Francesca aveva sempre sofferto la sua statura, sfiorava i due metri, che la rendeva, a suo dire e usando un eufemismo, poco agile nei movimenti; si rendeva conto di essere sgraziata e per quanto avesse cercato di correggere il suo portamento viveva la sua fisicità come una menomazione, una disabilità, un handicap.
Nella pubertà le avevano accollato ogni genere di appellativo estremizzante la sua altezza, a quindici anni sovrastava i suoi coetanei di quindici centimetri abbondanti, e per quanto avesse cercato di ignorarli, al limite di abituarcisi e riderci sopra, ciò le aveva causato una sorta di stress psicologico permanente che l'aveva portata a vivere la sua socialità esclusivamente nelle ore scolastiche obbligatorie e a frequentare le lezioni universitarie minime per sostenere un esame; evitava accuratamente ogni altro contatto sociale tanto da lasciare anche l'amato basket, in quanto non avendo particolari qualità da esprimere nel gioco si sentiva comunque sopportata dalle sua compagne in quanto ritenuta "una pertica" da usare nei minuti finali per tentare, magari, di recuperare una partita che sembrava perduta.
Alla soglia dei trent'anni viveva come una reclusa, con una ottima laurea in giurisprudenza di cui non sapeva che farsene in quanto nessuno la prendeva in considerazione durante i colloqui per via della sua ingombrante presenza che metteva a disagio i suoi interlocutori.
Era stanca Francesca: era stanca dei troppi libri letti, della troppa televisione che si sorbiva ogni giorno, della preoccupazione dei suoi genitori per il suo futuro, delle lunghe e sempre più snervanti passeggiate solitarie nel bosco prossimo al suo piccolo paese in collina, dei suoi dialoghi con se stessa, di quel corpo che malediva continuamente, di sentirsi diversa, di non poter vivere una vita a suo dire "normale" per quello che voleva dire, di non poter sognare di avere accanto una persona da amare; era stanca, sopratutto, delle crisi depressive che sempre più frequentemente l'assalivano lasciandola lacerata nel profondo dell'animo.
Accadde così che in un piovigginoso giorno di novembre decise di andare a vedere un film narrante una storia d'amore al cinema. Accadde così che nel primo spettacolo pomeridiano la sala fosse vuota. Accadde così che si sedette nella seconda fila, le luci divennero prima soffuse per poi spegnersi e che i titoli di coda iniziarono a scorrere sulle dolci note suonate da un pianoforte. Accadde così che il primo tempo terminò e lei iniziò a piangere mentre le luci riprendevano vita. Accadde così che si accorse che nella sua medesima fila sedeva un ragazzo e che anche lui asciugava lacrime fuoriuscite dalla proiezione delle immagini sullo schermo.
Accadde così che i loro occhi umidi di pianto si incrociarono e che nei loro visi albeggiò un timido sorriso di complicità. Accadde così che il film termino in un tipico lieto fine hollywoodiano e che si ritrovarono a uscire insieme dalla sala mentre scorrevano i titoli di coda sulle medesime note suonate dal medesimo pianoforte dell'inizio.
Accadde così che una volta fuori i loro occhi si incrociarono di nuovo alla medesima altezza, non più umidi, non più timidi, non più soli.
Accadde così che il ragazzo che aveva di fronte le tese la mano, che lei la prese, che i loro corpi si avvicinarono, che per la prima volta entrambi avvertirono una strana ed inusuale sensazione di serenità.
Accadde così che Francesca scoppiò a ridere e portandosi la mano libera a coprire la bocca disse "nella botte piccola ..."; accadde così che il ragazzo le si avvicinò fino a sfiorarle il viso e ridendo le sussurrò "c'è poco vino ...".
Accadde così, che ci crediate o no ...
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