martedì 23 settembre 2014

SS (Sindacati Stantii)


Incastonati nell'apogeo del loro successo che li ha visti protagonisti attivi della politica italiana fra la fine degli anni '70 e gli anni '90, pietrificati dentro il loro sistema anacronistico, abbarbicati alla gestione di varie forme di potere, inespressivi come gli uomini senza volto di Magritte, i Sindacati Stantii italiani rappresentano oggi le SS del lavoro che non c'è.
Ululanti nel deserto occupazionale come iene in cerca di cibo, affondano i loro denti nei cadaveri putrefatti dei lavoratori italiani ancora attivi in cerca di brandelli di autostima, fagocitando pagine di giornali e servizi televisivi brandendo l'unica arma che abbiano mai saputo usare, la scure dello sciopero, scevra ormai di capacità tagliente.
Hanno un colpevole per tutto ed una soluzione per tutti; illustrano a menadito la filosofia marxiana della Sovrastruttura e spiegano come applicarla ai tempi moderni ricollocando il Capitale dalla fine dell'800 nel XXI secolo, profondendo oralmente teorie economiche all'avanguardia.
Profeti del futuro, tutelano in maniera impeccabile quello che non c'é assicurando che un giorno ci sarà, elevando così spiritualmente schiere di giovani depressi in cerca di occupazione.
Chiedono democrazia, pur vivendo al loro interno il sistema più antidemocratico che c'è; eleggono i loro capi con il sistema feudale della spada sulla spalla, ovvero trasmissione ereditaria di potere.
Chiedono trasparenza, ma tutto quello che riguarda le loro organizzazioni è criptato, a tutela del messaggio massonico di conoscenza del quale sono depositari e guardiani.
Chiedono, chiedono e non danno; non un posto di lavoro retribuito, non un gesto benefico di solidarietà economica verso gli esodati: reclamano si, ma quello che conta è che sia tu a darlo.
Nel dramma politico ed economico che stringe l'Italia in una morsa che potrebbe essere fatale, i Sindacati Stantii interpretano la farsa; SS in cerca di autore, SS in cerca di un motivo per esistere, SS che hanno avuto un ruolo primario nella conduzione del nostro Paese a questa commedia che non fa ridere più nessuno.

mercoledì 17 settembre 2014

SS (Selfie&Suv)


Le forze dominanti della società odierna sono le nuove SS, Selfie&Suv.
Se non ti selfie e non possiedi un suv non appartieni ad una razza superiore, non domini , non ti elevi, non sei socialmente inserito; non esisti.
Le nuove SS dettano legge, rimuovendo ogni ostacolo sul proprio cammino. Impongono moda e riti, occupano spazi comuni, creano  ingorghi, postano l'elegia dell'appartenenza.
Possiedono l'eleganza francese, la nobiltà inglese, l'efficienza tedesca e l'agilità di un pachiderma. Sono estemporanee, seppur gerarchicamente organizzate e strutturate come solidali camerati, invadenti, come Strurmtruppen, ma discrete, come James Bond all'aperitivo.
Prolificano nell'Agorà contemporaneo dei social; puoi vederle fuori le scuole nel defilé mattutino e pre-pranzo; nei parcheggi delle palestre cool; nella pagine rotocalco dei quotidiani nazionali.
Hanno sempre qualcosa da dire; qualcosa da mostrare; qualcosa da voler fare imitare.
Profondono saggezza e stile; epurano l'impresentabile, occupano posti riservati salendo sui marciapiedi (my Tank can ...), parcheggiano in doppia fila lasciando scie profumate.
Conoscono quello che c'è di necessario conoscere; pensano quello che è necessario pensare; dicono quello che è necessario dire.
Sorridono sovente, elargendoli ai carneadi ...
Selfie&Suv, ergo sum ...

martedì 16 settembre 2014

5 DOMANDE A: SIMONA ROSATELLI


Simona Rosatelli (Marino, 1970)
Educatrice di asilo nido.
Poetessa.
A dicembre 2012 ha pubblicato la raccolta di poesie "Datemi ancora una parola".

La poesia con la rima cadenzata utilizzando il metro canonico ... sembra di fare un viaggio nel tempo leggendo i tuoi versi;  invece così attuali ... come nascono?
 
I miei versi nascono in modo spontaneo, nei momenti più toccanti del mio vivere. Ritengo che questa sia cosa comune ad ogni poeta. Scrittori lo si può diventare (e in questo tu hai di che insegnare), ma poeti no. La poesia nasce dall'anima, è frutto di dolore, passione o gioia. E' per questo che tra una mia poesia e un'altra intercorre a volte un lungo spazio temporale, perché in esse non vi sono forzature: l'ispirazione quando viene, viene. Quanto alla rima cadenzata, sebbene ritengo sia un dono per la naturalezza con cui mi sorge dal cuore, credo tuttavia che abbia avuto modo di radicarsi in me così profondamente a seguito dei miei studi liceali, dove ho avuto i primi approcci con i poeti classici (come Leopardi, Carducci ecc.) e con i più moderni (quali ad esempio Montale).

Da "Datemi ancora una parola" a "Quel che manca è una parola" ...  l'hai trovata "quella" parola?

"Datemi ancora una parola per dire ciò che penso o la mia vita tacendo non avrà più senso".

La libertà di espressione è un Diritto di ogni essere umano e un Dovere di tutti garantirla. Stante il fatto che la libertà di ognuno finisca laddove inizia la libertà degli altri, tutti dovremmo avere spazio e diritto di esprimerci in ogni luogo. Ma i miei versi vogliono esprimere oltre che un diritto un bisogno di comunicare, in una società dove c'è sempre più incomunicabilità, in una società individualista, priva di valori e sentimenti veri. Da ragazza ho vissuto con difficoltà questa voglia di esprimermi per dire ciò che pensavo: ho ricevuto un'educazione molto rigida ed ho faticato a trovare ed esprimere il mio vero essere. Oggi ritengo di averla trovata quella parola e ne ho trovate tante altre, che mi hanno permesso di esprimermi pienamente come donna e come persona.
"Vorrei quel tempo di semplicità per non perdermi nelle futilità"; "Tempo irreale, inconsistente, sei tutto e non sei niente" ...  questi due versi (da "Vorrei" - 1991 e da "Tempo perduto" - 1992) li hai scritti da giovanissima, ma sembrerebbero appartenere a considerazioni di una età più matura. Cosa ti sfugge del "tempo"?
In virtù, come ti dicevo, di una educazione piuttosto rigida, ma anche delle forti esperienze personali che già da bambina mi hanno segnata, hai ragione nell'affermare che le mie a 21/22 anni fossero considerazioni di chi al tempo era cresciuto più in fretta. Non ho avuto spazio, né libertà di vivere a pieno la mia adolescenza o di fare le esperienze e gli errori che competono quel periodo nella vita di ognuno. All'epoca già sentivo il peso della vita e non avvertivo lo stesso senso di leggerezza di alcuni miei coetanei. Percepivo già una carenza di valori, l'inconsistenza e l'irrealtà del tempo che scorreva frenetico senza lasciarmi spazio per recuperare le tappe che avevo saltato. Oggi, da adulta, credo che il passare del tempo non rappresenti più un limite per me. Dopo che due anni e mezzo fa ho avuto il cancro, vivo giorno per giorno non guardando più al futuro come a qualcosa che è troppo in là. Il mio futuro è adesso, è oggi ... e cerco di vivere a pieno la vita, amandola e rispettandola. Nell'ultimo anno insieme alla mia famiglia ho fatto anche una scelta di alimentazione vegetariana (sia per motivi di salute sia per motivi etici). Non mi perdo o almeno cerco di non perdermi nelle futilità, perché ho imparato che nella vita a contare di più sono le persone e non le "cose", mentre oggi tutti si affannano per ottenere e raggiungere "cose" o uccidono per toglierle agli altri.

La vigorosa prefazione di Aldo Onorati alla tua silloge è stata una sorpresa per me ... per te un 
onore, credo ...

La prefazione di Aldo Onorati, carissimo amico di famiglia, è un vero onore, in quanto gli avevo proposto la lettura della mia silloge con un certo timore. Lui è un professore, uno scrittore e un poeta illustre, pertanto il mio sentirmi "niente" rispetto alla sua persona, mi aveva messo in crisi da principio nell'avergli proposto di leggere i miei versi. Oggi ne vado fiera e lo ringrazio di cuore per i consigli che mi ha dato in privato e per le parole con cui si è espresso riguardo il mio modo di scrivere.
 
Infine, per chiudere, una riflessione sul tuo ruolo sociale. Essere oggi un educatrice cosa comporta?

 Essere un'educatrice oggi per me oltre che una vocazione rappresenta una missione. Viviamo in una società che fa veramente schifo, consentimi questo termine. Siamo come un rudere diroccato e a breve cadremo a pezzi del tutto. La contraddizione è il nostro leitmotiv. Cerchiamo di costruire il futuro, la carriera, la casa, la famiglia, ma poi distruggiamo il nostro pianeta giorno per giorno, minuto per minuto. Non c'è più rispetto per l'infanzia, perché i bambini vengono sempre più lesi da violenza o indifferenza. Ecco io credo che nei bambini sia riposto il nostro vero futuro, per questo dobbiamo prendere seriamente in considerazione che educarli non è un gioco. Dobbiamo educarli "rieducandoci". Non si educa solo a parole, ma soprattutto con l'esempio. Dobbiamo insegnare loro il rispetto per ogni essere vivente e dunque per tutto il pianeta (rispetto che noi adulti non abbiamo). E' nostro compito trasmettere loro il messaggio che il futuro dipenda dalla loro capacità di amare e rispettare se stessi e gli altri. Tanto più ameremo i nostri bambini, tanto più essi ameranno gli altri e li rispetteranno e tanto più ci sarà civiltà e il nostro pianeta vivrà più a lungo. Ma rispettare i bambini ed amarli non significa lasciarli crescere come un fiume senza argini. Bisogna educarli e contenerli nelle regole, ma sempre con amore, essendo autorevoli piuttosto che autoritari.
 
ANGELI SENZA ALI (2012)

Angeli senza ali,
distillati di bontà senza uguali:
vigilanti anime sofferenti,
gladiatori feriti senza paramenti.
Camici bianchi macchiati dal dolore,
anime afflitte dal sorriso di chi muore.
In lotta per la vita che giovane si spezza,
senza raggiungere la sua interezza,
o che vecchia, affaticata,
si spegne sconsolata.

Angeli con la maschera del sorriso,
precipitati lenti dal Paradiso.
Angeli dalla tristezza repressa,
echi di voci nella gente oppressa.
Eroi silenziosi senza gloria
che lasciano il segno
nella mia storia.
 
Il mondo di Simona è un mondo complesso nella sua semplicità apparente, un mondo che l'ha vista adulta già nella sua adolescenza. I suoi versi navigano agitati in questa profonda inquietudine, cercando forse un approdo sicuro nella loro stessa scrittura. Una ricerca non ossessiva ma continua, nello scorrere del tempo che non può essere drenato, ma che oggi può essere accompagnato ("Vorrei farmi compagnia/ e senza fatica/ essere ancora amica mia" - da FEBBRAIO 2003"). E in questo vortice le sue parole ti lasciano sempre uno spazio di riflessione su quella che, a volte,  sembra l'inerzia della vita ("Sembrava 'n giorno come tanti/ quella domenica d'agosto:/ er corso tale e quale/ i negozi ar solito posto" - da 14 AGOSTO 1989). Appropriate e concludenti mi appaiono, quindi, ora le parole usate da Aldo Onorati nella sua prefazione: "Simona ha un pensiero sotteso alla sua scelta metrica, una visione della vita amara, dolorosa, che ella porge con la massima sinecura dell'intreccio poetico, raggiungendolo, invece, proprio là dove meno se lo aspetta lei stessa ...".







 
 
 
 
 

sabato 13 settembre 2014

RIFLESSIONE SULLA LIBERTA'

... E così sei tornato, farabutto, ficcanaso che non sei altro? Vuoi tornare ad affliggerci e tormentarci, desideri ancora esporre i nostri corpi ai pericoli e costringere i nostri cuori a prendere nuove decisioni? Com'ero felice; potevo sguazzare nel fango e crogiolarmi al sole; potevo trangugiare e ingozzarmi, grugnire e stridere, ed ero libero da pensieri e dubbi: "che devo fare, questo o quello?". Perché sei tornato? Per rigettarmi nell'odiosa vita che facevo prima?
 
Così il marinaio Elpenoro si rivolge ad Ulisse nell'Odissea dopo che questo l'ha riportato nella sua condizione naturale di uomo che aveva dovuto lasciare per l'incantesimo subito dalla maga Circe, che l'aveva tramutato in scrofa (come gli altri suoi compagni, tutti poi fuggiti alla vista dell'eroe omerico che voleva aiutarli).
 
I marinai avevano lasciato la loro vita umana, ma erano oltremodo soddisfatti di vivere quella nuova, da animale ... si sentivano più liberi, meno condizionati, affrancati da responsabilità e sgravati dal dover prendere decisioni; erano inoperosi e si beatificano del sole splendente ...
 
Si sentivano liberi ... perché?
 
La nostra libertà è vera? Esiste? E se si, in che cosa consiste? La rigidità che comporta il quotidiano, scandito da orari improrogabili, da impegni imperdibili, dall'ossessione del guadagno, dalla necessità del possesso, di avere relazioni consolidate, di gratificarci, di cercare sempre e comunque qualcosa che manca, anche se non si sa bene cosa, è veramente libertà?
 
Vivere immersi in regole, in una struttura societaria colma di obblighi e straripante di divieti, alcuni veramente ossessivi, che pianifica, volutamente, la nostra vita conducendoci per mano dalla nascita alla morte, è veramente una condizione libertaria?
 
Le nostre decisioni, volontà, non sono comunque costrette dai nostri vincoli morali insiti nel patto sociale che abbiamo tacitamente sottoscritto?
 
E se si, dove è che la nostra libertà si manifesta?
 
Se viviamo in quest'ansia del dover rispettare norme che stabilizzano la nostra socialità a pena di esclusione da questo apparente eden metaforico costruito su misura per l'uomo, siamo veramente liberi?
 
Se la trasgressione alle regole, alla quale facciamo appello per respirare un "momento" veramente libero dalla conformità appiattita sulla quale viviamo è vista, appunto, come tale, ovvero off rules, l'appartenere al sistema condiviso è una prigione?
 
E se si, è questo quello per cui l'uomo si è battuto dalla notte dei tempi?
 
Essere liberi è ormai un paradosso metaforico,  che sublimiamo nel nostro intimo enucleandoci virtualmente dalla struttura societaria precostituita?
 
Se si, perché?
 
 
 
 

venerdì 12 settembre 2014

LA PAURA DI PERDERE LA PROTEZIONE DELLO STATO SOCIALE



di ROBERT CASSEL (sociologo francese )

 http://adieuxarobertcastel.tumblr.com/post/

brano tratto da "IL DEMONE DELLA PAURA" di Zygmunt Bauman

... E' all'inizio degli anni 70 che si è iniziato a parlare di crisi, che poi si è dimostrata ben più di una turbolenza passeggera; e in effetti si trattava del cambiamento del modello di capitalismo, l'uscita dal capitalismo industriale e il passaggio a un nuovo regime di capitalismo più aggressivo che gioca orami la concorrenza più esacerbata a livello planetario. Questo nuovo modello di capitalismo danneggia gli equilibri e i regolamenti che erano stati creati prima e la cui chiave di volta era lo Stato sociale.
Si può dunque parlare, a mio avviso, di crisi attuale dello Stato sociale come rimessa in discussione di ciò che è stato definito "compromesso sociale" degli anni 60-70, vale a dire, di alcuni equilibri tra gli interessi di mercato, giocati in termini di competitività, di efficacia delle imprese e gli interessi del mondo del lavoro misurati in termini di sicurezza e di protezione dei lavoratori.
Questo equilibrio era certamente fragile e un po' acrobatico, ma garantiva di gran lunga la protezione alla maggior parte dei cittadini dell'Europa occidentale e fondamentalmente aveva permesso di procedere negli anni che hanno seguito la Seconda guerra mondiale di pari passo tra uno sviluppo economico notevole e il progresso sociale continuo in termini di diritti sociali, diritti del lavoro. Schematizzando, si può affermare che la crisi di questa forma di Stato sociale può essere interpretata come la ridefinizione, la contestazione dei due pilastri principali sui quali poggiava lo Stato sociale e cioè, innanzitutto, il suo carattere nazionale.
Lo Stato sociale si è, infatti, costruito nel quadro degli Stati-nazione come Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia e la sua forza partiva dal fatto che questi Stati-nazione disponevano di un margine di autonomia alquanto importante per definire e finanziare le proprie politiche economiche e sociali. Evidentemente, nell'era dell'europeizzazione e della globalizzazione la base su cui poggiava la costruzione dello Stato sociale si trova ad essere quanto meno più fragile ed erosa.
In secondo luogo, questo Stato sociale si è sviluppato sotto l'impulso dello sviluppo economico e della pressoché piena occupazione che ha seguito la Seconda guerra mondiale e supponeva condizioni di lavoro  stabili in una situazione salariale solida. Le trasformazioni importanti che hanno riguardato il mercato dell'occupazione si traducono ora in disoccupazione di massa o precarizzazione delle condizioni di lavoro, cassa integrazione del mondo del lavoro, che lacera profondamente questo modello sociale al quale erano collegate le principali garanzie del diritto del lavoro e della previdenza sociale ...
Ma quali sono le ragioni principali della crisi dello Stato sociale?
La prima è la perdita di potere degli Stati-nazione. Lo Stato sociale è uno Stato nazional-sociale. Questa espressione, che non ha chiaramente niente a che vedere con il nazional-socialismo, sottolinea la caratteristica che ha lo Stato sociale di essersi sviluppato in un quadro nazionale; più esattamente nel perimetro di alcuni Stati-nazione dell'Europa occidentale che avevano una posizione dominante nell'economia del mondo. Ciò significa che Paesi come l'Italia e la Francia avevano il potere di controllare i principali parametri del loro sviluppo economico e sociale e di dispiegare allo stesso tempo politiche sociali ambiziose sulla base di questo rapporto di forza in un'economia dei cambi  ineguali.
La globalizzazione degli scambi e la libera circolazione di merci e capitali fa in modo che questi Stati-nazione non abbiano più autonomia sufficiente per attuare loro stessi le proprie politiche economiche e sociali ...
Sul piano europeo sorge la questione di un'Europa sociale e, a livello mondiale, l'esigenza di istituzioni internazionali dotate di poteri reali per controllare effettivamente il mercato. Ma allo stesso tempo credo che sia sufficiente enunciare queste esigenze per vedere quanto siamo lontani dalla meta ...

mercoledì 10 settembre 2014

COEFFICIENTE DI DIFFICOLTA'


a volte mi trovo a riflettere sul coefficiente di difficoltà, inteso come conseguenze reali di un’azione ipotetica che ho in mente, in relazione agli sviluppi possibili del tentare un qualcosa che appare “realmente” difficile da realizzare;  e quali potrebbero essere le reazioni della persona o persone interessate dall’evento.
in sostanza sperimentare una idealizzazione che si è fatta strada in me e che reputo possibile, teoricamente, ma complessa da attuare e che, soprattutto, vede coinvolti elementi terzi.
le idee nascono nei momenti di abbandono, così lascivi e terapeutici. quando tutto è ipotizzabile e tutto, proprio tutto, è sotto controllo.
si dipanano teneramente e costruiscono megastrutture di pensiero sulle sabbie mobili degli istinti primordiali.
le accarezzi, le lasci lievitare, gli doni la giusta dose degli elementi che le compongono, il “quanto basta”, che è il segreto di cucina di ogni cuoco che si rispetti.
e poi attendi. che il pensiero voli via e la realtà prenda di nuovo il sopravvento.
coefficiente di difficoltà.
ah, se potessi condurle verso un unico desiderio, che sento appartiene al nostro insieme, seppur ancora sommerso e imberbe.
ma il rischio è altissimo. sono in gioco troppi fattori. personalità distanti. con orbite diverse e forze di gravità eterogenee. i calcoli sono complicati. le reazioni possibili numericamente incontrollabili. l’animo umano è imperscrutabile. quando tutto sembra andare verso una direzione improvvisamente vira, e tende, deciso, verso un altro approdo, in modo particolare quello delle donne. così emotivamente instabili, ed ancorate alle certezze che le hanno condotte fino a dove sono arrivate. soprattutto “quelle due donne" che adesso vorticano nelle correnti ascensionali dei miei pensieri.
coefficiente di difficoltà.
ma se non rischi, che vivi a fare?  
potrebbe essere ancora più semplice di quello che penso. oppure estremamente più complesso. no, no. non è il caso di addentrarmi in cunicoli privi di luce e irti di pericoli a me sconosciuti. dopotutto sono un essere razionale. dotato di buon senso. fragile si, ma ancora stabile e ben piantato nella realtà.
no, no. non è il caso. quello che verrà, se verrà, nascerà d’improvviso al diradarsi delle nebbie che oggi ostacolano la nostra vista e inibiscono i nostri sensi. almeno i miei. occorre fiducia, non programmazione. istinto, non freddo calcolo. cuore, non formule matematiche.
coefficiente di difficoltà.
e se per aggirarlo fosse sufficiente solo attendere? si, è questo quello che farò. resterò in attesa, acquattato, come un predatore. fin quando l’istinto non mi darà il segnale che attendo.
e sono sicuro che non tarderà …

domenica 7 settembre 2014

FRAMMENTI DI FILE - SURREALISMO


- nulla accomuna i surrealisti e altri generi …
- nulla?
- potremmo avvicinarli al movimento dada, forse ...
- dada?
- perché parlo con te?
- perché sono qua, adesso, con te. nuda sul divano. che bevo jack daniel's e sto ascoltando le tue derive mentali che naufragano sulla mia spiaggia deserta e assolata, dove hai cercato riparo dopo il tuo arenamento.
- non sono un naufrago.
- lo sei sempre dopo ...
- il movimento dada presupponeva una tabula rasa totale di tutto quello che era conosciuto al momento in riferimento alla realtà.
- e i surrealisti?
- i  surrealisti proponevano … anzi ancora oggi propongono una realtà che è interiore, una visione intima della realtà, che prorompe dall’anima. è  quello che ognuno vede della realtà. la propria di realtà … io vedo un fiore e lo dipingo come lo “vedo nel mio interno”, nella mia visione, un travisamento onirico delle cose come appaiono nella loro nuda crudità, un …
- ho capito!
- non hai capito nulla!
- cosa vedi di me adesso?
- vedo … vedo … vedo una statua di marmo distesa sul sagrato di una chiesa. una statua senza volto, senza anima, senza il dono della parola.
- surrealista …
 - siii!
- sei  da sempre un surrealista … sei dalì.
- dalì non appartiene al movimento, ne è stato estromesso!
- perché lo era più di tutti …
- perché in effetti …
- non citarmi  cose lette sui libri di arte, sarebbe riduttivo. per te dalì è sempre stato il massimo esponente del movimento surrealista …
- ma quanto mi conosci?
- abbastanza per saperlo.
 - abbastanza per …
-perché non mi scopi di nuovo?
- togheter … one more time …
 - one more time baby.
- e così sia!
 - moon of alabama
 - moon of alabama

e i corpi divennero di nuovo uno solo, in un crescendo di vibrazioni accordate sull’unica nota che aveva un senso al momento …  quella dell’amore ...

(Appunto preso nella sua cucina mentre cerco un bicchiere d’acqua che mi quieti l’arsura del jack e dello sforzo fatto per farle raggiungere l’orgasmo. Anzi meglio. Per raggiungerlo io l’orgasmo. Ma tanto, alla fine, che sia il mio o il suo, non è importante solo che ci sia stato?)

venerdì 5 settembre 2014

FRAMMENTI DI FILE - BACKUP


fuori piove. e dalla finestra della mia stanza al lavoro sembra piovere ancora più forte. è una pioggia fitta, che occulta la vista. semmai io abbia voglia davvero di “vedere”. cosa è in realtà che avrei voglia di vedere?

il cielo mi appare grigio, di un grigio intenso, corposo, come un buon vino rosso che ti lascia lo stomaco acido, se non abbastanza rodato al suo gusto. ed è proprio così che sento il mio stomaco, annodato. come al terzo bicchiere di rosso, che oramai non tollero più. l’effetto è il medesimo. acido. e virante al disgusto. le gocce d’acqua sono così fitte che sembrano fili interminabili che vanno dall’asfalto al cielo e viceversa. ma esiste il cielo? cos’è, in realtà, che ci circonda? atmosfera? biosfera? ionosfera? e stasera?

continuo a guardare e a non vedere nulla. alberi sfumati, colori appassiti di quelle che mi sembrano macchine, edifici privi di contorni, non c’è più skyline. non ci sono più io. eppure attorno a me avverto movimento, frenesia, telefoni squillanti, voci ultracorporee. appuntamenti, fatture, date, money:

 - che fai stasera?
  - e a te che cazzo te ne frega?

 polimeri colorati, videopresentazioni preregistrate su powerpoint:

- perché powerpoint? potere del punto? punto al potere? o chissà che?

ma continuo a guardare. ma continuo a “sentire vibrazioni” dietro di me. la vita non smette mai di riprodursi. mai. ma tutto questo, una volta, una cazzo di volta, avrà smesso di copulare? non avrà mai avvertito un senso di stanchezza? io l’avverto. stanchezza. mollezza. voglia di mollare. di sedermi. metaforicamente, certo, ma di sedermi. girare sull’off:

 - ma perché non spento?

c’è talmente tanta frenesia e mancanza di tempo che adesso vanno di moda gli “audiolibri”. ma che cazzata è? dovrei comprare qualcuno che legge per me? magari mentre sono in macchina e vado al lavoro? “l’estate era noiosa dove sono cresciuto. Passavo lunghi pomeriggi a passeggiare sognando la grande città … mentre il parroco in bicicletta pedalava trafelato per raggiungere in tempo il campetto dell’oratorio, dove, di lì a poco un pallone avrebbe preso a rotolare nella polvere che avrebbe cambiato colore alle scarpe e alle magliette dei partecipanti all’evento in scena”, e tutte queste parole intrise di ricordi, sgorganti dalla voce dell’attore in voga al momento, mentre sei in fila sul grande raccordo anulare e ti scappa una bestemmia?

- ed il piacere di rileggere una frase che ti ha, magari, emozionato?
 - rewind!
 - e se volessi sottolinearla?
- non puoi!
 - ma vaffanculo!
 
e continuo a guardare. immerso nella placida follia di creare un momento iniziatico e magico solo per me:

- e che te ne fai?

già che me ne faccio se non l’accordo sul roteare impazzito delle lancette dell’orologio? se mi fermo non sono forse perduto? non vengo assalito da una cancrena parassitaria di inutilità? non mi faccio schifo?

love me two timeI’m gona away

jim morrison non ha precorso forse i tempi?
organo, solo nella mia testa. solo per me. e musica e sogni e chitarra e love me two time girl

no. non voglio smettere di guardare la pioggia. nel frastuono perverso dell’ufficio che coagula vite spente e ingenerose verso il miracolo che le ha messe nel vorticoso mondo che vivono. non voglio smettere.  voglio essere anarchico. uscire dalle leggi della fisica. voglio migrare nella metafisica. essere mefistofelico. bruciare e non morire. semplicemente rinascere. riappropriarmi dell’evento iniziale, piangendo a dirotto, con la pelle bluastra, avvizzita, stremata dallo sforzo di valicare la porta vaginale che mi immette nel mondo dei vivi. ma non ero già vivo? dipende dalle correnti di pensiero. se aderisci al pensiero scientifico o teologico. se  hai voglia di discuterne in parlamento. votare a favore o contro. se non fai incazzare il papa. basta una legge a definirti un “essere vivente”? o la parola di dio? o tutte e due insieme? chiedere la tua opinione? tempo sprecato. oggi della tua opinione non frega un cazzo a nessuno. del resto siamo una democrazia adulta. perché fino a ieri era minorenne? fanciulla? incapace e inabile? no, no. non ci siamo. adesso vado e dico la mia. anzi meglio. apro un blog e la scrivo la mia e vediamo come va a finire. se non la cambio la testa a questa massa adiposa e scivolosa che non ha più riferimenti. take me spanish caravanyes i know you can … se parliamo e scriviamo in troppi non è come se non lo facesse nessuno? non abbiamo tempo. ecco l’idea: l’audioblog. da sentire in macchina, mentre vai al lavoro:

- e se quella frase mi piace? mi procura vibrazioni positive?>
 - rewind!
 - e se volessi stamparla e attaccarla in camera da letto?
 - non puoi!
 - e se volessi  copiarla e mettermela come sfondo sul desktop?
 - non puoi!
- ma vaffanculo!

la pioggia scema.
io sono scemo.
la vita dietro di me continua imperterrita. fax, email, giroconti bancari:

- che fai stasera?
- e a te che cazzo te ne frega?
until the end.

Pomeriggio al lavoro, in una pioggia che si inocula nella primavera segnata già da dieci giorni sul calendario dell’anno …
di quale anno?
e che importanza ha?

giovedì 4 settembre 2014

ASSOLO


 

chiedimi  perché. adesso.

in questo lurido momento, mentre piangi lacrime di coccodrillo. che colano dalle tue pupille livide e splendenti, luccicanti, bagnate. splendida e coriacea, colpevole, guilty. rabbrividendo nella corrente endogena che spira vorticosa nella tua spiritualità infranta delle tue regole autodeterminate, e, per questo, ancora più cogenti. invalicabili.  profondamente realiste. almeno fino ad oggi.

chiedimi perché adesso.

mentre tiri su la sottana di seta nera a ricoprire il  tuo corpo esaltato ed esultante fino ad un attimo fa. sedotto e vinto nell’orgia terapeutica sgorgata d’incanto nel battere di ciglia che hanno serrato dolcemente occhi in idolatrico abbandono.

chiedimi perché, adesso, in questo lurido momento.

mentre ti siedi in fondo al letto e cerchi d’innalzare di nuovo lo sguardo, perso nel fondo dei tuoi pensieri non più incantati ma di nuovo alla ricerca della logica che comanda la tua ragione, sempre bilanciata e tesa all’equilibrio universale, con moti e tempi scanditi da regole divine, verso di noi.

chiedimi perché.
mentre le lacrime versate hanno reso arida la fonte da dove provengono; e asciughi quelle che ancora rigano il tuo viso con il dorso della tua mano, gentile quando la stringo.

chiedimi perché.

ma non ti risponderò.

coagulerò i nostri sentimenti così diversi in questo momento. è questo quello che farò; e li assorbirò, centrifugandoli, per farne colare fuori uno unico. indivisibile. fruttato. dionisiaco. un frullato che berremmo assieme. tutti e tre. come una pozione. come un’emozione. come una visione. come una perversione.

si, è questo quello che farò.

ma non ti risponderò.

tu, però, chiedimi perché.

martedì 2 settembre 2014

CERTE NOTTI

Certe notti, quando il dolore fisico derivante dall'alterazione dei tuoi valori biologici standard diviene insopportabile resti lì, inerte, nella luce artificiale della tua stanza da letto, nel silenzio che è simile ad un ronzio nella tua testa, nell'incapacità di sopraffare le fitte malefiche che attraversano il tuo corpo, nella metastati degenerativa che senti diramarsi in ogni singolo centimetro della tua pelle.
E vorresti non essere più umano ... Vorresti avere la capacitá di sapere non ascoltare il dolore ... Isolando la mente ... Purifucando i lamenti in un mantra positivo ...
E mentre l'orologio segna il tempo, le dieci, le undici, mezzanote, l'una, le due ... Ti rendi conto che nella malattia tutto assume un contorno diverso, soffice, lancinante, lento ...
Ti alzi, cammini, bevi, torni a letto, accendi una sigaretta, penetri in pensieri profondi, come una trance ... E poi ricominci ... In un vellutato isolamento, in un dolore che sale e scende come se fossi su di una giostra in un folle luna park privato.
La testa fra le mani, le smorfie di dolore, l'andirivieni dal bagno ... Di nuovo le fitte ... Una pausa ... Un mite sollievo ... Di nuovo una smorfia ...
Cerchi non sai bene cosa ... Ti sdrai ancora sul letto ... Dura un momento, forse un ora, forse meno, chissà ... Speri che qualcosa di trascendente accada, o più semplicemente che i farmaci assunti abbiano un cazzo di effetto sul tuo fisico debilitato, inerte, passivo.
E prendi coscienza della tua vulnerabilità di essere vivente temporaneo, sedotto dalla vita e solo nel dolore ... Massaggi il tuo corpo ferito sperando di cadere in un sonno comatoso che allontani almeno momentaneamente il malessere da te ... Distaccandolo, come l'anima che abbandona il corpo nel momento finale ...
Finchè, stremato, ti abbandoni all'inevitabile ... Aspettare ...
Certe notti sono infinite ... Certe notti non vorresti averle mai vissute ... Certe notti, pur nella vetta di un dolore lancinante, ti fanno comunque apprezzare maggiormente la vita ...