mercoledì 17 luglio 2019

SE VIVERE E' IL MEGLIO CHE CI SIA

(brano tratto da )
  Tropico del Cancro - 1934 - Henry Miller

Nell'aria c'è una sorta di sommesso pandemonio, una nota di violenza repressa, come se per l'esplosione che si aspetta occorresse l'avvento d'un ultimo minuto dettaglio, qualcosa di microscopico ma assolutamente non premeditato, assolutamente inatteso. In quella specie di semisogno che ti consente di partecipare ad un fatto pur restandone completamente estraneo, il minuto particolare che mancava comincia oscuramente ma insistentemente a coagularsi, ad assumere forma capricciosa, cristallina, come il gelo che forma disegni sul vetro d'una finestra. E come quei disegni di gelo che paiono tanto bizzarri, così liberi e fantastici, ma che tuttavia sono determinati da leggi rigidissime, così questa sensazione, che aveva cominciato a prender forma dentro di me, pareva anch'essa obbedire a leggi ineluttabili. Tutto l'esser mio rispondeva al dettato di un ambiente di cui mai prima di allora avevo fatto esperienza; quella cosa che io avrei potuto chiamare me medesimo pareva contrarsi, condensarsi, accorciarsi rispetto ai limiti vieti, usuali della carne, la cui periferia conosceva soltanto le modulazioni delle terminazioni nervose. E quanto più sostanziale, quanto più solido diventava il nocciolo di me medesimo, tanto più minuta e stravagante appariva la realtà vicina, palpabile, che mi si stava strizzando. Nella misura in cui sempre più io diventavo metallico, nella stessa misura si gonfiava la scena dinanzi ai miei occhi. Lo stato di tensione era ormai così perfettamente equilibrato che l'introduzione di una sola particella estranea, anche d'una particella microscopica,  diciamo, avrebbe squassato ogni cosa. Per una frazione di secondo, forse, io provai quell'estrema chiarezza che all'epilettico, dicono, è dato di conoscere. In quel momento io persi completamente l'illusione del tempo e dello spazio: il mondo spiegò il suo dramma simultaneamente, lungo un meridiano che non aveva asse. In quella specie di eternità, arrischiata come in punta al grilletto più sensibile di un arma, io sentivo che ogni cosa aveva la sua giustificazione, la sua giustificazione suprema; sentii le guerre dentro di me che s'erano lasciate dietro questa melma, questi relitti; sentii i crimini che bramavano di emergere domani in titoli cubitali; sentii miseria che si macinava da sé con pestello e mortaio, la lunga opaca miseria che sbava via nei fazzoletti sporchi. Sul meridiano del tempo non c'è ingiustizia; c'è soltanto la poesia del movimento, che crea l'illusione della verità e del dramma. Se in un momento qualsiasi, in un posto qualsiasi, uno si trova faccia a faccia con l'assoluto, allora si gela quella grande simpatia che fa sembrare divini  uomini come Gotamo e Gesù; la cosa mostruosa non è che gli uomini hanno tratto rose da questo mucchio di sterco, ma è invece che essi per una qualche ragione, debbano volere le rose. Per una qualche ragione l'uomo cerca il miracolo, e per ottenere questo egli è pronto a guadare un fiume di sangue. Si corromperà con le idee, si ridurrà un ombra,purché per un secondo soltanto la sua vita possa chiudere gli occhi all'orrore della realtà. Ogni cosa si sopporta: sfacelo, umiliazione, miseria, guerra, delitto, ennui nella fiducia che dalla sera alla mattina accada qualcosa, un miracolo, che ci renda sopportabile la vita. E intanto dentro di noi gira un contatore e non c'è mano che possa giungere a fermarlo. Intanto qualcuno mangia il pane della  vita  e ne beve il vino, un grasso sudicio bacherozzo di prete che si nasconde in cantina a gozzovigliare, mentre sopra, nella luce della strada, una moltitudine di fantasmi si sfiora con le labbra e il sangue è pallido come l'acqua. E dal tormento interminabile e dalla sciagura non può venir miracolo, nemmeno il più microscopico vestigio di conforto. Soltanto idee, idee pallide, estenuate, che bisogna ingrassare con la strage; idee che vengono su come la bile, che affiorano come le budella di un maiale quando si sventra la carcassa. 
E così io penso che miracolo sarebbe se questo miracolo che l'uomo aspetta in eterno si dimostrasse non essere altro che quei due stronzi enormi che il fedele discepolo molla nel bidet. E che, se all'ultimo momento, quando il tavolo del banchetto è imbandito, e strepitano i cembali, comparisse all'improvviso, del tutto senza preavviso, un vassoio d'argento su cui persino un cieco vedesse che non c'è niente più, e niente meno, di enormi pezzi di merda. Questo, io credo, sarebbe più miracoloso di ogni qualsiasi cosa l'uomo abbia mai desiderato. Sarebbe più miracoloso del sogno più pazzo perché chiunque potrebbe immaginarne la possibilità, ma nessuno la mai immaginata, né probabilmente la immaginerà mai più.
Non so come, la costatazione che non c'era più nulla da sperare ebbe su di me un effetto salutare. Per settimane e mesi, per anni, anzi per tutta la vita, io avevo atteso che qualcosa succedesse, un evento intrinseco che alterasse la mia vita , e ora all'improvviso, inspirato dall'assoluta disperazione d'ogni cosa, mi sentii sollevato, mi sentii come se m'avessero tolto dalle spalle un grande peso. All'alba lascia il giovane indù, dopo avergli scroccato qualche franco, quanto bastava per pagarmi una stanza. Mentre m'incamminavo verso Montparnasse decisi di lasciarmi andare alla corrente, di non fare la minima resistenza al destino, in qualsiasi forma si presentasse. Niente che m'era successo finora era bastato a distruggermi; nulla era andato distrutto, se non le mie illusioni. Io ero intatto. Il mondo era intatto. Domani poteva anche esserci la rivoluzione, l'epidemia, il terremoto; domani poteva non restare viva un'anima a cui rivolgersi per compassione, per aiuto, per fede. A me sembrava che la grande calamità già si fosse manifestata, che io non potevo esser più veramente solo che n quel preciso momento. Decisi che non mi sarei attaccato a nulla, che non avrei atteso nulla, che d'ora in poi non avrei atteso nulla, che d'ora in poi avrei vissuto come un animale, una bestia da preda, un pirata,un predone. Anche se dichiarassero la guerra e toccasse a me di andare, io afferrerei la baionetta per affondarla, affondarla fino all'elsa. E se stupro fosse ordinato, stuprato io avrei, con il massimo zelo. E proprio in quell'attimo, nell'alba tranquilla di un giorno nuovo, non era forse la terra vertiginosa di delitti e di miserie? La marcia incessante della storia aveva mai alterato, vitalmente alterato, un solo elemento della natura dell'uomo? DA ciò che egli chiama la parte migliore della natura, l'uomo è stato tradito, ecco tutto. Ai limiti estremi del suo essere spirituale l'uomo si ritrova nudo come un selvaggio. E quando trova, per modo di dire Iddio, allora è pulito e schietto: uno scheletro. Bisogna intrufolarsi nella vita per mettere su carne. Il mondo deve diventare carne; l'anima ha sete. Su qualunque crosta mi si fermi l'occhio, io voglio piombarci sopra, e divorare. Se vivere è il meglio che ci sia, allora voglio vivere, a costo di diventare cannibale. Finora ho cercato di salvare la mia pellaccia preziosa, ho cercato di conservare i pochi pezzi di carne che mi nascondono le ossa. Ne ho abbastanza. Ho raggiunto i limiti della sopportazione. Son con la schiena al muro; non posso ritrarmi più indietro. Per ciò che riguarda la storia sono morto. Se è rimasto qualcosa più in là, dvrò balzare indietro. Ho trovato Dio, ma è insufficiente. Io sono morto spiritualmente. Fisicamente sono vico. Moralmente sono libero. Il mondo da cui mi sono staccato è un serraglio. Erompe l'alba su di un mondo nuovo, una giungla in cui gli spiriti magri vagano con artigli aguzzi. Se io sono una iena, sono una iena magra e affamata: vado a ingrassarmi.