno logout dalla rete, ammainano gli striscioni e vanno felici e contenti all'happy hour; un buon negroni deterge ogni nevrosi, seppur collettiva.
Così passano i Craxi, i D'Alema, i Prodi, i Berlusconi, i Monti, i Renzi e nulla cambia; lo sfintere resta dolorante.
Ma cosa importa se qullo che conta costa sempre un po di più, se il cerchio magico resta tale pur cambiando i nomi, se l'illusione è sempre più un miraggio d'oasi; il Messia arriverà, e allora saranno cazzi per tutti.
E allora dai,il popolo, sovrano in esilio, nell'attesa, fra un piatto di spaghetti, due cozze alla marinara e un buon caffè, tra la digestione ed il meritato riposo, ogni tanto si indigna se aizzato da qualcuno.
Ma si, in fin dei conti, cosa si vuole dall'Homo Italicus, se non urla di dolore apparente apparentemente ascoltate?
A volte, nel verso di una canzone si può racchiudere la filosofia di vita di una popolo mai divenuto nazione ..
"In fondo sai la gente cosa vuole? ... Vuole un natale con la neve...".