sabato 23 maggio 2009

IL DR. HOUSE

ventuno

vorrei essere il dr house.
per dire quello che penso degli altri liberamente. per agire solo ed esclusivamente per il fine fregandomene delle convenzioni che ci pongono limiti. per aggirare la falsa moralità che ci lega a profonde riflessioni sterili e prive di senso, incatenandoci al non fare. per pervadermi del totale disinteresse verso quello che gli altri pensano di me.
vorrei essere il dr house.
per compenetrarmi della mia superiorità nei confronti del mondo, come boudlaire. per disinteressarmi totalmente delle regole. per evacuare giudizi su altrui comportamenti e poi tirare lo sciacquone dopo essermi pulito con la carta igienica.
per dire al mio capo “ belle tette ma sex appeal e capacità zero”.
vorrei essere il dr house.
per poter usare droga pubblicamente, andandone fiero. per poter convocare puttane da sogno (e 300 dollari) a casa mia e fottermele. per costringere quelli che lavorano con me ad odiarmi, tanto dove è la novità?
vorrei essere il dr house.
con le sue capacità. il suo genio. il suo estro. la sua versatilità. il suo carisma. personalità. egocentrismo sfrenato. conoscenza.
ma non sono il dr house.
e le mie capacità non vengono pubblicamente riconosciute ed avversate.
ma non sono il dr house.
e non posso permettermi taluni atteggiamenti vanesi e cattivi, erosivi. verrei escluso. tacciato di antisocialità. la mia società fondata sulle libertà personali questo non lo accetterebbe. altrimenti dove sarebbe la libertà?
non sono il dr house.
ma dimmi, andrea, chi è che non vorrebbe esserlo?

COMPLEANNO

sedici

oggi compio 35 anni. non me ne rendo conto. alla mia età dovrei essere un uomo. alquanto maturo. con un lavoro stabile e, possibilmente, ben retribuito. una moglie, due figli, magari un bell’appartamento in una zona tranquilla, borghese, ipocrita.
e invece, andrea?
siamo in questo posto all’una di notte. siamo alla terza birra. tu hai tre anni più di me. siamo soli, andrea. te ne rendi conto?
percepisci la solitudine che ci accompagna? che rende tristemente vuote le nostre vite? siamo cleneex da usare e gettare via. siamo una giostra vivente per bambine capricciose che vogliono divertirsi una notte. o un week end. non riusciamo a tenere in piedi una qualsivoglia relazione. amicale. affettiva. amorevole.
siamo atolli oceanici affiorati nel tempo e che un tempo scompariranno senza aver lasciato la minima traccia, se non qualche avvistamento di navi che incrociavano per quel tempo le acque.
so che il mio tempo verrà. ma potrebbe anche essere molto avanti quel momento. e nel mentre cosa faccio? zompetto fra un lavoro ed un altro, un locale ad un altro, fra un film e una passeggiata. circumnavigando la mia vita in solitario, come fa soldini. ma almeno lui lo pagano. attraverso invisibile il mio vivere, come un fantasma che vaga nell’attesa.
sono insoddisfatto, andrea. sono molto insoddisfatto. non riesco più a detergere questa malinconia che mi accompagna. questo profondo malessere che si insinuato in me come un alieno e mi sta divorando come un cancro. non mi serve più neanche la droga. non allevia le mie pene. al contrario. le acuisce. le irrobustisce. e le rende sempre meno attaccabili.
vorrei piangere alcuni giorni. vorrei tanto piangere.
ma non mi riesce. sono arido come un deserto. e questo mi spaventa. mi inorridisce.
tu piangi andrea?
conosci ancora quel delicato momento di liberazione che sono le lacrime? quell’immenso fuoco purificatore che è il pianto?
siamo soli. e oggi compio 35 anni.
ragazzo, un’altra birra.
domani non andrò al lavoro. e neanche dopo domani. e fra tre giorni. non ci andrò più.
no, non ci andrò più.
pensieri(aforismi)&dialoghi tossici

domenica 17 maggio 2009

FOLLIA

trentadue

la follia è un lampo che attraversa la routine.
la routine è la culla della follia.

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CERTEZZA

ventisette

le sentenze dovrebbero essere definitive. la certezza della pena un dogma. la redenzione solo un fatto morale. intimo. ci si riabilita nel nostro io se lo si vuole e se si crede sia possibile farlo. la giustizia è tenuta ad applicare la legge. e a infliggere condanne. la buona condotta deve essere ex ante e non ex post.
ma dove l’autorità non è riconosciuta come tale e la sovranità dello stato considerata un appendice di tutte le altre che pervadono il nostro sistema, questo è un aspetto superfluo.
domani ucciderò una persona e millanterò una giustificazione ideologica.
scatenerò un putiferio. si attiveranno i media. i politici. la pubblica opinione. si farà revisionismo storico. si manifesterà e si faranno fiaccolate. mi difenderà gratis un pool di avvocati che avranno come compenso pubblicità gratuita. sarò portato alle luci della ribalta. poi mi condanneranno nei tre gradi di giudizio previsti, e nei due successivi al primo la mia pena sarà ridotta della metà. avrò una buona condotta in carcere. pubblicherò un libro e scriverò articoli su giornali. poi chiederanno di farmi uscire prima. domiciliari. al mattino al lavoro. magari in un posto pagato dallo stato. finché, dopo circa un terzo della mia condanna effettiva, non sarò di nuovo libero.

quanta è bella giovinezza
che si fugge tuttavia
chi vuol esser lieto sia
del doman non v’è certezza.

della pena.
pensieri (aforismi) & dialoghi tossici

SERA D'ESTATE

TREDICI

una sera parlando con il diavolo ho scoperto che dio esiste. la cosa mi ha colto di sorpresa.
ero seduto sul letto rimuginando sui fatti della giornata. sfogliavo distrattamente "lettere a lucilio" di seneca. lui comparve in un anelito di vento caldo, spalancando le ante della finestra con un leggero sbuffettio delle guance e sbattendo con il muso sul tappeto polveroso della mia stanza.
sono inseguito. mi serviva un rifugio.
le parole uscirono accompagnate da un sorriso. si rialzò e si sedette di fianco a me.
cosa leggi? mi disse come se fosse un amico venuto a trovarmi in una calda serata d’estate, noiosa e petulante nel suo sonnacchioso intercedere.
seneca risposi, soddisfatto e tronfio, atteggiandomi ad intellettuale.
bene. bravo. sto giocando a nascondino con l’arcangelo gabriele e questo mi è parso un buon nascondiglio.
bene. accomodati.
sarà solo per un minuto.
stai quanto vuoi.
poi si presentò.
piacere lucifero.
piacere.
la mano tesa era calda. la strinsi come quando ti presentano una personalità, con un filo di eccitazione e sottomissione.
scrutò veloce nella mia stanza. vide quadri, adocchiò una litografia di rembrandt raffigurante il faust e sorrise. poi colse l’immagine del cristo appeso alla parete. sorrise di nuovo.
sei credente?
ancora non lo so.
frequenti la chiesa?
un tempo.
cosa ti turba?
le troppe parole.
dio non parla.
è muto?
non ne ha più voglia.
ha detto troppo?
è stanco.
tu lo conosci?
eravamo amici un tempo.
cosa vi ha divisi?
una visione diversa della vita.
sei pentito?
amareggiato.
ti manca?
ogni tanto. quando infliggere sofferenze non mi diverte più. in fondo sono diventato un suo dipendente.
ti paga bene?
non mi lamento.
e il paradiso?
può attendere.
e l’inferno?
un casino.
poi smise di colpo. aguzzò la vista oltre la parete.
è qua fuori. mi ha trovato.
adesso toccherà te cercarlo?
può darsi. se non si è stancato.
vi divertite?
non è che ci sia molto da fare. è solo un passatempo.
e come contate il tempo?
non lo contiamo. non esiste. è solo una convenzione che vi siete dati da soli.
tornerai?
no.
allora addio.
dio esiste. io esisto. non dimenticarlo mai.
non lo farò.
e scomparve.
l’orologio segnava le nove. come quando era entrato.
io mi sentivo più vecchio.
non ho avuto paura.
accesi una sigaretta.
guardai l’icona del cristo.
pensai al silenzio di dio.
cazzo. non gli ho chiesto come lo paga.
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sabato 9 maggio 2009

POST DATATO

ventotto

ho ricevuto dall’amministrazione di un convento di suore un assegno post datato per un lavoro fatto presso di loro.
già. post datato.
anche le vie del signore sono finite.
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HO,FACCIO,VEDO

venticinque

ho due telefoni cellulari. un telefono fisso. internet e web cam. tre televisori. circa duecentocinquanta libri. conosco un centinaio di persone. ho una buona cultura. tre tessere per acquisti scontati in librerie. un bancomat. una carta di credito. una macchina ed una moto. frequento musei e mostre. ho anche un lavoro. ogni tanto rimedio una scopata. ogni tanto vedo un film. ogni tanto vado in vacanza. leggo tre quotidiani al giorno. vedo il telegiornale. vado a teatro. scambio e_mail. scrivo poesie. ho un discreto guardaroba. e una casa di proprietà. ho anche un box e posto auto condominiale. tre amici veri. un cane. ex ragazze. una certa considerazione dagli altri della mia intelligenza.
perché non sono felice?

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FORTUNATI, ALMENO UNA VOLTA

diciotto

ho trovato un portafoglio. l’ho svuotato dei pochi soldi che c’erano dentro. poi mi sono incamminato verso una buca delle lettere. e l’ho gettato dentro. "così, forse, riconsegneranno i documenti a quel povero cristo", ho pensato.
in seguito, mentre con quei trenta euro (più pochi spiccioli) destinatemi dal fato acquistavo un buon libro nella nuova libreria aperta in paese (finalmente!), ho avuto un rigurgito di rimorso.
un incrinatura dell’anima. un lieve e doloroso smottamento della coscienza. un tuffo in acque gelide.
è facile pentirsi, vero andrea?
ecco, mi sono pentito. ho fatto una cosa che non dovevo, che peserà per sempre nei miei altalenanti ricordi.
pentirsi e poi dimenticarsene, alzando le spalle e guardando di nuovo davanti a te. in fondo trenta euro non sono niente. chiunque altro lo avrebbe fatto. forse non avrebbe neanche imbucato i documenti.
chiunque altro.
ti sei mai domandato perchè i media danno sempre notizia di qualcuno che riconsegna qualcosa di valore al legittimo proprietario?
perchè ha qualcosa di sensazionale.
ritrovata borsa piena di soldi. consegnata ai carabinieri. ritrovato oggetto di valore su di una panchina. consegnato alla polizia.
e sopra ci si fa un pezzo. come se fosse un avvenimento extrasensoriale. inconcepibile per certi versi. la nostra evoluta e colta società non concepisce che qualcuno possa riconsegnare qualcosa che ha trovato in strada. sopratutto se di valore.
non dovrebbe essere esattamente il contrario? la “notizia” non dovrebbe essere che l’oggetto sia stato portato via da uno sconosciuto? è questo il nostro grado di civilizzazione? probabilmente se facessimo analizzare questa cosa in un programma di “approfondimento” con ospiti illustri e magari un politico in voga di turno, verrebbe fuori che una parte della nostra società (sempre la stessa ovviamente, perché chi parla in genere appartiene a quella parte pulita, onesta e diciamolo apertamente “più evoluta”) non riesce a fuoriuscire dalle sabbie mobili dell’opportunismo, del tornaconto personale, dall’atavica avidità del possedere, dall’imprenscindibile desiderio di sentirsi “fortunati almeno una volta”, dalla metastasi di fregarsene se quell’altro avrà un danno. e guardandoli mi verrebbe di pensare che il più delle volte parlino di loro. si autocelebrerebbero. denigrandosi. autoescludendosi da “quella parte” automaticamente ci si infilerebbero dentro. consapevoli o meno di far parte di “quella parte”.
quella parte sono gli uomini. sono tutti gli uomini.
io sono un uomo.
mi sono pentito del gesto. ma non sono andato a suonargli alla porta per restituirgli i trenta euro. non mi ha neanche sfiorato l’idea.
cosa avrebbero fatto gli ospiti illustri ed il politico in voga?
non lo so non ne ho idea.”
sarebbero andati alla polizia chiamando la stampa. una buona azione porta notorietà.
opportunismo. tornaconto personale. atavica avidità del possedere. l’imprenscindibile desiderio di sentirsi “fortunati almeno una volta”.
questa è la regola. questo è il mio mondo. questo è quello che non cambierà mai.
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domenica 3 maggio 2009

NO ONE HERE GETS OUT ALIVE

QUATTRO

L’ultimo giorno. Vivi sempre come se fosse l’ultimo giorno. Sempre e comunque. Indistintamente. Profanamente. Orgogliosamente. Voracemente. E invece i giorni passano. Trascorrono inesorabili in un susseguirsi furioso. Raramente in armonia completa con il tuo corpo e la tua mente. Spirito. Volatilità. Si sbranano come bestie feroci nella savana. Ultimo baluardo di bellezza struggente e ammaliante. Nella savana. Bestie feroci. Fameliche. Assetate. E tu sempre come se fosse l’ultimo. E alla sera aspetti. Che succeda. Quello che non succede mai. O almeno ancora non è successo. O forse è successo e quello che vivi è solo l’altra realtà. Quella apparente. Quella della dimensione sconosciuta. Quella dei non vivi. ti capita mai di pensarci? Certo che si. Ne sono strasicuro. Come è vero che esisto. O forse no?
E così giorno dopo giorno non riesci a costruire nulla. Tutto si volatilizza nell’eresia del dogma. Nella cruda religione senza alcun dio. La tua. Nella più esasperante ortodossia. Nella talebana e arcaica visione coranica di un credo che nulla ha più del verbo originale. Sacro. Puro. Spirituale.
Il significato del significante si perde in rivoli di pazzia e gesti scaramantici. In un isolamento duro. Destabilizzante. Pietrificante. E tutto quello in cui credi ti divora come un cancro irrepetibile e mai studiato. Comunque non curabile. Niente chemio. Né ospedali. Né viaggi della speranza. Non basterebbero tutti i soldi di soros. Né di bin laden. E l’icona del cristo appeso alla parete diviene sempre più sbiadita mentre la tua bibbia recita sempre e solo la stessa frase in tutte le pagine che giri disidratato in cerca della verità. Vivi sempre come se fosse l’ultimo giorno. E nel cd risuona stantia e satanica la voce di morrison. No one here gets out alive. No one here gets out alive. No one here gets out alive...
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MEMORIA

TRE

E così viaggi come indiana jones alla ricerca dell’arca perduta. La tua memoria. Attratto dal lato oscuro della forza mentre obi uan kenobi cerca di riportarti nell’altro emisfero. Ed hal prende i comandi della nave spaziale che ti conduce nello spazio ignoto verso la destinazione che qualcuno aveva programmato per te. Ma l’uomo non è capace di calcolare tutti gli imprevisti. O forse nel suo delirio di onnipotenza pensa semplicemente che alcune cose non possano mai verificarsi. E così una macchina decide che basta. Ora si fa quello che dico io.
E la perdita di memoria ti riduce ad un automa che non ha più volontà, perché il programma originario è saltato, ed i codici impostati vengono ricalcolati all’istante, in una frazione di secondo. E si impossessano di te, conducendoti dove non credevi fosse possibile, attraverso un universo troppo grande per essere solo pensato. Troppo grande per essere esplorato. Come la parabola del bambino che voleva svuotare il mare con una conchiglia.
Forse certe cose si sapevano prima di scoprire quello che oggi riteniamo frutto dei nostri studi e capacità di migliorarci.
Perché ancora oggi non sappiamo spiegare come alcune civiltà oramai estinte siano state capaci di fare quello che hanno fatto? Siamo sicuri di essere così avanti? Non è che invece stiamo regredendo? Inconsapevolmente? Colpevolmente? Compenetrati e vinti dall’inevitabile che non riusciamo ad accettare?
Pseudo dominatori della volta celeste. Pseudo navigatori fra stelle estinte. Pseudo millantatori di capacità che non ci appartengono?
La memoria.
La memoria mi abbandona. E la memoria è cultura. La mia cultura va a farsi fottere. Io vado a farmi fottere. Cosa mi racconterò nei lunghi pomeriggi della mia vecchiaia se avrò la fortuna di arrivarci? Se non mi schianterò prima con la mia motocicletta. Se non mi prenderà un infarto. Se non mi uccideranno. Se non avrò la fortuna di vedere estinta prima questa dolorosa sofferenza che è la mia vita?
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SUPER EROE

DUE

Quello che più ti angoscia è la perdita completa della memoria. Un assoluto vuoto che percorre croste celebrali incrinate da violenti urti di schioppettanti mal di testa. Che si accendono improvvisi come uragani nelle tiepide e tranquille acque caraibiche. Quando il mare ed il cielo si confondono nel medesimo, pallido e nebuloso colore e tutto intorno cessa ogni minimo rumore. E tutti solo lì che attendono l’inevitabile. Nella speranza pagana che non cresca a dismisura e si trasformi in una forza distruttrice. Quando anche gli abitanti marini cercano riparo negli anfratti della barriera corallina, così fragile all’apparenza ma così forte da tenergli testa a volte.
Ecco. La perdita di memoria. Una linea piatta, che in quegli apparecchi installati negli ospedali segna la fine della vita. E nelle trite facce dei medici abituati alla morte sorgono di riflesso quelle due parole: “ mi dispiace”.
Cazzo mi dispiace. Pensi a noi quanto dispiace.
Ma a noi, pazienti e medici di noi stessi, cosa potremmo mai dire? Mai sentirci dire? “mi auto dispiace?”
Sembra un idiozia. E forse lo è. Ma non è una idiozia apparente tutto quello che abbiamo percorso fino ad ora?
Ma la memoria non c’è più. S’è volatilizzata. È naufragata nel liquido che accoglie il nostro cervello. O il suo residuo bellico. Dopo tante guerre autodistruttive. In cerca di un nemico che non c’è. Se non nello specchio. Il tuo riflesso. Il te stesso tuo nemico. Imbattibile e sorridente come un super eroe che non riusciamo ad abbattere nonostante tutto. Un icona che noi stessi abbiamo reso immortale. E che adesso non ricordiamo come abbiamo creato. Perché se l’abbiamo creato dovremmo avere anche i mezzi per abbatterlo.
Ma forse la domanda è un'altra.
Vogliamo davvero abbatterlo?

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