giovedì 14 settembre 2017

della Relativita' ristretta

 
tratto dall'articolo di Domenico Rosaci,
Professore Associato di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni (SSD ING-INF/05) presso il Dipartimento dell'Informazione, delle Infrastrutture e dell'Energia Sostenibile (DIIES) dell'Università degli Studi "Mediterranea" di Reggio Calabria, pubblicato sul numero 30 di luglio 2017 della rivista Tracce d'Eternità disponibile gratuitamente sull'omonimo sito internet www.traccedeternita.com/.
 
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Immaginiamo che due osservatori del tempo siano posizionati uno sulla Luna ed uno sulla Terra. Immaginiamo, inoltre, che dopo aver sincronizzato gli orologi l'osservatore sulla Luna inizi a muoversi verso la Terra a gran velocità. I calcoli di Einstein predicono che quando l'osservatore posto sulla Luna sarà arrivato sulla Terra, il suo orologio sarà in ritardo rispetto a quello dell'osservatore a Terra. Sarà come se l'orologio dell'osservatore proveniente dalla Luna si sia mosso più lentamente rispetto a chi è rimasto fermo sulla Terra.
Questa predizione di Einstein deriva semplicemente dall'avere tratto le necessarie conseguenze matematiche dal postulato che la luce nel vuoto si muova sempre alla stessa velocità, ed è quindi un risultato completamente teorico. Ciò che lo rende sensazionale ed ammirevole, è che esso ha trovato completa conferma nella sperimentazione (esperimento del 1971 compiuto da Joseph Hafele e Richard Keating, consistente nell'utilizzare quattro orologi atomici sincronizzati tra loro con gli orologi dell'osservatorio navale degli Stati Uniti; i quattro orologi atomici vennero posti su degli aerei che compirono il giro del mondo. Al termine dell'esperimento i quattro orologi segnavano un tempo inferiore a quelli restati fermi sulla Terra misurabile in miliardesimi di secondo).
Ma le implicazioni della Relatività ristretta diventano enormi, se ipotizziamo di chiamare in causa osservatori che si muovono tra loro a velocità paragonabili a quella della luce. Supponiamo, ad esempio, di considerare due coniugi di 20 anni, che hanno appena avuto un figlio. Il marito è un astronauta e sta per partire in un viaggio a bordo di un astronave. I due coniugi si salutano, e sincronizzano gli orologi. Supponiamo che il marito viaggi a 280.000 Km/sec, cioè al 93% della velocità della luce, e debba raggiungere la stella Arturo, che dista circa 37 anni luce dalla terra; alla sua velocità impiegherà circa 40 anni. Poi l'astronauta ritornerà sulla Terra impiegando altri 40 anni. Per la moglie ed il figlio che l'aspettano, saranno, quindi, trascorsi 80 anni. Ma la relatività ci dice che per l'astronauta il tempo è passato molto meno velocemente. La formula di Einstein calcola che per il marito sono trascorsi solo 29 anni. L'astronauta torna a casa quindi non ancora cinquantenne, mentre la moglie, centenaria, sta per morire assistita dal figlio 80 enne.
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Einstein concepisce la realtà di un osservatore come una sorta di sostanza nella quale egli è immerso, una sostanza fatta al tempo stesso di spazio e tempo.
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Quindi osservatori in moto relativo tra loro hanno una diversa esperienza dello spazio tempo, e, quindi, della Realtà, che non è più considerabile come un concetto assoluto.
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Il Tempo di Einstein è solo la possibilità di percepire in infiniti modi diversi la sostanza spazio temporale, che non ha, quindi, una precisa identità, ma ha l'identità che gli da l'osservatore che la misura.
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Ha ancora senso, dopo Einstein, mettersi alla ricerca del Tempo Perduto? Oppure è più ragionevole accettare che la Realtà Ontologica, che esiste in quanto tale, sia e resti un concetto puramente metafisico catturabile con la sola intuizione, mentre la Realtà Conoscibile, per via esperenziale, sia intrinsecamente non catturabile?
 
 
 
 

 

 
 
 


domenica 10 settembre 2017

ANA - finalmente!


(SERIA ANA - EPISODIO TRE)

mi manda un messaggio sul portatile che recita: "sono disposta a farmi perdonare, io in genere mantengo sempre le mie promesse".
mi rigiro un paio di volte nel letto. è domenica pomeriggio. sono in clausura come tutte le domeniche. nel dormiveglia mi vengono in mente fatti e situazioni che si accavallano, sbagliano i tempi, diventano esagerate e si rimpiccoliscono, piango e rido in un limbo struggente, maleodorante.
vado sul menù dei messaggi e klikko su invia nuovo, senza troppa fantasia scrivo: "ti perdono se mi fai un sorriso".
riesco così a farmi dare un  banale appuntamento di lunedì sera. accendo la tv e procedo stancamente nella lurida domenica aspettando che arrivi domani ...
... e lunedì arriva, come sempre. sono sotto casa sua che l'aspetto. faccio squillare il telefono. resto in macchina, senza scendere. poi, eccola. non ricordavo neanche il suo viso. 
ciao.
ciao.
sale e parto senza bene sapere dove andare in effetti.
allora?
allora?        
non riesco a mettere insieme due parole in fila, scarto l'idea di cercare un frase completa. ma mi sembra che neanche lei riesca a dire qualcosa di senso compiuto.
decidiamo così tacitamente di perderci nella notte e di bere un buon drink. l'alcol aiuta sempre, specie in questi momenti così imbarazzanti di cui in genere ridi nei film e pensi che tu sapresti sempre cosa fare e invece non è mai così, anzi non sai mai cosa fare perché non sei altro che il solito coglione  uguale a tutti gli altri.
entriamo in un  locale. di un vecchio pazzo che crede ancora di essere quello che era, pieno di tatuaggi e di un aria tipo so tutto io come vanno  le cose  del mondo, e forse sarà anche vero, ma ciò non toglie che a me stia  tremendamente sul cazzo e vorrei dirglielo su quella brutta faccia segnata dagli anni ma mi esce solo un buonasera.
negroni.
negroni.
anche lei beve negroni. meglio. così ci scioglieremo in due. e sarà tutto più facile.
due, tre sorsi e finalmente iniziamo a comunicare con una certa facilità, le frasi ora scorrono fluide, escono fuori argomenti interessanti, si ride e ci si lascia  andare, lasciando dietro le paure, le angosce di cosa fare e non fare, dire e non dire, ma chi me lo ha fatto fare, perché.
al secondo negroni  sembra che ci conosciamo da anni e che ci ritroviamo dopo tanto tempo. adesso ci sentiamo nella condizione di aver tante cose da dire e di non averne il tempo. e mentre il mondo resta chiuso fuori e l'isolamento diventa aureo arriva un tipo che si mette seduto al pianoforte vicino a noi e decide di mettersi a suonare.
il mio primo impeto è di tirargli il bicchiere. il secondo è di rompergli subito un braccio così non può suonare, ana propone di spaccargli il tavolo in testa, così, come protesta ufficiale per il disturbo creato, ma ancora abbastanza lucidi decidiamo di cambiare locale.
più tardi la lascio sotto casa. sono circa le due del mattino. la guardo attraversare la strada. aspetto che varchi il portone. un ultimo sguardo.
accendo la radio, cerco una stazione  e accendo l'ennesima  sigaretta. ingrano la marcia e lascio dolcemente la frizione. la macchina muove soave sull'asfalto umido, cullandomi nel turbinio di pensieri che ho nel ritorno a casa.
la città è deserta. le luci dei lampioni mi fanno compagnia e mi indicano la via. sento che la mia anima è in fermento e mi lascio attraversare dai brividi che emana. posso così sorridere a me stesso, finalmente ingenuamente soddisfatto.

venerdì 8 settembre 2017

ANA - ancora lei


  
(SERIA ANA - EPISODIO DUE)

sono di nuovo in quel locale di merda. ho conservato lo scontrino dei negroni bevuti nel bar del centro il mercoledì antecedente a questo sabato. sopra ci ho scritto "brava! ma non mi è passata la voglia di vederti". ho aggiunto anche il mio numero di telefono, anche se con poche speranze, anzi nessuna. 

            arrivo al banco del bar e lei non c'è. chiedo. mi indicano freddamente quello dall'altra parte del localedimerda, ed è lì che vado, con una certa decisione. 

            quando alza gli occhi da quello che fa incrocia il mio sguardo, restando sospesa a metà strada fra l'imbarazzo e la sorpresa. non dico niente. poi ordino un cuba libre  con la consumazione garantitami dal biglietto d'ingresso e insieme a quello le lascio fra le mani anche lo scontrino del bar del centro e torno nell'altra ala della sala.

            a perdermi fra le marionette danzanti che affollano la discoteca, indisturbato e consapevole della mia unicità nei confronti del mondo, esaltato dall'alcol e dall'adrenalina in circolo nel mio sistema nervoso a livelli gargantueschi, sentendomi due volte più grande, ma anche due volte più stronzo. 

            quando dopo svariati drink alcolici si accendono le luci chiare comprendo che è la festa è terminata, come i miei soldi evaporati nell'acquisto delle consumazioni acquistate senza soluzione di continuità. cerco così, con un certo affanno ed una vistosa instabilità motoria l'uscita e me la trovo davanti. sono sfatto, ma cazzo mi sembra ancora più bella. marmorea, li in mezzo alla sala che si sta svuotando, divina e diabolica, straripante nelle forme, gentile nei modi. 

            devo dirti che ho un fidanzato.

            devo dirti che mi piaci.

            devo dirti che ... 

            non mi dire più  nulla. non m'importa. esco e fuggo via. è ancora notte. deve essere presto. salgo rapido la scalinata per arrivare al parcheggio dove ho la macchina e mi accorgo di essere solo. come da tanto, troppo tempo. ammuffito nel mio spicchio di mondo. flagellato da un uragano di spilli che mi si conficcano nella pelle e mi procurano un dolore lancinante e continuo, ormai ai limiti della sopportabilità. solo, come sempre al ritorno, solo, come sempre al mattino, solo, come sempre negli interminabili pomeriggi, nelle desolanti domeniche, negli odiati giorni di festa. solo, come un randagio che cerca solo di sopravvivere, come un barbone deluso dalla vita che rovista nella spazzatura e accatta tutto quello trova fra gli avanzi. solo, come un ergastolano in isolamento, come un condannato a morte che aspetta. solo. 

            alla fine della rampa, per una qualche ragione incomprensibile mi volto di scatto, inciampo e cado. la ripercorro così al contrario, ma stavolta scivolando sui gradini a testa in giù, battendogli ripetutamente sopra con la nuca come un cartone animato, arenandomi, infine, sull'asfalto umido dove avevo iniziato ad ascendere. 

            arrivano anche i miei compagni di scorribande notturne, e finalmente esplode fragorosa una risata, liberatrice, coinvolgente, satanica. 

            mi alzano. ridono. rido anch'io, fino alle lacrime. e all'improvviso il deserto intorno a me si rianima come il più pazzo dei bazar ...

mercoledì 6 settembre 2017

ANA - tanto tempo fa

(SERIA ANA - EPISODIO UNO)

l'aspetto all'aperitivo, alle sette e mezza, in un bar del centro. ho bevuto tre negroni e di lei neanche l'ombra. sono contrariato. sono, anzi, decisamente incazzato. comincio però a darmi delle giustificazioni assurde tipo: ho sbagliato giorno; magari era ieri; o sarà domani; adesso che faccio? o tipo ha avuto un incidente; sarà malata; avrà dovuto lavorare ... ma che mi abbia tirato un bidone no! un bel bidone di quelli che ogni tanto tiro io: si ci vediamo lì, non ti preoccupare, anzi non farmi scherzi mi raccomando ... 
dopo un’ora inizio a percepire un vago senso di  realtà, sbrino dall'isolamento in cui mi sono cacciato, pago il conto e vado via. non è venuta. non mi ricordo neanche come si chiama, ma mi ha fatto lievitare dentro una rabbia che adesso combino qualche danno dei miei.  
salgo in macchina, accendo la radio, partono gli skunk a volume da stadio e via di corsa verso una meta indefinita, mentre "You follow me down" mi penetra nelle ossa. lungo la strada continuo a darmi torto e ragione contemporaneamente, vergognosa reazione ad una bella buca salutare, sobria, elegante.  
sembra molto semplice, elementare, ma il mio subconscio proprio non l'accetta, non la manda giù, e sono corroso da uno spirito di vendetta, contro chi poi; passo velocemente all'esaltazione, mi prende a ridere, sempre più forte. devo essere uscito di testa. ventiquattro anni di tette, di culo e di un viso di un antica bellezza mi devono aver fatto impazzire. 
l'ho conosciuta in quel posto di merda che frequento giù ai magazzini, alla Garbatella. people di tutti i tipi e razze, ammassata fuori dei locali: alti, bassi, magri, obesi, biondi, neri, fatti, prossimi, ubriachi, lucidi, folli. un'orgia di colori, odori, capi firmati, gel, occhiali da sole da usare di notte, stivali e tutto quello che hanno in tasca. in fila o ammassati, pronti all'ennesimo giro nella giostra del sabato sera: violenti, passionali, belli, giovani, voraci.  
ero appoggiato al muro del bancone dove servono da bere e la guardavo. bella. seducente. sorridente. sbracciata. un drink dietro l'altro, finché non ha messo piede fuori di quella barricata. l'ho fermata. quanti anni hai? domanda più scema non mi poteva venir fuori, più imbarazzante delle tante figure di merda che ho fatto in carriera, più deprimente del day after domenicale, meritevole del più giusto cartellino  rosso mai esibito nella storia del football.  
incredibilmente, contro ogni ragionevole previsione, mi ha risposto, credo per educazione, e se  n’è andata, così come era venuta. più tardi mi offre un cuba libre mentre io sono lì in preda alle mie angosce da testa di cazzo, e lo fa sorridendo; e all'improvviso torno ad ascoltare la musica che rulla sulla pista, torno a vedere la gente che vibra sui ritmi tribali che ti scoppiano dentro, ti animano e ti fanno fare quello che vogliono, come un sortilegio wodoo. riportato in vita dall'ossigeno improvviso che  respiro m'abbandono a quel rumore inebriandomi dell'improvvisa felicità che sembra pervadermi. infine accendono le luci ed io sono lì che l'aspetto. "mercoledì prossimo". "va bene". "alle sette e mezza" ... 
... si, forse ho solo sbagliato il giorno ... o forse tutto questo non è mai accaduto ...


martedì 5 settembre 2017

2024 A.C. - LA GUERRA NUCLEARE DEGLI DEI

 
(vedi anche post NABUCODONOSOR)
 
Il 12 ottobre 2016 il Ministro dei trasporti iracheno dr. Kazem Finjan, nel corso di una conferenza stampa ha affermato che gli antichi Sumeri avevano costruito aeroporti dai quali partivano per i viaggi nello spazio e che le ziggurat erano luoghi in cui gli uomini incontravano i cosiddetti déi, che come dice la bibbia per Yahweh, "scendevano dal cielo"; la cittadina di Dhi Qar avrebbe ospitato il più antico astroporto del pianeta: il Governatorato di Dhi Qar è uno dei diciotto governatorati della Repubblica dell'Iraq, ha come capoluogo Nasirya e nel suo territorio si trovano i resti delle antiche città di Eridu e Ur, con le relative ziggurat. La località sarebbe stata scelta per la specifica peculiarità di essere particolarmente sicura per l'atterraggio e il decollo degli aerei, grazie alle favorevoli condizioni climatiche ...
Un recente studio del Prof. Roberto Boncristiano, a proposito dell'inaridimento della Mesopotamia, databile attorno all'anno 2025 A.C. con conseguente eclissi delle civiltà che vi si erano insediate, quella Sumera e quella Accadica, propone la tesi, suffragandola scientificamente e storicamente, dell'uso di armi atomiche in una guerra che vide contrapposte due fazioni dei cosiddetti Déi biblici per il controllo del territorio: " ... abbiamo dimostrato che lo scopo dell'azione bellica era la distruzione del porto spaziale, e per ottenere questo le due bombe atomiche sono state fatte esplodere a bassa quota".
Nei testi sumeri ritrovati riportanti testimoniane storiche del tempo, viene evidenziata a più riprese la nefasta conseguenza delle radiazioni atomiche sui popoli che erano stanziati all'epoca dei fatti in Mesopotamia. Nel testo "Lamentazione per la distruzione di Ur" vi sono accurate descrizioni dell'olocausto atomico che si verificò nel 2024 A.C., di cui una di rara efficacia descrittiva: " ... la morte raggiunge le persone, ma nessuno riesce a vederla ... Tosse e muco riempiono il petto, le bocche rigurgitano di saliva e schiuma ... li assaliva un senso muto di stordimento, un intorpidimento generale ... una maledizione maligna, un tremendo mal di testa ... poi lo spirito abbandonava il corpo ... la gente, terrorizzata, non riusciva quasi più a respirare: il Vento del Male li soffocava, segnava la fine dei loro giorni ... la bocca si allagava di sangue, la testa sguazzava nel sangue ... mentre il Vento del Male rendeva pallido il volto ...".
Il Prof. Boncristiano sostiene che "siano state impiegate nella valle del Giordano alcune bombe nucleari all'idrogeno e fatte deflagrare ad alta quota in modo da convertire la maggior parte dell'energia sprigionata dalle bombe in energia radiante ..."; e che, inoltre, gli Déì sottovalutarono il potenziale impatto sul territorio dell'uso dell'energia atomica a fini distruttivi, tant'è che presi dalla paura di morire essi stessi fuggirono dalla Mesopotamia divenuta arida ed invivibile: nel testo "Il lamento di Uruk" viene descritta la loro reazione " ... che il Vento del Male sarebbe seguito ai bagliori, non lo sapevamo! Che la tempesta portatrice di morte, nata in occidente, si sarebbe diretta verso oriente, chi avrebbe potuto predirlo! ...".
Il testo, sostiene ancora il Prof. Boncristiano, mette inequivocabilmente in chiaro "l'impotenza delle divinità e la loro paura di morire in maniera decisamente ingloriosa. Questa testimonianza indirettamente ribadisce la natura mortale degli déi e la loro appartenenza al mondo fisico"; concludendo, infine, che "Tutte le evidenze storiche, archeologiche e scientifiche indirizzano la ricerca a sostegno delle tesi di un veridico attacco nucleare ad opera di esseri tecnologicamente attrezzati nel 2014 A.C. nelle aree del Sinai e della Valle del Giordano. Le conseguenze di questa guerra ricadranno sulla Mesopotamia, con la scomparsa delle civiltà accadica e sumera, e lo spostamento dei superstiti verso zone più sicure".
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I nuovi studi evidenziano sempre più che quanto contenuto nella bibbia non abbia nulla di spirituale, ma che cerchi di raccontare nel suo linguaggio primordiale quanto nella realtà è accaduto al tempo della genesi umana sul pianeta terra ...