venerdì 16 ottobre 2009

ONANISMO

SEI

Copioso e latente il coito manuale sgorga deprimente sulla tua pancia bianca. È l’ennesimo giro a vuoto. Nell’eccitazione fantasmagorica e desolante di un vuoto cavernicolo e primordiale. E i laidi e sommessi miagolii che l’accompagnano non sono altro che una stantia colonna sonora restata invenduta sugli scaffali di un negozio di musica. Chi vorrebbe comprarla del resto? Neanche tu che l’hai composta. E i mostri a cui pensi per eccitarti sono ormai tarlati come vecchi mobili nel sottoscala di un antiquario che non è mai riuscito a piazzarli per quanto, nel tempo, abbia cercato di farlo. E i vani tentativi si sono esauriti nella rinuncia. Nella evidente impossibilità di truffare qualche sprovveduto facendoli passare per chissà cosa. Sprovveduti ce ne sono sempre meno. Coglioni come me, invece, sempre di più.
E tutti i pensieri vogliosi fatti su quelle tette e quei culi incontrati nella notte vengono riassunti nello sfregare della mano sulla tua verga impazzita e dura come l’acciaio. In un buio rassicurante. Negli occhi chiusi. Nel petulante andirivieni meccanico e surreale che sembra non avere mai fine. Nel dolore della mancanza di lubrificazione. Del caldo vaginale. Dello sfintere anale. Di una bocca accogliente e laboriosa che lavora di fino mentre mani sapienti accarezzano il tuo petto glabro e tonificato da cotanto benessere.
Cosa hai da dirmi ora?
Cosa vuoi dirmi ora?
Rasenti ramingo il corridoio della follia corroborato da fremiti irrazionali di paura mista ad eccitazione. Corrosiva ed invasiva. Che cauterizza nervi aperti nella vana attesa dell’evento. Che non può succedere. Che non succederà. Che non vedrà mai la luce. Ancorato per sempre nelle tenebre occulte della pazzia mistica di riti di stregoni senza tribù.

pensieri(aforismi)&dialoghi tossici

giovedì 1 ottobre 2009

UN(PRESUNTO)LEADER

ho camminato lungo la strada della vaquità
elargendo oboli in sazietà

sulle oggi liturgiche vie del mitico impero
ho lasciato impronte di cui vado fiero

niente è come sembra e ciò che appare è solo un illusione
io sono il nulla e roma mi è testimone

domenica 20 settembre 2009

SESSANTOTTO O SESSANTANOVE?

Trentasette

adesso basta! c’hanno scassato co’ sta storia der ’68.
er ’68 de qua, er 68 de là, perché NOI avemo fatto er ’68, perché oggi tutto quello che voi c’havete l’avemo fatto creà NOI co’ la rivoluzione, perché sennò stavate ancora fermi ai visigoti, perché NOI avemo cambiato er modo de pensà, de agì, de guardà er monno attraverso na’ nova ottica, lontana anni luce dalla borghesia che coattamente comannava e pilotava na’ società de rincojoniti sottomessi. hai capito? NOI AVEMO FATTO ER ’68 ! NOI !!!
ride e beve mentre scimmiotta l’oramai sessantenne exsessantottino che abbiamo incontrato a piazza navona nel nostro giro notturno nella capitale d’italia.
hai capito andrea? NOI avemo fatto er ’68 ! e quello che oggi ci ritroviamo, la nostra società attuale, è frutto di quella rivoluzione. delle barricate. degli scontri degli studenti universitari, figli della borghesia, contro i poliziotti, figli di operai. quelli del 18 politico. delle lauree senza esami. dei collettivi protezionisti. dell’amore libero, partorito peraltro dal movimento hippy, peaceandlove. della riforma a tutti i costi. di intellettuali improvvisati, di capi bastone a conduzione familiare, di infiniti dibattiti sul come e dove, di comizi scimmiottando i speakers’ corner londinesi, di...
d’altronde, andrea, se non ci fosse stato il ’68 che ne sarebbe stato della nostra società? tu cosa ne pensi?
sai bene cosa penso del ’68. ha procurato più guai che benefici. e comunque adesso basta. continuano a fare film. a scrivere libri. ora, addirittura, pubblicano anche i figli dei sessantottini, gli eredi dei funanboli di quel periodo, che dove è nato è ormai dimenticato, mentre da noi ancora ci rompono i testicoli, martellandoceli, trenta anni dopo. basta! gli italioti sono un popolo particolare. si aggrega alle rivoluzioni e poi pensa che ne sia l’artefice.
bravo! anche io la penso così.
lo so.
non è povero guardare nostalgicamente sempre al passato, la mejo gioventù, invece di produrre nuove idee e nuove rivoluzioni, magari senza l’uso della violenza, tendenti a migliorare questa società di fatto incancrenita? dove sono, del resto, oggi i padri della RIVOLUZIONE ? in banca, professori universitari, dispersi in partiti politici, dirigenti statali, negli ambienti finanziari, giornalisti, cinematografari, scrittori...
...elite...
già andrea, elite. classe dirigente. quello che hanno fatto finta di combattere. ne hanno preso il posto. e adesso vivono di ricordi...mah... magari se invece del ’68 avessero fatto più sessantanove non sarebbe stato meglio per tutti, andrea?

pensieri(aforismi)&dialoghi tossici

lunedì 7 settembre 2009

LAGO ALBANO - CASTEL GANDOLFO - ROMA

PARCO NATURALE DEI CASTELLI ROMANI
SETTEMBRE 2009


dire è inutile quando l'uomo riesce pienamente e consapevolente a manifestare ciò che in realtà è...

PS ACCENDETE LE CASSE E...

venerdì 28 agosto 2009

LO SCEMO DEL VILLAGGIO

Trentasei


lo “scemo del villaggio” è sempre esistito nell’immaginario collettivo. ma è sempre vissuto circoscritto in piccole comunità, dall’appunto villaggio di medioevale memoria ai comuni, borghi, quartieri di ieri.
una figura retorica e ben accetta da tutti.
ma ora che il villaggio è divenuto “globale” e lo “scemo” si è clonato nelle diramazioni interconnettive della comunicazione, dimmi, andrea, ci fa ancora così compassione?
lo scemo che sproloquia, straparla, insinua, commenta, sentenzia, al di fuori del comportamento civico corretto, è ancora destinatario di un buffetto e di un sorriso?
ci porta ancora tenerezza? compassione?
lo scemodelvillaggioglobale non inizia a infastidirci?

pensieri(aforismi)&dialoghi tossici

PROPRIETA' PRIVATA

sabato

MATTINA

un fruscio leggero di batter di ciglia mi riporta in vita …

POMERIGGIO

lascio che il tramonto abbracci voluttuoso l’ultima luce
che impalpabile e silenziosa
spirando saluta
gocce di profumo impreziosiscono il mio corpo
ornato di camicia jeans
e ammennicoli argentei
per poi addentrarmi nei meandri
oscuri e anelati
di polverosi drammi gioiosi

SERA

se l’esperanto vo cercando
chiedo
a chi?
se amor vo cercando
chiedo
c’è chi sa?
se paura vo cercando
chiedo
si può?
se denaro vo cercando
chiedo
qualcuno risponderà?
se me stesso vo cercando
chiedo
mi darò soddisfazione?
se buddha vo cercando
chiedo
oppure no?
se amici vo cercando
non chiedo
apro gli occhi
e discrete presenze
sorridono
sorseggiando drink

SETTEGIORNISETTE

PROPRIETA' PRIVATA

venerdì

MATTINA

foriero il sole di liete novelle
penetra goliardico da miti fessure
portando con se leggiadri consigli di ancelle
sedute ai suoi piedi silenti e pure

l’azzurro candido avvolge scie luminose
irradianti vita
vibranti e vigorose
docili depositarie di serenità infinita


POMERIGGIO

muovo leggero fra statue di cera
timbrando sussidi di sopravvivenza
caustico e timido
su panegirici sorridenti
falsi
contraffatti
sodomizzanti
spugne in cerca d’oro
alloro
cloro



SERA

scorro pagine, accarezzandole, in rapida sequenza
come ghermito da un raptus omicida
killer di parole
come follia di gelosia
per l’inarrivabile
l’eterno
l’indissolubile
e cado
su una sedia futurista
incancrenito da questa malattia mortale …
follia di gelosia


SETTEGIORNISETTE

martedì 18 agosto 2009

PROPRIETA' PRIVATA

giovedì

MATTINA

ecco!
ti svegli
ecco!
e quello che vedi
quello che vedi
è solo un vetro opaco
sfumato
ed il giorno che nasce
già divora quello che vorresti


POMERIGGIO

leggeri fiocchi di catrame imputridiscono l’aria e l’anima
non più candida
immacolata
punto colorato che attraversa oceani d’asfalto
tartaruga su deliranti cavalli a vapore
imbrigliati
intrappolati
increduli
nell’orizzonte che sfiorisce avvicinandosi
mangiando spazio e confini
perpetuo ore disarmoniche
filantropo omertoso delle mie macerie



SERA

fuggire
ancora, sempre, comunque
e mentire
mentirti di nuovo
con lei là
vicina
irraggiungibile sogno madido di sudore
e sospirare
testa di cazzo
testa di cazzo!
poi tornare
nei giorni che si rincorrono incontentabili
e nelle mani non resta che aria
poi,
poi piango
con gli occhi nel camino che brucia legna e qualche ricordo
e niente sarà più come prima

SETTEGIORNISETTE

PROPRIETA' PRIVATA

mercoledì

MATTINA

imperatore comico e borioso
affaccio dalla finestra pupille spiritate
riposate
calamitate dalla radiosa bellezza di un mattino
che m’invita perentorio a vivere
ed amare …


POMERIGGIO

calibro emozioni che viaggeranno su onde
come messaggi in bottiglia di un naufrago
perduto e ingobbito, impaurito
aggrappato alla tenue speranza
che tocchino terra
che qualcuno raccolga la richiesta d’aiuto
che progenie umana domani non calpesti uno scheletro



SERA

momenti di gloria
lubrificati / protetti
effluvi effimeri
di spiriti drogati
bestie fumanti
affogate nel tempo
gocciolanti di piacere
e di istinti primitivi


SETTEGIORNISETTE

sabato 6 giugno 2009

BIANCO&NERO

diciannove

"ieri ho rivisto il mattatore”.
"anche io. stupendo!"
"il bianco e nero. amo da impazzire il bianco e nero".
"è un po come vedi tu la vita, in bianco e nero".
non lo so questo. so solo che lo adoro. mi inebria. mi riporta indietro nel tempo. sai da piccolo pensavo, guardando vecchi films, che in quel periodo il mondo stesso fosse in bianco e nero. che tutti vedessero le cose e le persone in quei due estremi colori. pensa che storia. e che poi, d’incanto, un giorno, tutto fosse divenuto colorato e che la televisione non facesse altro che trasmettere quello che l’occhio meccanico vedeva.
sogni da bambino.
però poi, dopo lo stupore iniziale ed il compiacimento della novità, ho cominciato a sentire nostalgia del bianco e nero. i colori mi sembravano accecanti e mettevano in risalto cose che nel bianco e nero venivano opacizzate. è come se il mondo avesse perduto per sempre il suo fascino.
volevo tornare a vedere in bianco e nero.
chiesi a mio padre quando era successo che gli uomini avessero iniziato a vedere “a colori”, e se fosse possibile tornare a farlo in bianco e nero.
mio padre mi guardò corrucciato, poi abbozzò un sorriso e mi accarezzò la testa. senza dire nulla.
ci rimasi male.
provai con mia madre.
“da sempre” fu la risposta da lei ritenuta più che esaustiva.
ci rimasi male.
chiesi alla mia maestra elementare.
"gli uomini sono macchine perfette e da quando esistono ed hanno il dono della vista hanno sempre visto le cose come madre natura le ha fatte".
ci rimasi male.
primo. cosa ne sappiamo?
secondo. la terra era colorata?
terzo. se vedessimo in bianco e nero saremmo macchine imperfette?
ancora oggi mi pongo queste tre domande. e le tengo dentro di me. come il mio più dolce segreto. possono sembrare idiote. puerili. da matto. ma sono le mie domande da bambino che non ho mai dimenticato. e visto che non ricordo quasi nulla della mia infanzia, le conservo gelosamente come il bene più prezioso che posseggo. è il mezzo che uso ogni volta per ritornare nell’innocenza. per riacquistare la mia verginità perduta. serenità, ingenuità e spensieratezza. perchè mi fanno sorridere. e qualche volta piangere. perchè sono come una calda coperta. come un gelato. un pallone colorato. una corsa in bici. una carezza della mamma. un rimbrotto del papà. un regalo portato da babbo natale. una pista per le macchinine. la prima interrogazione a scuola. la merenda. la gita al mare. la prima comunione. i miei sogni da bambino.
tutte cose di cui ho perduto i ricordi. e che quelle tre domande mi riportano in vita ogni volta che mi tornano in mente.....


pianse, zzzzz. pianse poi un pianto dirotto. con lo sguardo fisso nel vuoto. in una trance emotiva ipnotizzante ed incandescente. e d’un tratto mi apparve bambino. con un viso rotondo e paffuto. e grandi occhi sorridenti e sgranati calamitati dalle meraviglie del mondo. cosa siamo diventati? dove è che abbiamo sbagliato? come abbiamo fatto ad imputridirci così? dove sono finiti i bambini che albeggiavano in noi nella nostra apparizione sulla scena della vita? e nello scorrere dei mie pensieri il suo viso mi apparve di nuovo per quello che era. solo adesso rigato da lacrime. il cuore mi cedette per un momento. una fitta lacerante mi percosse, rabbrividendomi. iniziai a piangere anche io, incurante degli sguardi che piombarono su di noi da ogni lato del locale.
a volte essere uomini è così fragile che puoi spezzarti da un momento all’altro.
a volte essere uomini è così duro da non riuscire più ad ascoltare i battiti del cuore.
pensieri(aforismi)&dialoghi tossici

COSA AVRESTI FATTO?


diciasette

correndo l’altro giorno giù al lago mi sono imbattuto in un genitore che sgridava la figlia. e proprio nel mentre gli passavo di fianco questo gli ha mollato un ceffone sul viso. la bambina ha barcollato e poi è caduta sotto la spinta di quel terribile schiaffo portato con inaudita violenza per quel esile corpo di bambina.
mi sono fermato. ed ho iniziato a guardare il padre. la bambina ha iniziato a piangere. un pianto dirotto di sofferenza fisica.
beh, che c’è? mi ha fatto l’energumeno educatore vecchio stampo. i cazzi tuoi no?
l’ho guardato in un esplosione violenta d’ira. le mascelle mi si sono serrate.
il tipo si è chinato verso la bambina e l’ha aiutata a rialzarsi. le ha pulito il vestitino. poi l’ha accarezzata e stretta a se.
io ero immobile davanti a loro. in preda ad una follia omicida.
l’ha infine presa in braccio. la bimba s’è accoccolata sulla sua spalla. lui le teneva la testa.
ha fatto due passi. mi ha gettato addosso uno sguardo metà duro e metà di ringraziamento. ha poi sbiascicato qualcosa che non sono riuscito a capire. e si è incamminato sulla strada del ritorno.
io sono rimasto lì. ho portato il viso fra le mani in una smorfia di perplessità.
è stato giusto che mi sia fermato? è stato giusto sfidare quella persona con il mio sguardo? è stato giusto interferire in quel momento di intimità familiare? sono stato aggressivo? inopportuno? invadente?
se non mi fossi fermato e fosse accaduto qualcosa di più grave, la mia coscienza mi avrebbe mai perdonato?
se fossi stato indifferente, adesso non mi sentirei meglio?
fare o non fare. prendersi responsabilità. assumere decisioni in tempo breve. intervenire o fregarsene. fare finta di nulla. tirare a campare.
la nostra civiltà. educazione civica.
dimmi, andrea, tu cosa avresti fatto?
pensieri(aforismi)&dialoghi tossici

sabato 23 maggio 2009

IL DR. HOUSE

ventuno

vorrei essere il dr house.
per dire quello che penso degli altri liberamente. per agire solo ed esclusivamente per il fine fregandomene delle convenzioni che ci pongono limiti. per aggirare la falsa moralità che ci lega a profonde riflessioni sterili e prive di senso, incatenandoci al non fare. per pervadermi del totale disinteresse verso quello che gli altri pensano di me.
vorrei essere il dr house.
per compenetrarmi della mia superiorità nei confronti del mondo, come boudlaire. per disinteressarmi totalmente delle regole. per evacuare giudizi su altrui comportamenti e poi tirare lo sciacquone dopo essermi pulito con la carta igienica.
per dire al mio capo “ belle tette ma sex appeal e capacità zero”.
vorrei essere il dr house.
per poter usare droga pubblicamente, andandone fiero. per poter convocare puttane da sogno (e 300 dollari) a casa mia e fottermele. per costringere quelli che lavorano con me ad odiarmi, tanto dove è la novità?
vorrei essere il dr house.
con le sue capacità. il suo genio. il suo estro. la sua versatilità. il suo carisma. personalità. egocentrismo sfrenato. conoscenza.
ma non sono il dr house.
e le mie capacità non vengono pubblicamente riconosciute ed avversate.
ma non sono il dr house.
e non posso permettermi taluni atteggiamenti vanesi e cattivi, erosivi. verrei escluso. tacciato di antisocialità. la mia società fondata sulle libertà personali questo non lo accetterebbe. altrimenti dove sarebbe la libertà?
non sono il dr house.
ma dimmi, andrea, chi è che non vorrebbe esserlo?

COMPLEANNO

sedici

oggi compio 35 anni. non me ne rendo conto. alla mia età dovrei essere un uomo. alquanto maturo. con un lavoro stabile e, possibilmente, ben retribuito. una moglie, due figli, magari un bell’appartamento in una zona tranquilla, borghese, ipocrita.
e invece, andrea?
siamo in questo posto all’una di notte. siamo alla terza birra. tu hai tre anni più di me. siamo soli, andrea. te ne rendi conto?
percepisci la solitudine che ci accompagna? che rende tristemente vuote le nostre vite? siamo cleneex da usare e gettare via. siamo una giostra vivente per bambine capricciose che vogliono divertirsi una notte. o un week end. non riusciamo a tenere in piedi una qualsivoglia relazione. amicale. affettiva. amorevole.
siamo atolli oceanici affiorati nel tempo e che un tempo scompariranno senza aver lasciato la minima traccia, se non qualche avvistamento di navi che incrociavano per quel tempo le acque.
so che il mio tempo verrà. ma potrebbe anche essere molto avanti quel momento. e nel mentre cosa faccio? zompetto fra un lavoro ed un altro, un locale ad un altro, fra un film e una passeggiata. circumnavigando la mia vita in solitario, come fa soldini. ma almeno lui lo pagano. attraverso invisibile il mio vivere, come un fantasma che vaga nell’attesa.
sono insoddisfatto, andrea. sono molto insoddisfatto. non riesco più a detergere questa malinconia che mi accompagna. questo profondo malessere che si insinuato in me come un alieno e mi sta divorando come un cancro. non mi serve più neanche la droga. non allevia le mie pene. al contrario. le acuisce. le irrobustisce. e le rende sempre meno attaccabili.
vorrei piangere alcuni giorni. vorrei tanto piangere.
ma non mi riesce. sono arido come un deserto. e questo mi spaventa. mi inorridisce.
tu piangi andrea?
conosci ancora quel delicato momento di liberazione che sono le lacrime? quell’immenso fuoco purificatore che è il pianto?
siamo soli. e oggi compio 35 anni.
ragazzo, un’altra birra.
domani non andrò al lavoro. e neanche dopo domani. e fra tre giorni. non ci andrò più.
no, non ci andrò più.
pensieri(aforismi)&dialoghi tossici

domenica 17 maggio 2009

FOLLIA

trentadue

la follia è un lampo che attraversa la routine.
la routine è la culla della follia.

pensieri(aforismi) & dialoghi tossici

CERTEZZA

ventisette

le sentenze dovrebbero essere definitive. la certezza della pena un dogma. la redenzione solo un fatto morale. intimo. ci si riabilita nel nostro io se lo si vuole e se si crede sia possibile farlo. la giustizia è tenuta ad applicare la legge. e a infliggere condanne. la buona condotta deve essere ex ante e non ex post.
ma dove l’autorità non è riconosciuta come tale e la sovranità dello stato considerata un appendice di tutte le altre che pervadono il nostro sistema, questo è un aspetto superfluo.
domani ucciderò una persona e millanterò una giustificazione ideologica.
scatenerò un putiferio. si attiveranno i media. i politici. la pubblica opinione. si farà revisionismo storico. si manifesterà e si faranno fiaccolate. mi difenderà gratis un pool di avvocati che avranno come compenso pubblicità gratuita. sarò portato alle luci della ribalta. poi mi condanneranno nei tre gradi di giudizio previsti, e nei due successivi al primo la mia pena sarà ridotta della metà. avrò una buona condotta in carcere. pubblicherò un libro e scriverò articoli su giornali. poi chiederanno di farmi uscire prima. domiciliari. al mattino al lavoro. magari in un posto pagato dallo stato. finché, dopo circa un terzo della mia condanna effettiva, non sarò di nuovo libero.

quanta è bella giovinezza
che si fugge tuttavia
chi vuol esser lieto sia
del doman non v’è certezza.

della pena.
pensieri (aforismi) & dialoghi tossici

SERA D'ESTATE

TREDICI

una sera parlando con il diavolo ho scoperto che dio esiste. la cosa mi ha colto di sorpresa.
ero seduto sul letto rimuginando sui fatti della giornata. sfogliavo distrattamente "lettere a lucilio" di seneca. lui comparve in un anelito di vento caldo, spalancando le ante della finestra con un leggero sbuffettio delle guance e sbattendo con il muso sul tappeto polveroso della mia stanza.
sono inseguito. mi serviva un rifugio.
le parole uscirono accompagnate da un sorriso. si rialzò e si sedette di fianco a me.
cosa leggi? mi disse come se fosse un amico venuto a trovarmi in una calda serata d’estate, noiosa e petulante nel suo sonnacchioso intercedere.
seneca risposi, soddisfatto e tronfio, atteggiandomi ad intellettuale.
bene. bravo. sto giocando a nascondino con l’arcangelo gabriele e questo mi è parso un buon nascondiglio.
bene. accomodati.
sarà solo per un minuto.
stai quanto vuoi.
poi si presentò.
piacere lucifero.
piacere.
la mano tesa era calda. la strinsi come quando ti presentano una personalità, con un filo di eccitazione e sottomissione.
scrutò veloce nella mia stanza. vide quadri, adocchiò una litografia di rembrandt raffigurante il faust e sorrise. poi colse l’immagine del cristo appeso alla parete. sorrise di nuovo.
sei credente?
ancora non lo so.
frequenti la chiesa?
un tempo.
cosa ti turba?
le troppe parole.
dio non parla.
è muto?
non ne ha più voglia.
ha detto troppo?
è stanco.
tu lo conosci?
eravamo amici un tempo.
cosa vi ha divisi?
una visione diversa della vita.
sei pentito?
amareggiato.
ti manca?
ogni tanto. quando infliggere sofferenze non mi diverte più. in fondo sono diventato un suo dipendente.
ti paga bene?
non mi lamento.
e il paradiso?
può attendere.
e l’inferno?
un casino.
poi smise di colpo. aguzzò la vista oltre la parete.
è qua fuori. mi ha trovato.
adesso toccherà te cercarlo?
può darsi. se non si è stancato.
vi divertite?
non è che ci sia molto da fare. è solo un passatempo.
e come contate il tempo?
non lo contiamo. non esiste. è solo una convenzione che vi siete dati da soli.
tornerai?
no.
allora addio.
dio esiste. io esisto. non dimenticarlo mai.
non lo farò.
e scomparve.
l’orologio segnava le nove. come quando era entrato.
io mi sentivo più vecchio.
non ho avuto paura.
accesi una sigaretta.
guardai l’icona del cristo.
pensai al silenzio di dio.
cazzo. non gli ho chiesto come lo paga.
pensieri(aforismi) & dialoghi tossici

sabato 9 maggio 2009

POST DATATO

ventotto

ho ricevuto dall’amministrazione di un convento di suore un assegno post datato per un lavoro fatto presso di loro.
già. post datato.
anche le vie del signore sono finite.
aforismi(pensieri)&dialoghi tossici

HO,FACCIO,VEDO

venticinque

ho due telefoni cellulari. un telefono fisso. internet e web cam. tre televisori. circa duecentocinquanta libri. conosco un centinaio di persone. ho una buona cultura. tre tessere per acquisti scontati in librerie. un bancomat. una carta di credito. una macchina ed una moto. frequento musei e mostre. ho anche un lavoro. ogni tanto rimedio una scopata. ogni tanto vedo un film. ogni tanto vado in vacanza. leggo tre quotidiani al giorno. vedo il telegiornale. vado a teatro. scambio e_mail. scrivo poesie. ho un discreto guardaroba. e una casa di proprietà. ho anche un box e posto auto condominiale. tre amici veri. un cane. ex ragazze. una certa considerazione dagli altri della mia intelligenza.
perché non sono felice?

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FORTUNATI, ALMENO UNA VOLTA

diciotto

ho trovato un portafoglio. l’ho svuotato dei pochi soldi che c’erano dentro. poi mi sono incamminato verso una buca delle lettere. e l’ho gettato dentro. "così, forse, riconsegneranno i documenti a quel povero cristo", ho pensato.
in seguito, mentre con quei trenta euro (più pochi spiccioli) destinatemi dal fato acquistavo un buon libro nella nuova libreria aperta in paese (finalmente!), ho avuto un rigurgito di rimorso.
un incrinatura dell’anima. un lieve e doloroso smottamento della coscienza. un tuffo in acque gelide.
è facile pentirsi, vero andrea?
ecco, mi sono pentito. ho fatto una cosa che non dovevo, che peserà per sempre nei miei altalenanti ricordi.
pentirsi e poi dimenticarsene, alzando le spalle e guardando di nuovo davanti a te. in fondo trenta euro non sono niente. chiunque altro lo avrebbe fatto. forse non avrebbe neanche imbucato i documenti.
chiunque altro.
ti sei mai domandato perchè i media danno sempre notizia di qualcuno che riconsegna qualcosa di valore al legittimo proprietario?
perchè ha qualcosa di sensazionale.
ritrovata borsa piena di soldi. consegnata ai carabinieri. ritrovato oggetto di valore su di una panchina. consegnato alla polizia.
e sopra ci si fa un pezzo. come se fosse un avvenimento extrasensoriale. inconcepibile per certi versi. la nostra evoluta e colta società non concepisce che qualcuno possa riconsegnare qualcosa che ha trovato in strada. sopratutto se di valore.
non dovrebbe essere esattamente il contrario? la “notizia” non dovrebbe essere che l’oggetto sia stato portato via da uno sconosciuto? è questo il nostro grado di civilizzazione? probabilmente se facessimo analizzare questa cosa in un programma di “approfondimento” con ospiti illustri e magari un politico in voga di turno, verrebbe fuori che una parte della nostra società (sempre la stessa ovviamente, perché chi parla in genere appartiene a quella parte pulita, onesta e diciamolo apertamente “più evoluta”) non riesce a fuoriuscire dalle sabbie mobili dell’opportunismo, del tornaconto personale, dall’atavica avidità del possedere, dall’imprenscindibile desiderio di sentirsi “fortunati almeno una volta”, dalla metastasi di fregarsene se quell’altro avrà un danno. e guardandoli mi verrebbe di pensare che il più delle volte parlino di loro. si autocelebrerebbero. denigrandosi. autoescludendosi da “quella parte” automaticamente ci si infilerebbero dentro. consapevoli o meno di far parte di “quella parte”.
quella parte sono gli uomini. sono tutti gli uomini.
io sono un uomo.
mi sono pentito del gesto. ma non sono andato a suonargli alla porta per restituirgli i trenta euro. non mi ha neanche sfiorato l’idea.
cosa avrebbero fatto gli ospiti illustri ed il politico in voga?
non lo so non ne ho idea.”
sarebbero andati alla polizia chiamando la stampa. una buona azione porta notorietà.
opportunismo. tornaconto personale. atavica avidità del possedere. l’imprenscindibile desiderio di sentirsi “fortunati almeno una volta”.
questa è la regola. questo è il mio mondo. questo è quello che non cambierà mai.
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domenica 3 maggio 2009

NO ONE HERE GETS OUT ALIVE

QUATTRO

L’ultimo giorno. Vivi sempre come se fosse l’ultimo giorno. Sempre e comunque. Indistintamente. Profanamente. Orgogliosamente. Voracemente. E invece i giorni passano. Trascorrono inesorabili in un susseguirsi furioso. Raramente in armonia completa con il tuo corpo e la tua mente. Spirito. Volatilità. Si sbranano come bestie feroci nella savana. Ultimo baluardo di bellezza struggente e ammaliante. Nella savana. Bestie feroci. Fameliche. Assetate. E tu sempre come se fosse l’ultimo. E alla sera aspetti. Che succeda. Quello che non succede mai. O almeno ancora non è successo. O forse è successo e quello che vivi è solo l’altra realtà. Quella apparente. Quella della dimensione sconosciuta. Quella dei non vivi. ti capita mai di pensarci? Certo che si. Ne sono strasicuro. Come è vero che esisto. O forse no?
E così giorno dopo giorno non riesci a costruire nulla. Tutto si volatilizza nell’eresia del dogma. Nella cruda religione senza alcun dio. La tua. Nella più esasperante ortodossia. Nella talebana e arcaica visione coranica di un credo che nulla ha più del verbo originale. Sacro. Puro. Spirituale.
Il significato del significante si perde in rivoli di pazzia e gesti scaramantici. In un isolamento duro. Destabilizzante. Pietrificante. E tutto quello in cui credi ti divora come un cancro irrepetibile e mai studiato. Comunque non curabile. Niente chemio. Né ospedali. Né viaggi della speranza. Non basterebbero tutti i soldi di soros. Né di bin laden. E l’icona del cristo appeso alla parete diviene sempre più sbiadita mentre la tua bibbia recita sempre e solo la stessa frase in tutte le pagine che giri disidratato in cerca della verità. Vivi sempre come se fosse l’ultimo giorno. E nel cd risuona stantia e satanica la voce di morrison. No one here gets out alive. No one here gets out alive. No one here gets out alive...
pensieri(aforismi)&dialoghi tossici

MEMORIA

TRE

E così viaggi come indiana jones alla ricerca dell’arca perduta. La tua memoria. Attratto dal lato oscuro della forza mentre obi uan kenobi cerca di riportarti nell’altro emisfero. Ed hal prende i comandi della nave spaziale che ti conduce nello spazio ignoto verso la destinazione che qualcuno aveva programmato per te. Ma l’uomo non è capace di calcolare tutti gli imprevisti. O forse nel suo delirio di onnipotenza pensa semplicemente che alcune cose non possano mai verificarsi. E così una macchina decide che basta. Ora si fa quello che dico io.
E la perdita di memoria ti riduce ad un automa che non ha più volontà, perché il programma originario è saltato, ed i codici impostati vengono ricalcolati all’istante, in una frazione di secondo. E si impossessano di te, conducendoti dove non credevi fosse possibile, attraverso un universo troppo grande per essere solo pensato. Troppo grande per essere esplorato. Come la parabola del bambino che voleva svuotare il mare con una conchiglia.
Forse certe cose si sapevano prima di scoprire quello che oggi riteniamo frutto dei nostri studi e capacità di migliorarci.
Perché ancora oggi non sappiamo spiegare come alcune civiltà oramai estinte siano state capaci di fare quello che hanno fatto? Siamo sicuri di essere così avanti? Non è che invece stiamo regredendo? Inconsapevolmente? Colpevolmente? Compenetrati e vinti dall’inevitabile che non riusciamo ad accettare?
Pseudo dominatori della volta celeste. Pseudo navigatori fra stelle estinte. Pseudo millantatori di capacità che non ci appartengono?
La memoria.
La memoria mi abbandona. E la memoria è cultura. La mia cultura va a farsi fottere. Io vado a farmi fottere. Cosa mi racconterò nei lunghi pomeriggi della mia vecchiaia se avrò la fortuna di arrivarci? Se non mi schianterò prima con la mia motocicletta. Se non mi prenderà un infarto. Se non mi uccideranno. Se non avrò la fortuna di vedere estinta prima questa dolorosa sofferenza che è la mia vita?
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SUPER EROE

DUE

Quello che più ti angoscia è la perdita completa della memoria. Un assoluto vuoto che percorre croste celebrali incrinate da violenti urti di schioppettanti mal di testa. Che si accendono improvvisi come uragani nelle tiepide e tranquille acque caraibiche. Quando il mare ed il cielo si confondono nel medesimo, pallido e nebuloso colore e tutto intorno cessa ogni minimo rumore. E tutti solo lì che attendono l’inevitabile. Nella speranza pagana che non cresca a dismisura e si trasformi in una forza distruttrice. Quando anche gli abitanti marini cercano riparo negli anfratti della barriera corallina, così fragile all’apparenza ma così forte da tenergli testa a volte.
Ecco. La perdita di memoria. Una linea piatta, che in quegli apparecchi installati negli ospedali segna la fine della vita. E nelle trite facce dei medici abituati alla morte sorgono di riflesso quelle due parole: “ mi dispiace”.
Cazzo mi dispiace. Pensi a noi quanto dispiace.
Ma a noi, pazienti e medici di noi stessi, cosa potremmo mai dire? Mai sentirci dire? “mi auto dispiace?”
Sembra un idiozia. E forse lo è. Ma non è una idiozia apparente tutto quello che abbiamo percorso fino ad ora?
Ma la memoria non c’è più. S’è volatilizzata. È naufragata nel liquido che accoglie il nostro cervello. O il suo residuo bellico. Dopo tante guerre autodistruttive. In cerca di un nemico che non c’è. Se non nello specchio. Il tuo riflesso. Il te stesso tuo nemico. Imbattibile e sorridente come un super eroe che non riusciamo ad abbattere nonostante tutto. Un icona che noi stessi abbiamo reso immortale. E che adesso non ricordiamo come abbiamo creato. Perché se l’abbiamo creato dovremmo avere anche i mezzi per abbatterlo.
Ma forse la domanda è un'altra.
Vogliamo davvero abbatterlo?

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venerdì 24 aprile 2009

COSA DIRE?

UNO

Cosa dire dopo tanti anni? Le parole oramai consunte hanno perso il vigore scintillante che le hanno accompagnate da quando le hai imparate. Oggi sono livide. Stracci inzuppati e logori che non hanno più la capacità di riportare il pavimento agli antichi splendori. E poi sono troppe. Sono enormi. Dilatate. Dilaniate. Non più ecocompatibili. Ecoballe da smaltire. In inceneritori biologici di riconversione. Per energia pulita. Finalmente pulita e non radioattiva.
Cosa dire dopo che hai detto tutto? Se è mai possibile dire tutto in quaranta anni di vita. Forse tutto quello che sei stato capace di dire. Di costruire allineando parole su di una ipotetica linea retta. Sorretta dal fiato che esce rauco e a fatica da polmoni abbruttiti dal troppo tabacco. Assunto senza soluzione di continuità. In balbettanti frasi di ripudio mai severamente accettate. In sterili disintossicazioni, più idealizzate che provate. E annacquato da ettolitri di superalcolici trangugiati come acqua nel deserto. Come cammelli in attesa di attraversare il deserto.
E poi scoprire che il deserto è quello che ti circonda. Quello che resta dopo tanto camminare. Faticare. Una strada vuota nella notte. Che si dipana davanti all’ennesimo pub. Bar. Discoteca. O come cazzo vuoi chiamarli. Tanto sono tutti uguali. Repliche infinite in specchi concentrici. Sempre le stesse facce. Culi. Tette. Cazzi eretti che saranno accarezzati sempre dalla medesima mano. Quella del padrone. Quando la porta si chiude e tutto quello che era non è più. Nell’assordante silenzio di una camera popolata di fantasmi. Eccitati. Vogliosi. Nudi. Su venti centimetri di tacchi a spillo e calze a rete bianche. Ma pur sempre solo fantasmi. Puerpere per bambini sul viale del tramonto mai cresciuti. Bisognosi di accompagno. Nel loro parco giochi privato. Infernale. Gelido ed invitante nello stesso, medesimo, esoterico momento. Mentre l’aldilà è più vicino di quello che sembra e certe volte appare come una liberazione da quelle catene invisibili eppure così tenacemente avvinghiate ai tuoi polsi.
Cosa vuoi dire dopo tanti anni?
Non è preferibile il silenzio?

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OGNI TANTO

trentatre

... e restammo quasi tutta la sera in silenzio. bevendo birra e ascoltando musica e guardando video e restando assorti nei nostri pensieri e incrociandoci ogni tanto con lo sguardo e uscendo ogni tanto a fumare una sigaretta.
infine pagammo il conto. ci avviammo alle rispettive macchine. un gesto furtivo del viso, mosso all’insù repentinamente, fu il nostro saluto.
fui soddisfatto. ero stato bene. mi ero rilassato.
ogni tanto non dire nulla eleva molto di più lo spirito che un fiume di parole procacciate a forza e spogliate dell’entusiasmo.
ogni tanto la sola presenza di una persona per te importante ti rasserena e ti compiace.
ogni tanto non corrompere le tue nevrosi può aiutare a purgarle.
ogni tanto una pacata anomia irradia vuoto e rafforza quello in cui più credi.
ogni tanto.
ogni tanto.
ogni tanto.
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venerdì 17 aprile 2009

QUELLO CHE VORREI

quattordici

la realtà non mi piace.
preferisco vivere nella fantasia.
è meno affollata. più stimolante. eccentrica.
e il terzo mondo è solo un posto in cui tutti vorrebbero andare a vivere.

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KOUROS

DODICIGrassetto

Marilyn monroe indossava solo chanel n. 5 per andare a dormire.
Ed è bello pensare che riesumando quello che resta del suo bellissimo corpo la dolce fragranza possa di nuovo aleggiare fra la putrida aria dei gas sprigionati da quella carcassa.
È veramente bello pensarlo.
È per questo che anche io metto sempre del profumo prima di andare a dormire.
Non dovessi risvegliarmi, almeno la stanza avrebbe un buon odore di kouros.
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sabato 4 aprile 2009

REVOLUCCION

trentuno

reality show. guardoni in tempo reale. segaioli di idiozie altrui. eiaculatori precoci di realtà apparente.
cosa c’è di reale? se non il pubblico contato dall’auditel. troppo povero di materia grigia per un offerta migliore. troppo sodomizzato da altrui incapacità per rendersi conto delle proprie. troppo preso da programmi di evasione per approfondimenti culturali. che barba. che noia. che cazzo.
è vero. sempre problemi. sempre discussioni. sempre distorsioni di un sistema che non è più capace di raddrizzarsi. incapace di rialzarsi. di darsi una nuova dignità. una nuova veste. una dimensione da paese occidentale evoluto e proiettato nel terzo millennio. come la chiesa. perchè come dice vasco “loro ragionano così, mica giorno per giorno”. e come dargli torto se questo è il nostro modo di affrontare il “giorno per giorno”?
siamo ancora capaci di guardare al futuro nella nostra componente più “bassa” della società? la casta dominante ha un reale interesse affinché ci sia uno step superiore e decisivo verso un maggior livello di apprendimento di una parte importante della società? oppure ha un interesse diverso?
grande fratello. l’isola dei famosi. la talpa. che cazzo ne so io, sono solo il piatto giusto da offrire a subumani incatenati alle tenebre e destinati ad un purgatorio eterno?
chi è che fa più tenerezza? chi partecipa o chi guarda? le regole del mercato a chi sono veramente interessate? il businnes è businnes oppure altro?
non so darmi una risposta. non ne sono capace. è possibile che dietro tutto questo ci sia altro oppure è solo la pochezza di autori che non riescono semplicemente a partorire idee migliori?
siamo veramente in uno stato così confusionale? e tutto quello che viene prodotto e offerto è solo il risultato della nostra società ?
è una domanda pertinente, andrea?
auditel. raccolta pubblicitaria. vendite. star system. alta moda. vite sulla “fab line”. tutto ciò rappresenta “solo” un programma ben studiato e di cui si sta dando attuazione?
e se così fosse, sapremmo reagire un giorno a tutto ciò?
domande. che cazzo solo domande. dammi risposte andrea. su dammele. ne ho bisogno. sono a rota di risposte. le voglio. ne sono in astinenza. le voglio!!!!!!!!
risposte?
si.
non ne ho.
non sei solo, purtroppo. non siamo soli.
credi che sia grave?
credo nell’uomo. ma forse difetto di ottimismo. e ora che la realtà non è più realtà ma è costruita a tavolino, basata su altre esigenze, non credi che sia ora di riprendere certi discorsi?
quali discorsi?
revoluccion.
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IL SINDACALISTA

ventinove

sono nella mia stanza al lavoro. seduto alla scrivania e guardo il computer nel quale è aperto il software della microsoft excel. sto cercando di elaborare un foglio di calcolo che mi aiuti in complicati, almeno per me, calcoli contabili. la mia è una grande azienda nazionale con varie sedi dislocate in varie province italiane. produciamo in generale per l’aeronautica ed in particolare per il settore militare.
comunque, questo non è importante andrea.
essendo una grande azienda, credo che siamo circa tremila dipendenti in tutta l’italia, è estremamente sindacalizzata, specie nel settore operaio, meno in quello dove lavoro io, ovvero l’amministrazione.
d’improvviso mi entra in stanza un sindacalista, un rompicazzo che non facendo nulla tutto il giorno divide le sue ore fra il caffè alle macchinette e assemblee sindacali estemporanee, ovvero cercando proseliti fra i non iscritti, ovvero in questo caso io.
ciao caro, come va?
non lo degno di uno sguardo borbottando qualcosa a metà fra bene e che cazzo te ne frega.
allora hai deciso finalmente cosa fare con questa iscrizione? siete rimasti in pochi e sai che fra breve inizieremo a discutere con i padroni delle persone da dislocare nella nuova sede fuori roma.
e quindi, caro, mi stai minacciando?
nooo, ci mancherebbe, è solo che più iscritti abbiamo più potere possiamo rappresentare durante lo scontro.
più che rappresentare dovresti usare la parola esercitare e più che scontro dovresti usare il termine concertazione, o se per te è troppo complicata da inserire in un discorso, dialogo. ah, e più che potere dovresti usare la parola potenza, migliore chiarificatrice del peso eventuale, nel discorso dei numeri, di rappresentanza dei quali si è in possesso.
il tipo, basso e brutto, mi guarda e resta a bocca aperta.
i concetti di potere e potenza sono una dicotomia di influenza, che può essere esercitata in modo coercitivo, potere, e delegato, potenza, ovvero riconoscimento di una superiore propensione per l’incarico per il quale delle persone appunto ne delegano una terza.
il sindacalista è ancora lì a bocca aperta.
l’azione sindacale può e deve essere esercitata nell’ambito di un confronto civile, volto ad ottenere benefici maggiori per la comunità lavorativa espressione di quell’incontro preciso. i padroni, espressione alquanto arcaica e superata nella moderna vision mondiale dell’economia, rappresentano la controparte, il datore di lavoro, ovvero colui il quale, i quali, offrono salari in cambio di prestazioni lavorative, cercando nel contempo di ottenere dalla differenza un guadagno monetizzabile. in questo contesto l’influenza dei numeri potrebbe avere una importanza decisiva nel momento di firmare l’accordo con condizioni soddisfacenti per entrambi i gruppi di pressione.
il sindacalista si gratta il naso e si siede, sempre a bocca aperta.
la deriva politica nella quale il sindacato italiano è precipitato ha ricondotto la nobile tutela del lavoratore a misera contesa ideologica basata su logore logiche di partito. con i lavoratori presi nel mezzo, solo numeri su tabelle e da esibire come prova di forza (potenza) nelle oramai stantie oceaniche adunate, con tanto di bandiere e trombette.
il sindacalista adesso mi ascolta a bocca chiusa.
le innumerevoli sigle sindacali sorte di fianco a quelle confederate, tutte basate sull’ipotesi che sto sostenendo in questo preciso momento, ovvero che le tre sigle storiche non fossero più in grado di assicurare la giusta tutela essendo prese da altre “questioni”, confermano questo. la tutela del lavoratore non è univoca, nel senso di raggiungimento di un maggior benessere, ma regolata adesso dalla capacità di costituire serbatoi di voti politici, autodeterminadosi come lobby tese ad ottenere benefici per un particolare gruppo. quindi l’incontro non è più determinato al raggiungimento di un fine, salario, ma a costituire un mezzo che possa essere poi speso al momento opportuno della disputa politica.
il sindacalista accende una sigaretta anche se non è più possibile fumare dentro gli uffici da tempo immemore.
il gruppo di pressione ha così occasione di mettersi in mostra e tentare la scalata verso i lidi meno restrittivi del confronto politico, ed aspirare ad una eventuale giusta ricompensa, per il gran lavoro svolto a tutela dei salariati, che può materializzarsi sotto diverse opportunità. il mezzo diviene così il fine. per il proprio di obiettivo. no quello comune.
il sindacalista spegne la sigaretta.
ragione per la quale il sottoscritto ritiene che la rappresentanza così delegata diventi una tessera di partito e se ne guarda bene da sottoscriverne una.
quindi, caro, non mi iscriverò nel tuo sindacato, né, ovviamente, in qualunque altro. nel momento delle decisioni sulle scelte aziendali, farò quello che ritengo più opportuno per me. adesso scusami ma ho da fare. altrimenti mi licenziano per nullafacenza.
il sindacalista si alza e si dirige verso la porta. prima di varcarla ci ripensa e si gira verso di me, acciglia lo sguardo e assume un’espressione da padre storico delle lotte sindacali.
non capisci un cazzo di sindacato. peggio per te. ciao.
riprendo il mio lavoro e mi viene da sorridere.
è incredibile come le appendici del sindacato, quelli “sul posto”, quelli sulla “base” abbiano un così tale eloquio e preparazione tecnica da costituire una moral suasion irresistibile per nuovi adepti. è incredibile come sia così radicato e impenetrabile il verbo massone del sindacato da non poter essere trasmesso se non agli eletti. è ancora più incredibile che questo ermetismo dogmatico riesca a penetrare dove non ci sia un livello culturale così elevato come fabbriche ed amministrazioni.
sarà un dono divino? venuto dall’alto? come per i vecchi re ed imperatori medioevali?
tu cosa ne pensi andrea?
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TI PREGO

trenta

“non tampono oramai più l’emorragia velenosa che origina dalla mia solitudine. invecchio e non vivo. arranco fra pretesti. ne cerco come oro. ma sono sempre più radi. nebulosi. iconoclastici. divento cattivo ogni giorno che passa. sono un animale raro chiuso nello zoo visitato da passanti incuriositi. paganti. che guardano bestie in gabbia e si rallegrano della propria libertà. divento ogni giorno più triste. e sorrido sempre meno. il mio sguardo sul mondo appassisce. il mio corpo si deteriora. la mia anima langue. del futuro non mi importa più nulla. aspetto solo l’ora. di quella che è l’unica cosa certa.
ti prego, andrea, almeno tu resisti. cerca di starmi vicino. “
“ti prego.”

e il suo sguardo si fissò nel vuoto, restandone ammaliato.
come un pazzo, attratto dal magnete della follia.
ebbi paura, per un momento.
poi compresi.
se c’è un prezzo da pagare per essere qualcosa
quello era il suo.
ma lo stava schiacciando e la pressione l’avrebbe dilaniato.
chiusi gli occhi e tentai una preghiera.
non mi uscì una sola parola.
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MODERNITA'

la matematica binaria, base del computer, è stata sviluppata dalle ricerche matematiche di leibniz.
queste ricerche sono partite da quando il filosofo si rese conto che esistevano due serie di numeri.
una maschile ed una femminile, rappresentati da trattini, alcuni interi, altri interrotti.
l'origine di questa scoperta è data da un'opera cinese, il sistema del ching I, un sistema simbolico che fu elaborato in cina fra il 1500 e il 500 a.c. e portato in occidente da un viaggiatore.
fu consegnato a leibniz che, incuriosito, imparò il cinese mandarino e riuscì a leggerlo.
spiegava l'esistenza di due serie di numeri.
(TITOLI DI CODA)

venerdì 3 aprile 2009

MASTERCARD

CINQUE

Il film noleggiato narra la storia di un amore. E mentre i fotogrammi si susseguono vertiginosi con sottofondo musicale nel bacio hollywoodiano dei protagonisti una lacrima scende furtiva dal tuo viso scarnito e rugato.
Un bacio.
Quando è stata l’ultima volta che un bacio ha rapito i tuoi sensi? Un bacio tenero. appassionato. tenue. Arrossato. Nel palpito nel cuore. E non nel duro del cazzo in qualche anfratto notturno con una troia che non vede l’ora di succhiartelo?
Vattelo a ricordare.
E il film non è più un film. Diviene la tua personale storia d’amore con quella splendida protagonista. E ti scopri ad accarezzargli i capelli. In un lento, esasperante magico momento di occhi negli occhi. In un lento ed esasperante momento di catarsi elettrica e melodica. Nell’ondivago e tremulo battere di ciglia in accordo con il sangue arterioso che all’improvviso fluisce docile dal tuo muscolo non più battente a ritmo di acdc, ma dondolante sulle note fragili e sospirate di allevi.
Ed il rigurgito di tempi passati ti inghiotte come un mulinello nelle acque di un lago vulcanico nell’agosto scintillante di un estate frivola e spensierata. E dolce è l’abbandono in quel naufragar poetico di prevert. Smielato, ma cazzo se desiderato. Quanto saresti disposto a pagare? Quale potrebbero essere il prezzo? È mai possibile quantificarlo nella vile moneta con la quale oramai misuri tutto quello che la tua misera vita può darti? I calcoli si sgranano matematici in addizioni e sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni. Ma il conto non torna. Non può tornare. Per quanto cerchi di arrivare all’uguale sei sempre costretto a ricominciare. E lo fai. E inizi a piangere. E ricominci. E piangi di più. E di nuovo. Ed ora il profluvio è torrenziale. Insostenibile. Incontenibile. E il conto non torna. E la penna cade.il foglio scivola in terra. Il film continua a girare. Il mondo si capovolge. Tu ti allontani.
Non c’è prezzo.
E non hai nemmeno mastercard per tutto il resto.

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L'ETA' DELL'ORO

un giorno crescerò
diventero un uomo vero
attento al particolare
mi eleverò a ideali immortali
guardando con disprezzo quel che ero
finirò in mezzo a tanta ipocrisia
ma sarò sobrio e rispettato
gentile ed educato
gommoso placido benestante
non più vampiri allucinazioni danneggiamenti celebrali
schiocchi improvvisi di connessione
autocommiserazione
assaporerò interminabili domenica mattina
sorriderò con moderato gusto
parlerò più a modo
nella mia nuova età dell’oro
avrò mare e neve
non avrò più sete
follie omicide pazzi suicida puttane sbornie colossali
frammenti di amori teneri eterni leggiadri viziosi omertosi scandalosi
amori
cederò
si cederò
diluendomi nel magma eretico di chi crede di sapere
ascolterò
senza più verbo
ci sarò
umiliato
ma ci sarò

sabato 28 marzo 2009

PRIORITA'

NOVE

Contemplo l’elenco telefonico del mio modesto cellulare. Nessun nome registrato li sopra mi procura brividi. Eppure rappresenta le uniche persone con i quali mi relaziono con una certa continuità e con un certo profitto. Dovrei rivedere alcune mie priorità. Oppure cambiarle. Trasformarle. Elevarle. O cannibalizzarle. Parola terribile che ho appena partorito nel fuoriuscire magmatico dei miei pensieri. Un effluvio plastico e fuorviante. Inodore e insapore. Eretico e miope. Trascendente e banale.
Intanto contemplo. E vorrei chiamare. Ma non so cosa dire. E quello che è peggio non so quanto non saprò cosa dire mentre aspetto godot.
E questa una cosa preoccupante?
Quante persone si pongono durante il loro breve apparire nel tempo umano questo dilemma? È poi la cosa giusta da chiedersi?
Non è meglio pensare a quante fiche scoperò A quanti figli farò. A cosa erediterò. A dove sarò seppellito.A quanto guadagnerò fra un anno. Alla prossima interrogazione. A chi dare il voto. A quello stronzo del vicino. Alle parole del papa. A dove comprare la roba. Ai nuovi occhiali da sole. Alla collega ninfomane. Al capo che mi trascura. Alla domenica in chiesa. Alle vacanze di natale e poi a quelle d’agosto. Al mutuo prima casa. Al debito con il mio amico. Alla carta di credito. Al nuovo libro di su henry potter. Alla moglie del tenente colombo. A come cazzo faceva perry mason a capire subito che chi avrebbe difeso era innocente. Alle persone in galera per sbaglio. Al crollo del muro di berlino. Ai salotti radical chic di roma. Alle ipotesi di buon governo. Al furto del secolo che avviene ogni anno. Alla festa di sabato. Alla moglie di uno che conosco scopata da tre sconosciuti nella sala della villa per scambisti. A pablo escobar auto reclusosi nel carcere da lui stesso costruito. A cuba. Alla cina. A cosa fare per cena. Alla nuova domestica. A come spendere un milione di euro in quarantacinque minuti. Allo shopping sfrenato. A come scopa tarantino. E con chi. A vittorio gasmann che recita dante. E poi a benigni che fa lo stesso. A berlinguer. Ai soldi di berlusconi. A sua figlia marina che chiaverei volentieri. A ugo Foscolo. Ai matia bazar. A pippo baudo che si spoglia mentre katia ricciarelli in autoreggente si masturba nell’attesa. Al mio amico che quando viene urla come un ossesso. A quando mi ha chiesto di scopargli la ragazza che lui voleva guardare fottere e godere. A fidel castro da giovane. A mussolini bambino. Ai padri fondatori della comunità europea. All’euro. A topolino. Alla moto. Alla….
Priorità.
Da cambiare. Trasformare. Elevare. cannibalizzare.
Non sapendo cosa dire.
aspettando godot.

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mercoledì 25 marzo 2009

CATARSI COLLETTIVA

OTTO

Niente rimorsi. Nessu rimpianto. Nessun dolore. È il mantra che sempre si ripete. Nell’auto convincimento che questa è l’unica via possibile. La sola conosciuta. La sola illuminata. Il petulante mondo robotizzato attiva sensori tecnologici di evoluzione pur rimanendo fondamentalmente se stesso. Rivitalizzandosi ogni volta iniettandosi dosi di adrenalina mascherata da novità che dovrebbero segnare nuove ere. Ma cambiare faccia nel maquillage non permuta l’essenza primordiale che permea l’uomo rimasto se stesso nel volgere breve di millenni. La sete di potere e ricchezza non scema. La voglia di primeggiare e comandare folle avvizzite non demorde. Controllare masse è sempre l’imperativo di pochi. Che si tramandano segreti codificati e rivoltanti. In associazioni che definiamo massoniche. Per quello che vuol dire. Per quello che può voler dire. Un passata di fondotinta. L’innovazione. Il perpetrare la dinastia umana che di umano non ha nulla, se mai l’ha avuto. Una catarsi collettiva a dosaggio controllato. La rete. Il telefono cellulare. La possibilità di trasvolare a basso costo. L’istruzione. La religione. La parola democrazia. Il senso ottuso. Csi. Marte. Il vecchio testamento che prorompe in ogni situazione. Buddha. Il corano. Il finto allunaggio. Fotoritocco. Le piramidi. I maya. Gli antichi romani. La filosofia. L’ancestrale paura. La psicoanalisi. La macchina della verità. Il ripartitore di frenata. Il motore turbo. I tatuaggi. Le dentiere. Mio nonno in africa. Uma turman. Tarantino. Mastroianni al telefono. Dino risi e i suoi mostri. La mangano. L’africa nera. Il dittatore cannibale. l’omicidio di jfk. Andreotti. Moro. La strage di bologna. I segreti di stato. I servizi deviati. Mio cugino che si sposa in chiesa. Mia zia che ha speso 15 milioni per una pelliccia che non ha mai indossato. Jim morrison che vive in Alaska con l’unico re che il rock and roll abbia mai avuto e che formano una bellissima coppia ibernata fra i ghiacci dei desideri di fans più ibernati di loro. Kerouac sulla route 66. buckoski attaccato alla bottiglia mentre una brutta e sdentata alcolizzata lo spompina. I miracoli di Carol Woityla. Nerone che da fuoco a roma. Il mio vicino che da fuoco al gatto. La callas e la sua voce. L’oscar a henry fonda per il lago dorato. Nannarella. L’accattone di pasolini. I deliri di hitler. The dark side of the moon.
Vogliamo continuare?
A che pro?
Una catarsi collettiva a dosaggio controllato.
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UNA NOTTE

SETTE

Deframmentazione oligarchica di un potere originariamente condiviso. Esegesi dinastica di un impero. Diaspora comica della razza umana.
Le parole escono frizzanti e imputridite dall’alcol mentre cerco di sorreggermi al banco del pub.
Lei mi guarda stupefatta. E forse vorrebbe baciarmi. Stregata e vinta da pensieri superiori e inconcepibili per gente normale.
Ma sono cotto. E me ne frego.
Vorrei fargli una autopsia. Per guardarle dentro. E capire di più. Ma non sono leonardo e poi lei è ancora viva. E bella. Ed invitante.
E allora cosa mi resta se non ordinare un cuba libre e ingurgitarlo?
Ragazzo! Ancora uno.
Molecole diafane agglomerate in un tripudio di santità e onniscienza.
Vuoi scopare con me?
Si.
Certe volte l’animo umano è più buono di quello che siamo portati a credere per natura.
La scoperò con violenza. Celebrando boudlaire. E poi mi innamorerò di lei. E lei di me. Quando domani, al risveglio, guarderò fuori dalla finestra un sms lampeggerà sul mio cellulare.
Farò finta di niente. Poi mi riaddormenterò.
Al nuovo risveglio troverò anche cinque chiamate senza risposta.
Cancellerò tutto.E poi, piangendo, cancellerò anche lei e la notte trascorsa
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sabato 21 marzo 2009

RIFLESSIONI PACIFISTE

quindici

è facile essere per la pace. la guerra è di per se un’idiozia. è facile essere per la pace e starsene comodamente seduti in poltrona davanti al telegiornale. o ad un talk show di seconda serata. quelli di approfondimento. approfondimento? cultura? (basta che sia di parte). oppure partecipare ad una manifestazione. magari con la bandiera della cgil. uil. cisl. rifondazione comunista.
dimmi, a., che senso ha andarsene ad una manifestazione per la pace con una bandiera di partito o del sindacato.
che significa? che ti schieri per la pace perchè l’ha ordinato il segretario di quella particolare organizzazione? senza non sarebbe la stessa cosa? e che senso ha dire “eravamo un milione”? che quelli che non hanno partecipato sono per la guerra?
queste domande mi corrodono l’anima. non essere o essere non è una presa di coscienza individuale? una propria convinzione? cultura? appartenenza? l’individualità non è mille volte più rappresentativa di una qualsivoglia organizzazione?
ma poi, non è, sopratutto, un modello comportamentale che dovrebbe rappresentarci in ogni nostra manifestazione quotidiana? essere per la pace non è, sopra ogni altra cosa, essere in pace con se stessi e di conseguenza con gli altri? il vicino di casa. il collega. il parente. l’ex amico. il disturbatore. il molestatore. l’antipatico. l’extracomunitario. “fare la guerra” non è anche non riuscire ad essere tolleranti sino in fondo? se il “nemico” invade il tuo spazio vitale riesci ancora a dichiararti per la pace?
è questo schierarti per la pace. è tutti i giorni che ti schieri per la pace. è in ogni momento della tua vita che decidi di schierarti per la pace. è il tuo esempio quotidiano che può contribuire ad abbassare il numero delle guerre che si scatenano ogni giorno sul pianeta. è così difficile da comprendere, a.?
ogni giorno. senza bandiera. solo con la tua coscienza.
pensi che un giorno tutto questo sarà possibile, a.?
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IL BAGAGLIO

DIECI

gianni agnelli incontrando la moglie di steno (nonchè madre dei fratelli vanzina) carica di bagagli in attesa dell’imbarco per new york, facendo prorompere dai suoi occhi geniali un lampo d’ironia esilarante e cattiva, gli sussurra, arrotando la sua erre più esplicitamente del solito: “lo sa quale è il vantaggio di essere un uomo molto ricco? è che si può viaggiare senza bagaglio”.
ecco.
quello che manca oggi è la qualità intrinseca di rappresentare con le dovute parole la diversità che accompagna la specie terrestre. chiara e secca. impossibile da replicare. che lascia basiti e ammaliati nel medesimo, folle istante. che rapisce e disinibisce in una frazione di quello che noi chiamiamo tempo, la nostra quarta dimensione. essere diversi e rappresentarlo, dissacrando le assurde convenzioni che cercano di indorarci la più ancora assurda ipotesi che siamo tutti uguali. col cazzo che siamo tutti uguali. col cazzo. io non sono uguale a te. e agnelli non era uguale a nessun altro. tanto meno pertini. o mia nonna. o buster keaton. o leonardo da vinci. prova a dirglielo in una seduta spiritica. e poi vedi se non si incazza di brutto.
noi saremmo uguali? su quale base scientifica?
su quale inverecondo teorema?
su quale inaffondabile anelito di fratellanza? su quale misura?
noi non siamo uguali. e non vogliamo esserlo.
e incontrando gianni agnelli nell’aldilà vorrei dirgli: “lo sa quale è il vantaggio di essere un uomo molto povero?
e che non si ha bisogno del bagaglio....
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