Tu sei matto ... questa è la frase che mi sono sentito dire più spesso nella vita da quasi tutte le persone con le quali ho avuto la fortuna, o la sfortuna dipende dai punti di vista, di relazionarmi con una certa frequenza, vuoi per lavoro, vuoi per amicizia, vuoi per frequentazioni di posti di aggregazione, notturni e diurni; ad un certo punto, a forza di sentirmela ripetere, ho creduto che fossi realmente un uomo dominato da impulsi irrazionali, da spunti incontrollati, da manie eccessive ed inconsuete tanto da suscitare nelle persone ilarità e compatimento.
All'inizio la cosa non mi disturbava, poi ha iniziato ad infastidirmi, poi ho iniziato a farmene una ragione finendo per accettarla in quanto tale, pur continuando a domandarmi cosa vedono le persone in me.
Ho sempre avuto una vita normale, direi: priva di phatos, monca di eventi eccezionali, magra di eruzioni intellettuali di particolare rilevanza, orfana di atti delittuosi; eppure, per una qualche ragione che disconosco quello che faccio viene sempre vissuto come dissociativo da quella che viene generalmente considerata normalità.
Sono emotivamente instabile, questo lo riconosco,tendo all'isolamento e vivo in costanza di eccessi dell'animo, passando dal mio zenit al mio nadir in un batter di ciglia, ma tutto questo mi rende diverso?
Mi pongo questa domanda non in relazione a me stesso, ma nell'ottica di come oggi la nostra società percepisce fattualità alternative agli standard conclamati ed imperativi che la regolano, e di come la stessa li metabolizza in ragione degli stessi, stimando, così, comportamenti all'apparenza alieni al mondo che vive; non il giudizio in quanto tale, quindi, ma il metro con il quale lo stesso viene applicato.
Ho smesso da tempo di fare considerazioni di valore su ciò che le persone che frequento fanno o dicono, in quanto sono giunto alla conclusione che esternano niente altro che ciò che sono, ovvero ciò che hanno acquisito come conoscenza nello sviluppo della loro vita: sum ergo cogito, tendendo, quindi, a considerarle in un ipotetico rovesciamento del motto cartesiano.
Negli zenit e nadir delle nostre deboli esistenze, fallaci per natura e tendenti alla sopravvivenza ad ogni costo, la percezione esterna di ciò che si è è risulta, a mio parere, viziata e in molti casi priva della necessaria discrezionalità, moderatrice della valutazione alla quale siamo incapaci di sottrarci.
Cosa sia normale o meno io non lo so, o forse non riesco a comprenderlo dal mio limitato punto di osservazione; ciò che so è che nessuno è perfetto e che è questa la grande differenza fra l'essere umano ed una macchina, che farà sempre quello che vogliamo ma non sarà mai in grado di sorprenderci ...
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