lunedì 27 febbraio 2012

TI HO VISTO ANDARE VIA...

Ti ho visto andare via  nel giorno incipiente...raccogliere ii tuoi vestiti sul pavimento, dove erano finiti nell'esultanza di due corpi avidi di scoprirsi, toccarsi, entrare l'uno nell'altro.
Ti ho visto andare via  in un silenzio irreale, nella penombra di una flebile luce di un lampione filtrante dalle fessure della persiana che affaccia sulla strada.
Ti ho vista andare via, e avrei voluto dire tante cose. Ma tante cose non sono, forse, nessuna cosa? 
Il tuo occhi rivolti verso il basso, cercando di sfuggire il mio sguardo...i tuoi gesti furtivi...veloci...come i tuoi pensieri...
Poi la porta, il portone, suoni sordi e violenti come pugni...e poi più nulla.
Ero nel letto, riverso su di un lato, e lì sono rimasto a guardarti...poi mi sono girato ed ho acceso una sigaretta...
E mi sono tornate in mente tutte le volte che hanno visto andare via me...furtivo, a volte con le scarpe slacciate, o senza cintura, o la camicia d'estate...quante volte in quei silenzi imbarazzanti solo per non dormire in un letto con qualcuno...per non dargli l'abitudine mi dicevo...chissà poi perché....una scusa come un'altra.
Ho rivisto le strade deserte nella notte più profonda, in mattine appena annunciate, ancora fredde e vitree...
Ho sentito di nuovo la voce di Skin degli Skunk Anansie.... "I don't want  you to forgive me...You follow me down..." ...nei finestrini abbassati per fumare nel gelo pungente.
Ho sentito ancora le voce di chi mi chiedeva di restare...che pensava altro...che mi insultava...
Ho pianto, mentre la mia macchina del tempo ripercorreva tutte le strade percorse in tutte le notti nelle quali hanno visto me andare via...
Infine ho capito...che quella maledizione non può avere fine...mentre il sole era già di nuovo alto e striava il muro fendendo la barriera posta a limitarlo.
Ti ho visto andare...ed è stato come se il tempo riavvolgesse sempre lo stesso film, in un paradosso temporale che scambiando i ruoli ha scambiato anche le forti emozioni percepite dagli attori in scena...
Ti ho visto andare via nel silenzio di un giorno che mutuava una notte che avevo vissuto tante, troppe volte...

lunedì 20 febbraio 2012

5 DOMANDE A : MAURIZIO CENTI




Maurizio Centi è nato nel 1959 a Roma, dove tuttora vive, lavora come doganiere, e scrive.
Nel 2007 ha vinto il 2^ concorso letterario nazionale “Laboratorio Gutenberg” col racconto Orizzonte, pubblicato nell’omonima antologia del premio (Laboratorio Gutenberg, Roma, dicembre 2007).
Nel 2008 ha pubblicato il mio primo romanzo, I panni sporchi (Ibiskos Editrice Risolo, Empoli, maggio 2008).Nel 2009 è stato finalista del “Premio Logos, IV edizione” col racconto Fuori dalla tana, pubblicato nell’antologia del premio (Perronelab, Roma, giugno 2009). A partire da allora molti suoi racconti, già inseriti in diverse antologie, sono stati riuniti assieme ad altri nella raccolta antologica Fuori dalla Tana (Edizioni Creativa, giugno 2010, premessa di Claudio Lolli), che ripercorre idealmente trent’anni della vita dell’autore.E’ stato il curatore dell’antologia Racconti di frontiera (Laboratorio Gutenberg, ottobre 2010, premessa Prof. G.Ruozzi, Dip.to Italianistica Università Bologna), venticinque racconti liberamente ispirati al tema della frontiera scritti dai doganieri italiani.Recentemente ha vinto il concorso letterario nazionale “Ibiskos 2011”, sez. racconto breve, col racconto Un nuovo inquilino.Attualmente è in corso di stampa il libro fotografico Hotel Rebibbia (Herald Editore, Roma), che contiene tre suoi racconti sul tema del carcere.

Iniziamo dal tuo ultimo lavoro "Fuori dalla tana". Una raccolta antologica dei tuoi lavori pubblicati in diverse antologie. È stata una necessità che avvertivi quella di riunire in un unica raccolta la tua produzione ?

La risposta a una domanda di questo genere implica un accenno al racconto breve, che è la forma di scrittura più in armonia col mio carattere e col mio modo di vedere la realtà. Ero un ragazzino quando ho cominciato a scrivere racconti ed è ancora il genere di letteratura a cui mi dedico tuttora, e nel quale mi esercito a trovare una forma di scrittura solo mia. È quindi la mia passione e il mio laboratorio, per certi versi la mia storia. Per questo ho cercato Claudio Lolli per chiedergli due righe di premessa al libro e ho avuto la fortuna di trovarlo disponibile e di berci assieme due bei bicchieri di traminer.

Riunire in un libro i miei racconti è stata perciò un’idea che non poteva non venirmi, anche se forse – nell’impellenza di riunirli tutti – né io né l’editore ci siamo resi conto che alcuni di loro legavano con difficoltà con gli altri, finendo per dare l’impressione di un libro non del tutto coerente. Ma Fuori dalla tana è stata e rimane un’esperienza interessante, anche perché mi ha dato l’opportunità di lavorare con Gianluca Ferrara di Edizioni Creativa, una persona schietta e amichevole, il che non è consueto nell’ambiente editoriale.




La Garbatella. Da quello che scrivi sembra un posto fiabesco, magico...é una visione che ti é rimasta dentro dall'infanzia e non ti ha mai abbandonato?

Probabilmente sì, mi colpisce il fatto che tu l’abbia dedotto da quel poco che ho scritto al riguardo, ma effettivamente questo quartiere romano rappresenta per me e per molti altri qualcosa di speciale che non saprei definire se non usando un torrente di parole. Ci ho respirato dentro quasi tutti i giorni da ragazzo, negli anni Settanta, ci ho conosciuto gli amici che ho tuttora; l’ho setacciato assieme ad un gruppo universitario di ricerca antropologica da grande e ho scritto un’appassionata tesi sulla sua realtà; e poi…






I sette sorsi alla fontana Carlotta (Alla Garbatella ci sta la fontana Carlotta..ndr); un tuo desiderio che si è avverato...

Proprio così, non ti è sfuggito neanche questo. Però poi, oltre all’amore per una donna molto bella che da allora mi sta accanto, mi è rimasto l’impulso ad andare avanti e a lasciare un segno, la voglia di raccontare in quante forme si può vedere il mondo e di trovare un modo sempre più convincente di farlo. Scrivere, si sa, è una sfida con se stessi, è tentare e ritentare, sperare di trovare prima o poi la strada. Oppure il bello è proprio questo continuo camminare a tentoni, senza mai quelle certezze che lasciano sfuggire lo sbadiglio.

Credi che sia possibile, oggi, "sfondare" nel mondo articolato dell'editoria senza le "necessarie" conoscenze?

Non voglio crederci, non posso farlo. Da una parte viene da dire che se pure fosse non mi cambierebbe proprio niente, perché scrivere è una necessità personale. Ma a essere sinceri va a finire che uscire allo scoperto oltre che paura in fondo dà piacere, e non si può negare. Perciò l’ottavo sorso di Carlotta, quello di cui nessuno ha mai parlato, è dedicato proprio a questo genere di sogni. Come un giocatore che si prepara giorno dopo giorno per arrivare in perfetta forma all’impegno più importante, voglio continuare a lavorare per poter saltare sul mio treno di volata se un giorno dovesse mai passare. Io ci sto provando, chi lo sa.

Per concludere, so che stai concludendo un importante progetto editoriale...

Mi dai l’opportunità di parlare di qualcosa di importante, e che è costato tre anni di tempo e un bel po’ di fatica. Entro primavera uscirà con la collana ‘Quaderni dal carcere’ di Herald Editore il libro di foto e racconti Hotel Rebibbia. Si tratta di un libro centrato sulle splendide foto fatte nel carcere romano dal fotografo Gaetano Pezzella, a partire dalle quali un gruppo di scrittori ne ha tratto ispirazione per scrivere i racconti incastonati tra le immagini del libro. Il tutto, come in qualsiasi manuale di ricette, è stato infine legato assieme dal filo rosso del racconto di una notte in cella dal poetico realismo di Cristobal Munoz, mediatore culturale all’interno dello stesso carcere, e dall’abilità di grafico di Danilo Rosati.

Hotel Rebibbia non è la solita denuncia, né un libro che cavalca l’onda. Mostra una realtà più vicina alla nostra di quanto non ci sembri, un’esistenza in vita nonostante, e tanto ci è bastato.

È un libro in cui crediamo molto.

Al di là di ogni altra considerazione sia possibile fare sui lavori di Maurizio Centi, mi preme sottolineare la continuità che ha saputo dare alla sua passione di scrivere, segno inequivocabile di una ferrea determinazione. La continua ricerca della frase che fosse “solo sua” lo ha portato a sperimentare, fino reputare il racconto la sua migliore forma espressiva. Una forma artigiana, densa; mai copiosa, torrenziale, logorroica, ma schietta e diretta. A volte nostalgica (…O forse per quell’aria da Roma sparita che ti avvolge ogni volta di nostalgia…), ma vera, e vissuta.



domenica 5 febbraio 2012

5 DOMANDE A: MELANIA BUHALAKIS






Melania Buhalakis nasce a roma il 9 febbraio del 1987, sotto il segno dell'acquario; durante gli studi della maturità inizia a cucire abiti da autodidatta.
Sulla crescente passione  della creazione fine a se stessa (allargando i suoi orizzonti anche agli accessori) si iscrive allo IED ( istituto europeo di design ) nel corso triennale di moda: 
“Ho  sentito il bisogno di creare qualcosa di mio, di esprimere il mio mondo anche attraverso gli accessori,  perché esprimono appieno il carattere di una persona".
Parallelamente sviluppa un forte interesse per la fotografia e al termine del corso di studi sulla moda frequenta la Scuola Romana di Fotografia, immergendosi nella sperimentazione e affinando il suo, già sviluppato seppur embrionale, senso estetico, lavorando sopratutto su se stessa attraverso la tecnica dell'autoscatto.


Accessori di moda espressione della personalità. Oggetti unici rappresentativi dell’Io, di quello che è o si vorrebbe essere. Distintivi tribali di epoca contemporanea… sono forse troppo azzardati come termini di paragone?

In parte si. Gli accessori che creo, sono collegati ad un mio mondo sotterraneo in  cui convergono il mio amore per la natura, in tutte le sue forme, e le epoche passate, come i primi del 900. Gli anni 20-30 sono permeati, secondo me, di un fascino seducente e noir. Un’altra figura che mi ha ispirato è stata Frida Kahlo, pittrice messicana. Leggendo la sua biografia, mi piacque molto il suo attaccamento verso la sua terra natia e a dimostrazione di questo, indossava tipiche collane o bracciali messicani, i capelli intrecciati con fili di lana variopinti  e costumi tradizionali. in tutto questo, si esprimeva la sua personalità.



La fotografia imperniata sull’autoscatto. Egocentricità o necessità di trovare una forma espressiva che completi le tue creazioni?

La necessità dell’autoscatto è nata prima delle mie creazioni. C’è in parte dell’egocentricità, penso che in ognuno di noi ci sia, ma per me è stato ed è tuttora un modo di sperimentare me stessa e in questo mi sento molto affine a Francesca Woodman, una fotografa americana che ho amato dal primo momento in cui ho sfogliato un suo libro. Tutto il suo lavoro ruotava sull’autoscatto e prediligeva i paesaggi interiori che si creavano dentro se stessa.


IED e Scuola Romana di Fotografia, hanno influito sulla tua comunicazione artistica? Se      si, in maniera determinante?

Hanno influito, ma non in maniera totalizzante. Certamente, mi hanno dato gli strumenti necessari per sviluppare di più il mio senso estetico e sia per quanto riguarda la moda e la fotografia, mi hanno mostrato il lavoro complesso che c’è dietro un semplice scatto o un abito.




Il fine (creare) necessita di un mezzo che modelli il tuo pensiero. Quelli che hai scelto tu si sono fatti trovare loro o sei tu che li hai cercati sperimentandone anche altri?

Entrambi, dipende dal momento. Spesso è accaduto di aver cominciato un progetto, che poi si è evoluto in tutt’altro modo, altre volte si sono fatti trovare loro attraverso una fotografia scovata in una rivista, in un film, in tutto ciò che mi circonda!




Per chiudere, vivi la creazione in modo ansioso, ossessivo? O nell’elegia del momento avverti più un contatto spirituale che ti conduce serena verso l’obiettivo?

Una delle fasi della creazione che preferisco: è l’ispirazione. Sento una grande energia dentro di me, tutto può aiutarmi affinché ciò che ho nella mia mente prenda forma, e si avvicini di più all’idea che ho costruito nel mio Iperuranio. Confesso che nel pieno della produzione, non vedo l’ora di avere tra le mani l’oggetto finito.

Melania Buhalakis muove i suoi primi passi nell’etereo mondo dell’arte, con espressività, sentimento, personalità, eccentricità e tanto, tanto altro ancora. Mi sono imbattuto nei suoi lavori per caso e ne sono stato subito toccato, avvertendo in lei una certa sensibilità creativa che, a mio modo di vedere le cose, mostra notevoli potenzialità espressive.  Seppur in uno stato embrionale la sua idea sta prendendo corpo e sostanza, cercando luce che la riscaldi e le dia linfa vitale, assemblando materia e creando immagini da uno scatto…

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