mercoledì 24 febbraio 2016

UE - UNIONE EUROPEA

Il 30 marzo 2010, sulla Gazzetta Ufficiale Europea C83 è stato pubblicata la versione consolidata del TRATTATO SULL'UNIONE EUROPEA ed IL TRATTATO SUL FUNZIONAMENTO DELL'UNIONE EUROPEA, che contiene al suo interno LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UNIONE EUROPEA (pag. 389).

Il trattato, detto anche Trattato di Lisbona, è nato sulle ceneri della Carta Costituzionale Europea che non è stata ratificata in quanto nei due unici paesi (Francia e Paesi Bassi) dell'unione in cui è stata sottoposta a referendum  popolare è stata bocciata e in conseguenza di ciò, non essendoci stata l'unanimità necessaria alla sua promulgazione, non ha visto la luce; in tutti gli altri paesi, compreso il nostro ovviamente, l'accettazione della carta era stata sottoposta solo ai voti delle camere di rappresentanza che l'avevano ratificata con apposita votazione.

Parte del contenuto di quella che doveva essere, appunto, la carta costituzionale europea è stato inserito nel Trattato sull' U.E, tra cui la Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea; il preambolo di quest'ultima recita questo:

"I popoli d'Europa, nel creare tra loro un'unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni.
Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto. 
Pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
 L'Unione contribuisce alla salvaguardia e allo sviluppo di questi valori comuni nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli d'Europa, nonché dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale; essa si sforza di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, nonché la libertà di stabilimento. 
A tal fine è necessario rafforzare la tutela dei diritti fondamentali, alla luce dell'evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici, rendendo tali diritti più visibili in una Carta. 
La presente Carta riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti dell'Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dall'Unione e dal Consiglio d'Europa, nonché dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea e da quella della Corte europea dei diritti dell'uomo. 
In tale contesto, la Carta sarà interpretata dai giudici dell'Unione e degli Stati membri tenendo in debito conto le spiegazioni elaborate sotto l'autorità del praesidium della Convenzione che ha redatto la Carta e aggiornate sotto la responsabilità del praesidium della Convenzione europea. 
Il godimento di questi diritti fa sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future. Pertanto, l'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi enunciati in appresso".
Quante persone, non dico in europa, ma in Italia sono a conoscenza di questa Trattato, esclusi gli addetti ai lavori?
Quante persone sono a conoscenza che il Parlamento italiano aveva approvato la Carta Costituzionale Europea senza chiederne il parere ai cittadini?
Quante persone sono a conoscenza di come effettivamente funziona l'Unione Europea?
Quante persone sono a conoscenza di quali e quante materie ha competenza a legiferare esclusivamente l'Unione Europea?
Abbiamo accettato passivamente la cessione di sovranità di stato in alcune materie specifiche, che hanno, per forza di cose, riverberi sulla potere legislativo anche nelle materie che restano di esclusiva competenza di ogni singolo stato membro.
Progressivamente le facoltà di legiferare liberamente sono state erose e con l'entrata in circolazione della moneta unica ridotte all'osso nella materia economica, quella, forse, che più ha incidenza nella vita quotidiana di ognuno di noi.
Il Patto di stabilità ha prodotto, e produce, effetti collaterali sempre più difficoltosi da tenere sotto controllo, ovvero ha ridotto, anzi  quasi azzerato, gli spazi di manovra per gli stati membri.
L'entrata in vigore della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea ha sancito, a tutti gli effetti, la nascita di una Confederazione di Stati simile a quella degli Usa, con un potere legislativo centrale forte ed uno residuale di competenza dei singoli stati affiliati.
Tutto questo nell'assoluta indifferenza, per larghi tratti, della partecipazione popolare alla discussione su come, quando e sopratutto perché.
Frammentati e dispersi nelle corporazioni che affollano la partecipazione politica italiana, già di per se piuttosto scadente, la nostra incisività nelle scelte fondamentali sul nostro futuro è poco meno di nulla; a decidere, in effetti, sui destini di circa cinquecento milioni di persone sono da un punto di vista numerico 28 persone (i presidenti dei vari consigli europei), in pratica due, forse tre.
Occorre prenderne coscienza prima che sia troppo tardi (ammesso che già non lo sia); questo non è più procrastinabile.
In alternativa occorre smettere di lamentarsi. Come funziona l'Unione è stato scritto, è stato accettato,  è stato ratificato ed è entrato in vigore.
Il resto sono chiacchiere, ammesso che si abbia ancora voglia di farle.



domenica 21 febbraio 2016

IL PIANETA INOSPITALE

Il 70,8% della superficie del pianeta terra è occupato dall'acqua; il restante 29,2% da montagne, deserti, altipiani e pianure.
Se consideriamo che il 29,2% comprende vaste aree comunque non adatte alla vita, quello che resta, diciamo per eccesso un 10% di territorio considerato abitabile, seppur in alcuni casi con condizioni di vita alquanto estreme, vede risiedere sopra di esso circa 7 miliardi di individui (stima dell'anno 2011).
In pratica, la vita sul pianeta è concentrata solo in una piccola parte di esso e, per lo più, circa il 60% (diciamo 4 miliardi) in aree urbane; il resto in aree che potremmo definire rurali  in contrapposizione alle prime.
Dunque, la crescita esponenziale della razza umana sta producendo enormi ammassamenti di individui nelle zone così dette abitabili, ovvero ospitali, dove le condizioni si ritengono idonee per la sopravvivenza della specie; molte zone sono state abbandonate e altre stanno subendo la stessa sorte. C'è in atto una tendenza mondiale a lasciare posti remoti dove la vita è molto difficile a causa sia della situazione morfologica del territorio sia del clima.
Il problema che prima o poi saremo costretti ad affrontare sarà quello della sovra popolazione con conseguente riduzione delle risorse naturali che il pianeta mette a disposizione per la vita.
La civiltà umana ha avuto nel mediterraneo la sua culla, non per caso; è, in assoluto, il posto più adatto per la vita umana, considerando sia il territorio sia il clima. C'è un mare circoscritto che tempera la temperatura solare di concerto con le catene montuose che costituisco la spina dorsale del continente europeo; pur nelle estremità dello stesso, i paesi scandinavi al nord e i paesi che fronteggiano il continente africano al sud, la vita è da considerarsi comunque agevole, o comunque non impossibile.
La transumanza in atto verso il paesi europei non è dettata solo dalla nostra evoluta struttura sociale, che permette di vivere in considerazione di poter lavorare, guadagnare e far crescere i figli al riparo da da tutte le intemperie (di ogni natura) che, purtroppo, regolano la vita in altre parti del pianeta. Lo stesso dicasi per gli Stati Uniti d'America, pur se quel territorio è, per vaste aree, comunque disabitato e, di certo, con una situazione climatica non paragonabile a quella europea.
A mio modo di vedere è in atto una ricerca di sostituzione del territorio dove vivere, ovvero, l'uomo, portato per sua natura alla sopravvivenza, è sempre in cerca di posizioni territoriali migliori nelle quali sviluppare la propria progenie.
Mi sembra di percepire che questa ottica oggi non sia ben chiara dove dovrebbe esserlo; il problema, perché tale è, viene vissuto, a mio parere, solo in un ottica di ricerca del benessere in quanto tale assicurato dal livello di vita raggiunto sia in europa che negli USA.
Il proliferare di barriere artificiali ai confini (si pensi a quella, appunto, americana al confine con il Messico, lunga 4.000 km, ma potrei citarne tante altre) testimoniano questa protezione ma, ripeto, dettata solo da una natura di tipo economico e non come protezione del territorio vera e propria.
Si potrebbe obiettare che al di là dello scopo il territorio venga comunque protetto; sono d'accordo, ma questa ottica resta riduttiva se il problema non viene affrontato radicalmente.
La prossima guerra che si combatterà sul pianeta sarà quella della conquista dello spazio vitale, ovvero del posto fisico dove vivere in ragione della sopravvivenza.
Il clima sta cambiando; sul pianeta è sempre successo e succederà finché sarà in vita: il succedersi delle varie era sta li a dimostrarlo. La natura ha le sue esigenze e poco importa di chi ci vive nel mezzo; segue il suo corso e mieterà le sue vittime.
Il pianeta terra non è un pianeta ospitale, questo è un falso mito; ci sono zone su di esso che permettono a strutture biologiche come la nostra di viverci sopra (probabilmente la nostra struttura organica è stata pensato proprio in funzione delle condizioni del piante e non viceversa, ovvero che ci siamo adattati), ma resta per il 90% un posto non adatto alla vita umana.
Una stele ritrovata in territorio caucasico, di cui si ignora la provenienza ovvero chi l'abbia costruita, reca un monito scritto in varie lingue che consiglia in relazione alle risorse naturali della terra che la popolazione mondiale non avrebbe dovuto superare i cinquecento milioni.
Siamo andati molto oltre. Probabilmente, magari, questo non è e non sarà un nostro problema nel breve; siamo egoisti e pensiamo, forse giustamente, solo a noi stessi. Forse tutto questo discorso non ha senso. Forse, in futuro, sarà possibile, magari, vivere nell'acqua o sotto di essa. Forse domani finisce tutto e amen. Forse no.
La domanda resta: dove stiamo andando?

giovedì 18 febbraio 2016

LA APPLE. L'FBI, IL KILLER

Sta facendo rumore il rifiuto da parte della Apple di creare un software che violi il codice di accesso dell'IPhone dell'autore della strage di San Bernardino (22 morti e 14 feriti in un centro disabili in California).
L'FBI ha chiesto all'azienda di Cupertino di progettare un programma che permetta di individuare il pin di accesso del telefono dell'autore della strage nella speranza di accedere ad informazioni ancora residenti nella memoria dello stesso.
Il pin di 4 cifre permette 10.000 combinazioni; per tentare l'accesso si hanno al massimo 10 tentativi, fallito l'ultimo il contenuto all'interno dell' IPhone di cancella automaticamente. Inoltre, occorre che passi un certo periodo di tempo fra un tentativo e l'altro, motivo per cui la progettazione del software dovrebbe prevedere anche l'eliminazione di questo problema accelerando i tentativi.
Il motivo del rifiuto è stato comunicato dalla APPLE ai propri clienti: "Il governo suggerisce che tale strumento verrebbe usato solo una volta. Ma non è vero. Una volta che avessimo creato questa tecnologia, essa potrebbe essere usata continuamente. Sarebbe paragonabile, nel mondo fisico, a una chiave maestra in grado di aprire milioni di serrature, da ristoranti a banche, da negozi a case private. Nessuna persona ragionevole accetterebbe una cosa simile".
Il problema in questione riguarda la crittografia (encryption), ovvero codici cifrati molto complessi da violare se non si ha a disposizione la chiave per decriptarli, e la tutela della privacy e delle tecnologie informatiche.
La crittografia in questione è denominata "FULL DISK", che garantisce privacy totale, con controllo assoluto dei propri dati da parte dei clienti APPLE (anche Android si sta dotando dello stessa sistema), in quanto neanche, appunto, il produttore la può violare.
Non esiste alcuna legge in proposito, né negli USA (né nella UE), per questo la Corte Suprema degli Stati Uniti si occuperà del caso.
E' un problema filosofico di non facile soluzione; da un punto di vista della garanzia di poter perseguire reati avere questo accesso permetterebbe, forse, di arrivare a conclusioni certe riguardo alla questione indagata; da un punto di vista della natura privata dei dati che vengono archiviati dalle persone sui loro hardware questa sarebbe una grave, e a tutto oggi illegittima, violazione della privacy.
E' giusto che per ragioni di ordine pubblico (nel tema in argomento il punto focale è il terrorismo) qualcuno abbia a disposizione una chiave universale per accedere ad informazioni private? La strage di San Bernardino è il grimaldello per violare ulteriormente il diritto di tutelare la nostra propria vita privata, come se già non lo fosse abbastanza?
L'esplosione a livello globale di atti terroristici con conseguente incremento della paura che dal 2001 (Torri Gemelle) è il tema centrale di tutte le precauzioni vengono prese dagli Stati mondiali riguardo ad essa, che recano con se continue aggressioni alla vita quotidiana delle persone e vessazioni da sopportare nel suo nome (si pensi agli aeroporti a titolo esemplificativo).
Stiamo per entrare in un punto di non ritorno riguardo al potere dei Governi mondiali sui singoli abitanti del pianeta; ci forniscono tecnologia e ci dicono come tutelare il suo possesso, ma vogliono mani libere se occorresse lori di sapere quello che vogliono in quel determinato momento.
Mi ripeto, usiamo macchine di cui ignoriamo il funzionamento; ammettiamo per un momento che questa protezione Full Disk in realtà non esista e che i dati dell' IPhone siano stati già letti. Cosa resterebbe? Di avere tutela legale, oggi mancante, per usare pubblicamente le informazioni di cui sono già in possesso, oltre tutto con il consenso della pubblica opinione terrorizzata dagli uomini neri ma messa in garanzia, ovvero tranquillizzata dai governi che comunque tutto ciò non riguarda loro ma, appunto, i cattivi; e con l'appoggio del maggior produttore mondiale di alta tecnologia, che dopo il rifiuto, dovuto per ragioni di marketing verso i propri clienti, non potrebbe che fare ciò che la legge gli ordina ...


martedì 16 febbraio 2016

5 DOMANDE A: LA MALASTRADA



Come è nata La MALASTRADA?

La MaLaStraDa nasce dall'esigenza di trovare un nome ad un nuovo modo di esprimermi che comprendesse musica e testi, mi spiego meglio: ai tempi dell’audiolibro Prenestinity (2010) avevo la necessità di farmi riconoscere negli spettacoli di presentazione non solo come Andrea Caovini, autore dei testi, ma come il più complesso ensemble di persone che aveva partecipato alla creazione delle basi musicali ed alla loro esecuzione sia registrata che dal vivo. Essendo queste persone molto spesso diverse mi è piaciuto pensare inizialmente a la malastrada proprio come uno spazio da percorrere, una vera e propria strada sulla quale puoi passarci sopra, ma non necessariamente devi percorrerla per la vita, puoi anche solo passarci un minuto. Poi è nata la band più o meno stabile, ma sempre votata ad invitare a passeggiate estemporanee un gran numero di amici musicisti (come è accaduto per questo ultimo disco dove ci sono ben otto ospiti). Poi a dirla tutta La MaLaStraDa prende una assolutamente non velata ispirazione da La Cattiva Strada di De André/De Gregori, un luogo dove c’è amore un po’ per tutti e tutti quanti hanno un amore!

E' stato un parto doloroso l'album? Raccontateci un aneddoto ...

L’album è stato un bellissimo viaggio, durante il quale sono anche diventato padre (a proposito di parto), sinceramente molto lungo ma mai duro, sempre in compagnia delle persone giuste, sempre con al centro grosse storie di amicizia. Un aneddoto? Durante gli ascolti finali io e Luca Balsamo (il mio bassista e fonico) non ci dicevamo nulla e ci scambiavamo appunti sulle cose che dell’audio secondo ognuno erano da modificare, beh, ci scrivevamo puntualmente le stesse cose!

I testi, come mi aspettavo, sono molto profondi seppur, a tratti,  proiettano un senso di profonda malinconia; sono lo specchio di come avvertite oggi l'attuale socialità?

I testi toccano diversi argomenti che mi stanno a cuore, dai diritti civili al femminicidio, a temi più introspettivi come l’assenza e la vergogna. Io mi definisco un cinico per certi versi, o forse è meglio nichilista? Ma alla fine ognuno fa quel che può per non morire, ed occupa il tempo come può nell'attesa della morte. Io descrivo ciò che vedo intorno a me, proprio perché la prossima volta che lo vedo forse farà meno male.

"Niente da perdere escluso me" (una canzone sulla Pioggia) è un gran bel verso ... autobiografico?

Autobiografico quanto dedicato a chiunque voglia condividere le sue esperienze in modo “artistico”. A quelli che si mettono a nudo sapendo che se ne viene fuori qualcosa di bello ci guadagnano tutti, se invece va male c’hanno rimesso solo loro. Come dire: le belle canzoni sono patrimonio dell’umanità, come Imagine piuttosto che La marcia Turca di Mozart, quelle brutte sono solo di chi le ha scritte. Cosa ho da perdere a provarci?

I vostri programmi futuri?

Concerti concerti concerti, un video, concerti concerti concerti, un altro disco, concerti concerti concerti ...



"Tra la macchina e il portone" è  una gran bel lavoro, che merita la giusta attenzione. Nell'ascoltarlo si ha l'impressione di un amico che ti racconta la sua visione della vita, e tu sei lì a sentirlo rapito dalla sua arte oratoria e poetica che viene sciorinata dentro note che scivolano via in armonia con quello che ha da dire in una velata vena malinconica.
Mi piace, e l'ascolto ininterrottamente da qualche giorno. Ho il piacere di conoscere personalmente Andrea Caovini e Luca Balsamo, due ottime persone e due ottimi professionisti, che so che hanno messo tutto quello che sono capaci di fare in questo lavoro, assieme agli altri che hanno partecipato ai lavori; fanno musica da sempre e la sanno suonare.
Vale la pena comprarlo e ascoltarlo; vale la pena prestare attenzione ai testi, mai banali; vale la pena parlarne agli amici, non ne resteranno delusi.

PER ASCOLTARE ANTEPRIMA DEI BRANI:

https://andreacaovini.wordpress.com/2016/02/16/tre-brani-in-esclusiva-dal-nuovo-disco-de-la-malastrada/

domenica 14 febbraio 2016

ENTITA' BIOLOGICHE NON TERRESTRI

Compenetrata e vinta dalla nostra presunta unicità nell'universo, o per lo meno nella Via Lattea (il nostro sistema solare non è nemmeno preso in considerazione riguardo ciò), la scienza cosi detta ufficiale del pianeta terra rifiuta la possibilità dell'esistenza di forme di vita intelligenti al di fuori della Terra.
In sostanza in uno spazio definito infinito da Einstain (pur per con quale dubbio in proposito, è celebre la sua frase "due cose sono infinite: l'Universo e la stupidità degli uomini, e sull'universo non sono poi così tanto sicuro") per una qualche oscura ragione le unica entità biologiche intelligenti, per quello che vuol dire, saremmo noi terrestri.
L'assunto che più sostiene questa tesi è che avremmo dovuto averne contezza a questo punto della nostra esistenza, ovvero un contatto avrebbe dovuto esserci stato o in procinto di esserci.
L'altro assunto che sostiene questa tesi è che le distanze fra le galassie, per quello che vuol dire, sono talmente elevate che rendono, di fatto, impossibile ogni possibile contatto in quanto non è ragionevole imbarcarsi in viaggi spaziali di così lunga durata partendo dal presupposto che la massima velocità percorribile nello spazio è quella della luce e che, quindi, pianeti distanti milioni anni luce fra loro non possono ricevere visite da chicchesia. Questa tesi non postula in assoluto l'unicità dell'esistenza della razza umana nell'universo ma la sostiene di fatto: siamo così distanti da tutto che comunque siamo soli.
Tralasciando tutta la letteratura che si occupa di UFO, nonché le tesi complottistiche al riguardo (da Roswell in poi), voglio soffermarmi su di una considerazione che si basa sulla storia dell'umanità.
Scopriamo continuamente siti archeologici di cui la scienza non riesce a dare una spiegazione su come siano stati costruiti né quando; stiamo continuamente retrodatando l'apparizione dell'homo sapiens per darne contezza partendo dal presupposto che siano stati gli abitanti primordiali del pianeta a costruirli.
Più la tecnologia affina la capacità di dare risposte sulla data di questi manufatti (la datazione al carbonio, elemento su cui si fonda la vita terrestre, non fornisce risposte adeguate al riguardo, primo perché ha bisogno di elementi che hanno avuto vita, in pratica scavando si cerca un residuo fossile che sia possibile datare in quanto non è possibile farlo con la pietra, secondo in quanto  fornisce oscillazioni temporali che possono riguardare anche duemila anni), più si arretra sulle date che avrebbero scolpito la nostra esistenza.
Dinanzi, poi, a manufatti che apparentemente danno indicazioni su presunte visite aliene (Piramidi, Teotihuacan, la piana di Nazca e via dicendo), la scienza ufficiale si trincea dietro un muro invalicabile di risposte senza senso (a quale scopo popoli primitivi avrebbero tracciato linee visibili solo dall'alto in un posto in cui non esiste vento, ovvero con la certezza che esseri futuri avrebbero potute trovarle e capire quello che volevano far sapere?).
In contrapposizione a ciò si è affermata a vari livelli la Teoria degli Antichi Alieni, che, in poche parole, sostiene che ciò che abbiamo ereditato dal passato remoto non sono manufatti umani o che comunque sono stati creati in base a precise direttive di esseri superiori, assunti nelle forme primordiali della vita terrestre a dei.
Se imperniamo ciò ad un discorso razionale tutto questo ha molto più senso; può spiegare cose che non hanno spiegazione per i tempi in cui le consideriamo e sopratutto fornisce una base solida a ciò che con il tempo si è affermato come religione.
La macchina di Anticitera, a tutti gli effetti un computer in grado di fornire rotte alla navigazione basandosi sul sistema planetario, ritrovato al largo dell'isola greca di Anticitera e datato 150 a.c., è a tutto oggi il più efficace sostegno alla Teoria che sta pian piano sgretolando il muro omertoso della scienza ufficiale (con la NASA avamposto di eccellenza e unica detentrice di fatto di ciò che l'uomo sa al riguardo).
Siamo soli? Ne dubito? E' impossibile viaggiare per distanze siderali? Ne dubito. Quello che non siamo capaci di fare noi non è detto che non sia possibile per altre entità biologiche magari con miliardi di anni di evoluzione.
Einstain ha postulato la teoria della relatività da casa; non ha mai guardato lo spazio con strumenti ottici né vi ha messo mai piede (ciò, condividerete con me, è abbastanza sorprendente), tuttavia non solo ha fornito una lettura che ha cambiato totalmente il concetto umano di spazio inteso come luogo-non luogo, ma ha anche fornito la chiave di come in teoria questo non luogo sia deformabile ad uso di chi sa farlo.
Se tendiamo un lenzuolo ad altezza da terra e nel mezzo lasciamo cadere un peso gli estremi del lenzuolo tendono ad avvicinarsi fino a toccarsi; per percorrere il tragitto fra i due estremi del lenzuolo teso occorre un certo tempo, quando questi si toccano il tempo è zero.
Facendo lo stesso nel non luogo dello spazio per passare da un punto A ad un punto B non occorrerebbero più milioni di anni luce,ma un tempo quantificabile, appunto, a zero.
Come abbia fatto a dimostrarlo non lo so, ma conta che l'ha fatto. Come sia possibile passare dalla teoria alla pratica non lo so e forse un giorno ci arriveranno. Come abbia potuto teorizzare tutto ciò resta un mistero.
Che venisse anche lui da un altro pianeta ....

giovedì 11 febbraio 2016

di FRANCESCO TOTTI

Si fa un gran parlare oggi, ma mi sento di scrivere da sempre, di Francesco Totti, sopratutto in relazione al fatto che quest'anno, in pratica non ha mai giocato (credo 5 presenze in totale), anche per un infortunio muscolare.
Di lui si sa tutto credo, i record stabiliti parlano per lui: presenze con la stessa maglia da sempre, i goals realizzati, le vittorie (dicono poche ma nel suo palmares c'è un campionato del mondo, titolo che grandissimi calciatori non hanno ottenuto), i 4 secondi posto in campionato, la scarpa d'oro, e le migliaia di giocate che hanno illuminato i nostri occhi e fatto sospirare il nostro cuore, e altro ancora.
Di lui si sa tutto anche di come sia stato, ed è, impegnato nel sociale; ricordate, a titolo esemplificativo, quando comprò due macchinari per un ospedale in una ospitata a domenica in con Fabio Capello?
Ma non voglio scrivere di questo; ci sono  migliaia di pagine che lo fanno meglio sicuramente di me. Voglio invece dire di oggi, di come sta vivendo il suo lungo addio al calcio giocato.
Francesco Totti per primo sa che non è più quello di ieri; sa anche, però che ancora può dare, in un contesto più ridotto, molto; e lo vive come solo un campione lo sa vivere: accettandolo.
Sta tutta qua la sua immensa grandezza: ha sempre e comunque accettato ciò che le regole del calcio impongono, perché è sempre vissuto in questo mondo e lo conosce meglio di qualunque altro.
Ha dato tutto e tutto ha ricevuto: è un uomo ricco e questo lo deve alla Roma; è un simbolo della Città Eterna e questo lo deve a se stesso; è la Roma stessa e questo va condiviso con chi, nel tempo, ha avuto in mano le redini della società.
Parla poco, Francesco Totti, o meglio, i suoi silenzi parlano per lui; questo, per chi lo frequenta da tempo come noi tifosi viscerali della Roma, è il suo più grande pregio. Non servono le parole fra innamorati, basta uno sguardo; quando lo vedi in panca sereno e compenetrato del suo essere giocatore e tifoso della Roma non puoi non volergli bene a prescindere, come direbbe il grande ed insuperabile Totò.
Non serve un elogio per raccontare la sua grandezza, né titoli sui giornali; è sufficiente il sorriso che accende l'Olimpico quando si alza dalla panca forse per giocare, oppure no; al tifoso questo non interessa.
Lui è sempre là, in mezzo a quelle maglie giallo e rosse che cercano la vittoria; non importa dove sia fisicamente, quello che conta e che ci sia sempre e comunque.
Arriverà il giorno che dovrà dire basta; arriverà e tutti ne saremo consapevoli. Saremo tutti più tristi, ma più triste sarà che non avrà mai avuto la fortuna di vederlo giocare.
Siamo in attesa, sperando che sia sempre un giorno lontano, ma verrà: è nel destino dell'uomo e del calciatore.
Non sarà un addio, né un arrivederci; sarà solo il compimento del fato che ci ha voluto regalare qualcosa di cui avevamo solo sentito parlare e che invece abbiamo avuto la fortuna di vivere direttamente: una lunga ed incredibile storia d'amore.
Grazie Francesco Totti per quello che sei. E come direi alla persona cui ho voluto più bene nella mia vita: non cambiare mai.
Le parole dette e scritte evaporeranno nel vento del tempo; tu sei e resterai nel tempo, cosa che solo ai grandi è riuscita.
Gioca e vivi come sempre hai fatto: è per questo, Francesco, che la gente di Roma, e forse non solo, ti ama.


lunedì 8 febbraio 2016

IL PROBLEMA CULTURALE

Questo post conclude il discorso iniziato con ESSERE O NON ESSERE e proseguito con DEL PENSIERO DOMINANTE e INTERNET; doveva essere un unico blocco ma in effetti sarebbe stato troppo lungo e dispersivo e per questo ho preferito frazionarlo in quattro parti distinte.
In proposito occorrerebbe anche rileggere il post ILLUMINARSI, dove è stato affrontato il problema emerso in Italia sulla capacità del nostro popolo di comprendere ciò che legge (quando lo fa).
Non postulo critiche in proposito, in quanto io stesso mi ritengo un ignorante che cerca disperatamente di erudirsi per quanto mi è possibile, ma sono semplici ed elementari riflessioni su ciò che sembra mi circondi.
Ho frequentato studi sociologici sia all'università che come autodidatta e mi viene spontaneo metterli in relazione con la quotidianità che vivo, sia nel mio lavoro, dove mi capita di incontrare eccellenze, sia nel mio privato, dove ho la fortuna di conoscerne altrettante.
In Italia esiste un problema culturale, come del resto altrove in occidente (non parlo del resto del pianeta in quanto non ho approfondito per ragioni di tempo, e anche di spazio nel mio intelletto, la questione in argomento); esiste e occorrerebbe affrontarlo in maniera radicale.
Il primo problema da affrontare in maniera risolutiva dovrebbe essere quello dell'istituzione scolastica; dalla riforma Gentile del 1923 se ne sono succedute diverse (inutile ora ripercorrerne la storia) e questo la dice lunga su come non si sia mai guardato ad un obiettivo strategico a lunga gittata ma solo ed esclusivamente o ponendo attenzione ai livelli occupazionali o agli obiettivi ristretti di partito o onda ideologica.
Non è una critica al mondo dell'insegnamento, nel quale ho anche diverse conoscenze a vario livello, ma una critica alla struttura in se, incapace di produrre uno zoccolo duro su cui basare il futuro della nazionale producendo una classe dirigente all'altezza delle aspettative con continuità, ovvero non solo sperando nell'eccellenza individuale ma sfornarla, invece, in modo seriale.
La guida di un paese deve essere per forza di cose basata su un sistema elitario che emerga non per mancanza di concorrenza ma su di una sana e leale concorrenza basata sulle idee che ognuno è capace di produrre, slegandola, sopratutto, dal sistema delle conoscenze e delle opportunità.
Il ricambio generazionale dei vertici deve essere più frequente, assecondando sia la velocità alla quale viaggia oggi il mondo sia i cambiamenti dei punti di vista legati, inevitabilmente, all'età di chi è deputato a proporre idee.
Le esigenze cambiano velocemente, come cambia e si aggiorna la tecnologia (di cui abbiamo ampiamente discusso); questo non vuol dire che l'esperienza non sia più un valore aggiunto, lo è eccome, ma occorre che questa sia mixata con lo sguardo rivolto al futuro che reca con se l'età giovanile.
Io ho quarantanove anni, e quando hanno discusso per affidarmi la guida di un ufficio pubblico uno dei dubbi che hanno a lungo prolungato la mia nomina era legato alla mia età: in sostanza mi consideravano troppo giovane.
Questa cosa mi ha fatto a lungo sorridere, ma poi ho dovuto necessariamente farci i conti quando ho iniziato a confrontarmi con il mondo industriale; sono rimasto sorpreso dalla loro sorpresa sia di vedermi lì dove mi avevano messo sia per le mie idee riguardo ad alcuni processi legati ai rapporti istituzione/mondo produttivo che, a mio parere, erano insoddisfacenti ed andavano rivisti.
Oggi qualcosa è stato migliorato, ma restano ancora tante cose da fare; cambiare modo di relazionarsi è stato solo un primo passo, ne restano altri, molto significativi, da affrontare.
Durante un convegno con il mondo industriale mi sono trovato a dire che si viene sempre a chiedere all'amministrazione di cambiare passo, ma quando questo si manifesta iniziano le resistenze di una comoda, seppur, a loro dire, intralciante continuità di ciò che è.
Nel question time successivo nessuno ha posto o fatto considerazioni al riguardo di questa provocazione; ciò mi ha fatto molto pensare nonché procurarmi una certa delusione.
Per migliorare come nazione occorre che tutte le sue componenti viaggino alla medesima velocità di pensiero e tutte siano disposte ad assumersi i rischi di un cambiamento, che deve avvenire in tempi rapidi; non parlo di una mano di poker, ma di progetti a media scadenza da portare a termine.
Non è più tollerabile oggi attendere domani; se una cosa occorre oggi oggi deve essere realizzata. Già i risultati di quello che viene fatto in un dato momento si vedranno in un futuro più o meno prossimo, se dilazioniamo questo tempo già nel momento decisionale gli effetti quando, e se, si manifesteranno saranno già inadeguati.
Il più grande problema occidentale è legato alla lentezza dei processi di cambiamento, che è, a tutti gli effetti, un problema culturale e non politico.
La storia del pianeta terra è stata cambiata nel corso dei secoli da menti elette e lungimiranti, ma in numero alquanto ridotto e molto,molto lentamente. Ciò che è avvenuto dopo la rivoluzione industriale inglese dell'800 sta a dimostrarlo: da quando più persone hanno avuto accesso ad alti livelli di istruzione la società occidentale ha prodotto più tecnologia di quanta ne ha prodotta per oltre duemila anni, nel corso dei quali poco effettivamente è stato fatto.
Allargando in maniera esponenziale questa base e guardando alle giovani menti non come una minaccia per il potere precostituito ma come una risorsa fondamentale per l'umanità tutta è possibile produrre effetti ad oggi sconosciuti che, per forza di cose, non potranno che essere positivi.


domenica 7 febbraio 2016

INTERNET

Da quando nel lontano 1972 (gli esperimenti sulle reti iniziarono in realtà alla fine degli anni 60 su progetto ARPA per conto, manco a dirlo del Ministero della difesa degli Stati Uniti) il primo byte contenente un file fu trasferito da un computer all'altro nell'Università dello Utah realizzando così un controllo a distanza (protocollo FTP - file transfer protocol), al 1992 quando il CERN mostrò al mondo l'architettura di sistema  che oggi regna incontrastata nel pianeta, ovvero il World Wide Web (WWW) gettando le basi per un fenomeno di massa, tanta acqua è passato sotto i ponti.
Le stime, non so quanto attendibili, parlano oggi di circa 5 miliardi di utenti della rete, una cifra enorme pur se fosse vera solo per metà.
Internet è da considerare ad oggi la più incredibile rivoluzione culturale che abbia investito l'umanità, rendendo fruibili in tempo reale per gli utenti una quantità enorme di informazioni che risiedono in archivi informatici dove vengono immagazzinate e custodite.
Ci troviamo di fronte ad un qualcosa che forse era stato solo immaginato, forse sognato, o ad un qualcosa basato su di una profonda e accurata programmazione tesa ad ottenere quello che oggi è?
Alla fine degli anni 90 Bill Gates, fondatore di Microsoft,  profetizzò che di lì a breve ci sarebbe stato un computer in ogni casa; la profezia è stata poi portata a compimento da Steve Jobs (fondatore di Apple), che ha reso fruibile a tutti, anche e sopratutto a chi non in grado di usare un computer, tramite un telefono (e poi ancora con il tablet) l'accesso al linguaggio informatico.
Gates, con il suo sistema "a finestre" aveva già semplificato in maniera significativa l'uso di un computer, legato prima di lui alla conoscenza sia dei comandi del sistema operativo DOS sia di un linguaggio di programmazione; Jobs ha permesso ha tutto il mondo di navigare tramite le APP ("c'è un app per tutto", ricordate il messaggio pubblicitario di lancio?), ovvero con la semplice pressione del dito sul vetro, eliminando tastiera e mouse e, sopratutto, eliminando di doversi portare dietro un pc per essere connessi ovvero recarsi in un centro utilizzato a tale scopo.
In qualunque momento abbiamo bisogno di un informazione, di acquistare qualcosa, di inviare un messaggio, di commentare un fatto, di "fare cronaca", postando in rete magari la foto di un incidente o quanto altro, ci basta tirare fuori il telefono (o il tablet), fare pressione sul vetro e aprire la app che ci interessa, ed il gioco è fatto: la rete ci da quello che chiediamo.
Più ci inoltriamo nel futuro più dipendiamo dalla tecnologia, questo senza soluzione di continuità.
Ora i byte che attraversano il pianeta in un secondo sono in un numero difficile da quantificare, per noi ovviamente; da uno a miliardi con prospettive ulteriori di crescita.
E' cambiata la nostra vita? Certo che si. Possiamo fare molte cose da un controllo remoto (il telefono): verificare il conto corrente, prenotare un posto a teatro o ad un concerto, sapere se la strada che dobbiamo percorrere è libera, cercare un posto per acquistare un prodotto a prezzo conveniente, curare le nostre relazioni sociali pur non potendo essere presenti fisicamente, commentare fatti di quotidianità senza dover andare in piazza o al bar, sapere se tuo figlio è andato a scuola o a fatto sega, auto diagnosticarsi una malattia per i più audaci, ecc.ecc.
E' migliorata la nostra vita? Certo che sì. Usando il controllo remoto possiamo dedicare più tempo a noi stessi, avere più tempo libero, lavorare con più semplicità, essere aggiornati culturalmente, creare reti per vari scopi che possiamo prefiggerci, ecc. ecc.
Tutto questo avrà un prezzo (a parte quello che paghiamo per l'utilizzo)?
Non sappiamo nulla di questa tecnologia, e comunque anche se cercassimo di saperne di più non ne capiremmo nulla. Reca con sé un messaggio iniziatico, massonico, che si trasmette uno a uno e non uno a molti; la sua conoscenza fa la differenza. Quello che viene rilevato è solo quello che si vuole far sapere.
L'idea del protocollo è militare, come tutte le innovazioni che vengono proposte al pubblico: vengono pensate, testate, realizzate, usate e, quando controllate, riversate alla massa dagli apparati militari (a scopo di lucro per chi le produce e per altri scopi da chi ne detiene i diritti di veto).
Oggi internet è parte integrante della nostra quotidianità: ci serve, ci aiuta, ci agevola; ma non dobbiamo diventarne dipendenti, anche se in parte lo siamo già. Quello che riversiamo nella rete diventa dominio di pochi; contestualmente proliferano gli allarmi sociali cui è possibile dare profondo eco tramite lo stesso mezzo, in nome della difesa della struttura sociale che abbiamo contributo a creare.
Ognuno di noi è responsabile delle proprie azioni ed è dotato di razionalità. Far vivere meglio la vita è certamente un nobile scopo; voler controllare la vita di ognuno no.
A noi la scelta.







sabato 6 febbraio 2016

DEL PENSIERO DOMINANTE

Ogni periodo storico reca in se un pensiero dominante, ovvero che trova larga diffusione fra quella che viene definita massa, definizione ambigua e, diciamo così, datata che oggi è stata parzialmente sostituita con la locuzione "società civile".
Il pensiero dominante è un qualcosa che aggredisce il pensiero individuale, cercando di portarlo al suo scopo, quello per il quale è stato coniato.
E' sempre molto difficile risalire alla sua genesi, pur se qualcuno, o più di uno, di fatto l'ha partorito. Nel nostro Paese parte attiva nella costruzione del dettato da seguire sono sempre stati i partiti politici, che usando lo schema caro alla religione hanno cercato di produrre proseliti alle imposizioni culturali da essi ideate a prescindere che queste fossero state valide o meno.
Per fare ciò sono state usate le istituzioni di socializzazione famiglia e scuola, per una maggiore e sicura radicalizzazione di quello che doveva essere.
Con l'introduzione nel nostro sistema culturale della rete e più recentemente dei social network lo schema non è cambiato ma si è, ovviamente, evoluto sulla base delle nuove esigenze che la massa reclamava.
E' stata così cambiata la comunicazione, adeguandola ai nuovi sistemi globali; non più, o non più solo, nelle ristrette stanze dei circoli di partito, nelle grandi piazze cittadine o nei giornali e telegiornali di regime, ma estendendola, appunto, a tutti i frequentatori della cosi detta "rete", dunque da un contatto visivo o comunque personale ad un contato impersonale.
In questo passaggio epocale la differenza che balza subito agli occhi è l'aspetto fiduciario; nella comunicazione qualsiasi cosa venga detta viene creduta o meno in base alla fonte che l'ha emanata.
Oggi, di fatto, pur se apparentemente sembra ci sia stata solo la sostituzione della parola parlata con quella scritta, non vi è alcuna sicurezza su ciò che appare sui video in dotazione alla massa, né, tanto meno, su chi ci sia effettivamente dietro a quel messaggio proposto.
Considerando poi quante persone usano sistematicamente la rete e quanto sono in grado di valutare ciò, molte poche in relazione alla popolazione attiva occidentale, ci troviamo di fronte a un virus che si è lentamente incuneato nel pensiero dei ricettori e che ha iniziato a fare il lavoro per il quale è stato creato.
Usiamo tecnologia di cui non sappiamo nulla, se non accenderla e poco altro. Ci vengono fornite istruzioni per l'uso e ci rassicurano dotandoci di una password di accesso affinché il nostro materiale o a quello cui accediamo sia riservato. La password è scritta da noi, ma viene, di fatto, ricevuta dal sistema al quale la chiediamo; qualcuno, o qualcosa, comunque la conosce.
Conoscendola può accedere al materiale che usiamo nella rete e, in conseguenza di ciò, conosce, di fatto, una nostra linea di pensiero in relazione agli accadimenti sociali, alla situazione politica ed economica e così via.
L'accesso a questa informazione, molto più significativa di quelle a cui accediamo noi, ha un valore che non si può pagare per quanto è elevato nei termini di ritorno a chi ne usufruisce.
L'analisi strutturata di questa enorme massa di informazione porta a risultati di indirizzo, indica, cioè, la strada da seguire per veicolare quello che si vuole.
L'assuefazione al sistema delle rete da parte dei ricettori produce un abbassamento dell'attenzione su cosa viene proposto loro, e, per traslazione, questi si affidano all'aspetto fiduciario della frequentazione della fonte di informazione per accettarla come tale.
La dicotomia partito rete conduce, a conti fatti, al medesimo risultato: imporre un pensiero dominante; acclarato nella forma tradizionale e subdolo in quella di nuova genesi.
Siamo passati da  "l'ha detto tizio alla riunione" o "l'ha detto la televisione", mezzo tradizionale di comunicazione partitica di regime per raggiungere un vasto numero di persone, a "è scritto sulla rete", qualunque sia il sito che propone ciò di cui stiamo argomentando al momento.
Siamo di fronte a un punto di non ritorno; se perdiamo il controllo di ciò che andiamo a condividere e, successivamente, ad affermare come nostro, il dettato di quello che poi si affermerà come "dominante" sarà, di fatto, il pensiero indotto per condurre alla meta prefissata da chi l'ha costruito ed inoculato come un veleno.
Forse la prossima rivoluzione, se ci sarà ancora la forza di produrne una, non sarà condotta contro persone fisiche, ma macchine che analizzano dati producendo come risultato indirizzi di dominio delle masse.
Alla faccia della libertà di pensiero della rete così sbandierata dagli stessi che l'hanno costruita e la usano per scopi contrari a questo nobile principio.



venerdì 5 febbraio 2016

ESSERE O NON ESSERE

Siamo minacciati dalla sofferenza da tre versanti: dal nostro corpo, condannato al declino e al disfacimento e che non può funzionare senza il dolore e l'ansia come segnali di pericolo; dal mondo esterno, che può scagliarsi contro di noi con la sua terribile e formidabile forza distruttiva; infine dalle nostre relazioni con gli altri.

La civiltà è costruita su una restrizione delle pulsioni; impone grandi sacrifici alla sessualità e all'aggressività dell'uomo. Il desiderio di libertà , perciò si volge o contro forme e pretese particolari della civiltà, o contro la civiltà tutta. La vita civile propone in una unica soluzione, piaceri e sofferenze, soddisfazione e disagio, obbedienza e ribellione. La civiltà, l'ordine imposto sul disordine naturale dell'umanità, è un compromesso, un contratto continuamente messo in discussione e da rinegoziare.

(SIGMUND FREUD - Il disagio della società)

Siamo perituri, questa, in effetti, è la nostra unica certezza. Dal momento del primo vagito all'oblio del corpo viviamo. Oggi, questo, riteniamo di farlo liberi, ovvero di poter esercitare il nostro diritto di scelta. Lo riteniamo, giustamente, sacrosanto, per quello che vuol dire. Ma in effetti, andando a fondo a questo diritto sancito come inalienabile nella Carta dei Diritti dell'Umanità, quanto quello che  noi riteniamo "essere liberi"  lo è veramente nella realtà?
Ci educano sin dalla nascita a muoverci in una struttura sociale delineata da regole, la totalità delle quali, a ben vedere, noi non abbiamo mai discusso; alcune le accettiamo come immanenti, ovvero che esistono da sempre (pur se il sempre è necessariamente limitato al lasso di vita che viviamo) e, in definitiva, ci battiamo perché restino tali per i nostri figli o chi per loro.
E' vero che accettando il modello societario che viviamo riteniamo che sia per lo meno adeguato ad una vita soddisfacente, ma questo comporta continue deprivazioni di quello che siamo come essere biologici.
Ciò che vorremmo il più delle volte non è possibile in quanto contrario o non conforme alle regole prestabilite; per la violazione di alcune di esse il nostro modello societario prevede addirittura la privazione della libertà, ovvero la detenzione in luoghi vigilati fino allo scontare della pena che è stata ritenuta giusta da chi ha stabilito le regole.
La creazione stessa dell'uomo, così come raccontata nelle Sacre Scritture, prevedeva che lo stesso vivesse confinato nel Giardino dell'Eden, pur se in una sorta di estati spirituale.
E lo faceva nudo, come del resto ancora oggi gli altri essere biologici che abitano con noi il pianeta e che comunemente definiamo animali.
Nel momento in cui ha assaggiato il frutto della conoscenza ed preso coscienza di se come essere ha si provveduto a coprirsi ma oltre a questo nulla più.
Per cercare di dargli un indirizzo su come strutturarsi in un contesto, diciamo così per comodità, più civile Dio ha dovuto imporre la sua legge con i 10 comandamenti.
Le 10 regole sono divenute immanenti e su di loro sono state costruite le regole successive che ci hanno condotto, bene o male, ai nostri giorni.
Senza non siamo nulla, ovvero esisteremmo individualmente ma saremmo annientati collettivamente in quanto non potrebbe esistere e prosperare alcuna struttura sociale; da questo noi "non siamo".
Chi rifiuta le regole è costretto a lasciare la comunità nella quale vive ed isolarsi ai suoi margini; ma, in effetti, con ciò "torna ad essere".
Perché allora scegliamo di non essere? Perché è più comodo? Perché è una vita migliore? Perché ci assicura, quanto meno, la sopravvivenza?
La società nella quale viviamo è fonte di insoddisfazione e reca nevrosi senza fine; ci attanaglia, ci costringe, ci priva, ci monitora e ci giudica. Ci rende, in sostanza, schiavi. Di dover fare, pena l'esclusione. E' basata sulla paura, ma dice di renderci liberi.
Essere o non essere, già. 
Questo, in effetti, è un bel problema.


mercoledì 3 febbraio 2016

SULLA NECESSITA' DI CAMBIARE

Nel corso della nostra vita può capitare, una volta o più volte, di avvertire il desiderio di un cambiamento, pur indefinito nell'obiettivo, vero o presunto.
I motivi possono essere molteplici: insoddisfazione, carenze, voglia di novità, curiosità, spinte motivazionali, carriera, aspettative familiari, costrizioni sociali, ecc. ecc...
Avvertito il bisogno, questo va poi metabolizzato e, se convinti della scelta fatta, accettato. Inizia così un periodo di transizione, che può essere più o meno lungo. In questo lasso di tempo il più delle volte veniamo assaliti da dubbi molteplici, legati per lo più allo status quo al quale siamo abituati, che magari, nonostante tutto, ci rassicura e ci rende meno fragili dinanzi agli accadimenti che il destino ci propone.
Questi dubbi possono dilatare il percorso che ci attende, sino a renderlo snervante, conducendoci, a volte,  a nevrosi catartiche, ossidanti e oserei anche dire pericolose.
Ci si può impantanare in questo limbo che si crea fra ciò che è (è stato) e ciò che si spera sarà, soprattutto in ragione di fallire l'obietto che ci siamo preposti. I rapporti relazionali si complicano, venendo meno alcune aspettative che le persone che fanno parte della nostra vita ripongono in noi. Alcune sono disposte a sostenerci, altre restano indifferenti, alcune possono restarne infastidite, altre scettiche, talune, per qualche motivo di cui mi sfugge il nesso, addirittura contrarie. 
Scegliere di cambiare non è mai facile. Molto più semplice è lasciare le cose intatte come sono, ammesso che la scelta non sia per forza di cose ineludibile, che per questo, seppur traumatica, non comporta un percorso interiore macerante.
La scelta è egoista, è proiettata esclusivamente su di noi. Mettere in discussione ciò che si è, che si è costruito sino al momento in cui decidiamo che non è più soddisfacente, non può essere altro che una scelta egoistica che ci proietta in una certa solitudine; perché nel momento di scegliere si è inevitabilmente soli. Possiamo consigliarci, certo, con chi riteniamo all'altezza ma comunque quando occorre attraversare il nostra Sinai siamo soli, questo dobbiamo accettarlo.
E in ragione di ciò dobbiamo anche accettarne le inevitabili conseguenze.
Occorre forza e determinazione. Occorre coraggio e a volte incoscienza, nel senso che occorre lasciare per strada una certa razionalità che ci permette in controllo delle nostre azioni.
Può arrivare un momento nella nostra vita in cui cambia il nostro punto focale e cambiano le nostre priorità. Può essere devastante, è vero. Ma potrebbe rivelarsi la scelta più giusta che abbiamo mai preso dalla nostra nascita.
Non si scommette perché si è sicuri di vincere. Si scommette con la speranza di farlo. Non esistono regole matematiche per questo, il salto è comunque nel buio, ma se lo si ritiene necessario occorre saltare.
Quello che so, a questo punto della mia vita, è che non possiamo essere altro di quello che siamo, e che individuata la strada, bisogna iniziare a percorrerla.