domenica 29 maggio 2016

LEARNING TIME

Non si smette mai di apprendere, se ne ha voglia; mai.
Vivere ci mette ogni giorno di fronte a situazioni che comportano un apprendimento, in quanto queste esigono reazioni da parte nostra che, a loro volta, determinano altre situazioni in un domino infinito.
Quello che cambia, con il tempo, è il nostro modo di affrontare quello che non conosciamo o che non prevediamo sia possibile, ovvero tendiamo ad accettare alcune cose, altre a non dargli più alcuna importanza e, sopratutto, tendiamo a scegliere con molta oculatezza quello che crediamo sia necessario apprendere affinché la nostra vita migliori.
Ho sempre vissuto reagendo d'istinto a quello che mi si è proposto dinanzi nel corso del tempo, sopratutto ho preso di petto ogni qualsiasi variazione modificante l'equazione che avevo impostato nel periodo che vivevo come credevo fosse giusto farlo.
Nella maggior parte dei casi l'istinto produceva reazioni rabbiose, moti d'ira, in quanto la variabile che interveniva nella mia equazione determinava in me instabilità o demoliva status quo che ritenevo inalienabili; la velocità della reazione generava, a sua volta, una cascata di eventi che difficilmente sono riuscito a controllare in quanto derivanti da fattori esterni che non potevo assoggettare alla mia volontà.
Poi ho iniziato a comprendere che l'attesa nella reazione non poteva che essere  benefica, in quanto mi avrebbe permesso di metabolizzare il fatto intervenuto e valutare la mia mossa successiva per reindirizzare l'equazione ad una nuova stabilità arricchita dalla nuova variabile appresa che, proprio per questo, assumeva un valore definito uscendo dall'ombra dell'imprevedibilità; continuavo, però, a reagire ad ogni evento sconosciuto che mi proponeva dinnanzi.
Il passo successivo fu determinato, quindi, dalla pre valutazione dell'accadimento in se, ovvero se questo fosse veramente una variabile instabile sconosciuta da far assurgere a valore definito oppure no; questo passo è stato piuttosto lungo, accompagnandomi, di fatto, sino alla mia storia recente.
Questa lunga analisi mi ha permesso di apprendere che avrei dovuto costruire una nuova equazione che mi permettesse non solo di scegliere quali fatti avrei dovuto affrontare e quali ignorare, ma anche il come procedere in tal senso.
Questo arricchimento, seppur faticoso, mi permette ora di avere una maggiore serenità nell'affrontare il fato e di averne un certo controllo, seppur limitato; ho compreso che alcuni valori sociali della vita non sono tali e che è possibile farli assorbire dalle "cose che così devono andare" in quanto non è possibile né avere aspettative inalienabili né, tantomeno, avere certezza di come le persone con cui ti relazioni reagiranno a loro volta a ciò che il destino gli proporrà dinanzi.
Aggiungerò, poi, altro a quanto appreso finora nel tempo che mi sarà ancora concesso di vivere come essere biologico, in un continuo "learning time" senza fine e forse senza scopo; potrebbe, questo, rappresentare una condanna o forse uno stato evolutivo prederminato in ragione di quello che non comprendiamo appieno.
Non ho risposte in tal senso e non le sto cercando. Vivo e cerco di farlo in armonia con quello che mi circonda anche se mi comporta fatica, dettata dall'apprendimento continuo cui sono sottoposto, come quell'asino che insegue la carota attaccata a se stesso che non potrà mai raggiungere. Non me ne dolgo; l'ho compreso solo adesso e non mi dolgo neanche di questo. Ho anche compreso, infine, che non tutti avvertono tale necessità e che per una qualche ragione, forse anche giusta, quello che conoscono lo ritengono esaustivo per avere una buona vita. Non me dolgo.
A ciascuno il suo learning time ...

venerdì 27 maggio 2016

Spiritualità e trascendenza – Gli occhi di mio nonno - di Maurizio Centi

Ho ricevuto sul tema anche il contributo di Maurizio Centi, ottimo scrittore e caro amico ...

Sono nato in una famiglia nella quale il senso della religiosità era un concetto quasi sconosciuto, come lo era in generale tutto l’universo della sfera umana più profonda e intima alla quale, in nome di un pudore tutto borghese, si evitava accuratamente di fare il seppur minimo accenno.

Vecchia piccola borghesia
per piccina che tu sia
non so dire se fai più rabbia,
pena, schifo o malinconia…
(Claudio Lolli, Borghesia).

Mia madre era una cattolica non praticante cresciuta in un ambiente iperprotettivo, per non dire opprimente; mio padre invece un laico di tenue ispirazione socialista, e tuttavia tenacemente ostile a tutto ciò che avesse una qualsiasi attinenza col mondo cattolico. Era una famiglia la cui scarna quotidianità trascorreva per lo più in un susseguirsi di silenzi asfissianti, e sorvolando goffamente sugli argomenti considerati più spinosi.
L’unico personaggio fuori dal coro era il mio nonno materno, un siciliano doc trapiantato a Roma in seguito a una serie di incresciose circostanze personali, ricostruite dalla figlia incredula nel corso del tempo e non senza imbarazzo. Nonno Corrado, probabilmente per bilanciare quegli errori giovanili che avevano così pesantemente condizionato la sua vita, aveva sviluppato in età adulta una progressiva e morbosa attrazione per la sfera religiosa, finita poi per trasformarsi in una vera e propria ossessione mistica fatta di un continuo peregrinare tra parrocchie, conventi di clausura, gruppi di preghiera e caritatevoli assistenze ai malati terminali. Qualunque cosa pur di non restare troppo a lungo in casa con la moglie.
Ciò nonostante, ai miei occhi di bambino e dopo di ragazzo, era una sorta di caparbio e trasognato Don Chisciotte, sempre pronto a raddrizzare torti ed ingiustizie e alla ricerca continua di una propria peculiare affermazione. Ma era comunque l’unica persona della mia famiglia, tanto più se contrapposta ai silenzi che avevo avuto in sorte di subire, che proprio a causa di queste sue caratteristiche, la devozione a un dio di cui non afferravo il senso e l’attenzione agli esseri umani nella sua versione più pietistica e bigotta, attirava la mia curiosità. Nonno Corrado, insomma, si faceva voler bene suo malgrado.
Poi, col tempo, il nonno ha preso il largo e io ho dovuto diventare grande. Da lì in poi, dopo l’adolescenza, a partire dal precoce impatto col mondo del lavoro a 21 anni appena ho cominciato a fare i conti con l’assetto razionale del mondo degli adulti, fatto di doppiezze e false ideologie, come pure di principi, leggi e regole stringenti. Come a sottintendere che a non averle stabilite a tempo debito l’essere umano sarebbe andato di sicuro alla deriva.
Il contatto con quella realtà disarmante necessitava di una vitalità fuori dal comune che, ahimè, non mi apparteneva, e perciò poteva spingere persino a omologarsi al tipo medio, prezzo salato da pagare per non sentirsi fuori da un contesto che toglieva spazio ai sogni e non lasciava scampo. Si doveva indossare subito una maschera, atto di legittima difesa di fonte al rischio che trasparisse la propria realtà umana, rischiando che a qualcuno venisse in mente di sfregiarla. Eppure, sebbene gradualmente anche il resto delle mie antiche aspirazioni virasse ormai in direzione di una desolante normalità, normalità al ribasso per capirci, lasciandomi depresso e frastornato, mi erano rimasti dentro gli occhi di mio nonno, quel suo sguardo appassionato che così bene si intonava alle sue stravaganze e di cui in certi momenti provavo nostalgia.
È stato necessario aver fortuna: l’incontro con un uomo straordinario la cui mente fervida, combinata con una fantasia debordante, ha fornito un saldo timone alla mia esistenza senza bisogno di alcuna religione a cui aggrapparsi.
La spiritualità e la trascendenza sono quindi per me concetti astratti ed insidiosi. Sono quel poco che si vuol far credere rimanga delle suggestioni dei nostri primi anni, quando si è assorbita la speranza con il latte: funamboli, fantocci, moralisti, manichini, vuoti involucri dalle vesti luccicanti che emergono nel buio della notte quando lo sguardo sugli esseri umani, troppo spesso indifferente alle loro dimensioni più profonde e affascinanti, resta appannaggio della sola religione. Quella canonica, ridondante e ipocrita, e quella popolare, zeppa di ottuse tradizioni e di bizzarri sincretismi.
Se poi neppure sua maestà Ragione è riuscita a fare meglio, vuol dire che bisognerà per forza trovare un’altra strada.



martedì 24 maggio 2016

SPIRITUALITA' E TRASCENDENZA - di Andrea Vona

Pubblico, con grande piacere, il contributo ricevuto da Andrea Vona sull'argomento, cui spero ne seguiranno altri ...

Spiritualità e trascendenza sono concetti archetipici, che si radicano in un passato così remoto da non poter essere forse nemmeno immaginato. In ognuno di noi sembra albergare il desiderio che tutto quello che vediamo e sperimentiamo sia solo una infinitesima parte di quello che in realtà esiste. E che il nostro corpo non sia niente altro che una macchina diretta e governata dalla nostra parte spirituale, alla quale abbiamo dato l’appellativo di anima e concesso tutto il nostro interesse. 

Dall’inizio, il quando non è importante, ci siamo sorpresi alla ricerca di “Dei” atti a spiegare il senso di una esistenza che evidentemente non siamo mai riusciti a comprendere completamente. Fatto salvo, naturalmente, per quello che riusciamo a percepire coi nostri sensi. 

Essere persone spirituali, secondo il mio modesto e personale parere, esula dal bisogno di sentirsi protetti e governati da un Dio. Non importa se tale entità, che va mutando da antropomorfa ad astratta per via delle scoperte scientifiche che decennio dopo decennio progrediscono, sia reale o inventata per disperazione o perfino convenienza. Per quello che si evince dalla storia conosciuta, la figura di Dio si incarna laddove hanno luogo eventi che non si riescono a spiegare. Il Sole, non a caso, è stato una delle prime divinizzazioni a cui gli uomini si sono dovuti assoggettare. 

Se è vero che l’ignoto ci affascina, è altrettanto vero che ci spaventa. Per questo motivo alle divinità sono sempre associati i loro antagonisti. Satana, nel nostro caso, ha una doppia funzione. Infonde una giusta quantità di paura e rende alla visione religiosa una coerenza narrativa, permettendo il perpetuarsi dell’eterna lotta tra il bene e il male secondo la nostra visione dualistica dell’universo. 

Tuttavia la spiritualità e il concetto di trascendenza, come dicevo, non c’entrano col bisogno di sentirsi protetti e, ahimè, deresponsabilizzati dalla figura di un Dio che ci tiene al sicuro dai suoi antagonisti. La spiritualità è sicuramente personale e si sviluppa o atrofizza in funzione del livello culturale di una persona o dell’ambiente in cui è cresciuta. 

Una religione organizzata nasce quando una corrente di pensiero fideistica si aggrega per mezzo di un carismatico leader religioso, spontaneamente o a tavolino, e si rende manifesta tramite precisi rituali simbolici. Purtroppo Il filo conduttore ed effetto collaterale di molte di queste organizzazioni è usare il concetto di spiritualità per fini che paiono esulare totalmente dal bisogno sincero di trovare un senso all’esistenza. 

Così, col passare degli anni, si sono divise nella mia testa due figure che abbracciano ognuna vari modi di approcciarsi alla faccenda. Il libero pensatore e il religioso. (L’ateismo, pure se ammorbidito dal suo aspetto agnostico non m’interessa. Si fonda, allo stesso modo della religione, su concetti opposti ma pur sempre fideistici). 

Il libero pensatore si pone domande in continuazione, senza l’assillo di una risposta. Esplora il pensiero umano in tutte le sfumature che può cogliere e ne cerca i significati nascosti. Individua in ogni alternativa una possibile strada verso una verità che, tuttavia, gli appare più come un’astrazione che come una realtà tangibile. Il religioso, da parte sua, convive con un disperato bisogno di risposte ai misteri dell’esistenza. Il pilastro delle sue convinzioni è la fede. E’ di conseguenza più portato al rispetto di un dogma che a un’apertura verso gli innumerevoli modi di porsi alla vita. 

Ognuno abbraccia la corrente di pensiero che più gli si addice secondo le proprie esperienze di vita vissuta. 

Penso che spiegare la realtà tutta con un Dio che si è messo a edificare l’universo in poco tempo sia troppo comodo. Per questo considero Ia visione religiosa semplicistica. A essa si contrappone il modello scientifico. Ma anche la scienza, strano a dirsi, manifesta comportamenti fideistici. Per ironia della sorte, col passare dei secoli e per contrapporsi alla visione religiosa, è andata ad assomigliare sempre di più a una religione che a un insieme di discipline olistiche e possibiliste. Difatti, credere e quindi dare per scontato a priori che la materia si organizzi in forme sempre più complesse per una proprietà insita della materia stessa, non è forse come credere in un Dio? 

La storia, inoltre, ha dimostrato e dimostra ancora oggi, che affidare ciecamente la propria esistenza addosso a un credo può essere molto pericoloso. La fede, infatti, per sua natura genera conflitto. Chi l’abbraccia è convinto di essere nel giusto, e non ammette alternative o possibilità alle sue credenze di base. Così non c’è bisogno che io stia qui a elencare tutto quello che è successo nel corso dei millenni e che continua ad accadere oggi a causa di convinzioni religiose estreme, soggette peraltro a raggiri e manipolazioni con secondi, terzi e quarti fini, ma sempre di lucro.

A volte mi metto a fantasticare, perché per ora sembra non si possa fare molto altro, sul fatto che tutto ci risulta così difficile e frustrante perché siamo capitati in uno spazio di universo disabitato. Così, sentirsi soli e abbandonati al cospetto degli immensi spazi siderali, non è certo una bella sensazione. E’ per questo, forse, che tendiamo a divinizzare ogni cosa che non riusciamo a capire o decifrare. Una grande sensazione di solitudine.

Parole sante quelle di chi ha sostenuto che una fede può servire anche a migliorare la vita di qualcuno. Va coltivata nel tempo e rafforzata, a patto che non venga spacciata per la verità. 



sabato 21 maggio 2016

PROVARE A DIRGLIELO

Col trascorrere degli anni decade quel senso di impunità e sfrontatezza che caratterizza gli anni giovanili, quando l'istinto prevale sulla ragione facendoti credere che si, si può anche se apparentemente sembra vero il contrario.
E ragionare conduce ad un certo assillo, una catarsi asmatica, una sincopata alternanza di si, lo faccio, e no, non se ne parla neanche, che ti lascia nel limbo candido e torbido del potrebbe essere bello ma potrebbe essere anche dannatamente difficile digerire un rifiuto, seppur cortese.
Così annaspi nel girone degli accidiosi, incollato dalla noia del pensiero neutro al morbido materasso che usi per dormire, serrato nell'impermeabile della certezza del non fare nulla, ammorbato dalla nenia della falsa indifferenza a come il domani potrebbe essere diverso.
A volte sogni, a volte piangi; a volte resti a guardare la linea dell'orizzonte che sembra invalicabile e lontana come lei, divenuta eterea vivendo solo nella proiezione delle tue cellule celebrali coese nell'elevarla a dea come altrettanto a trasfigurarla nel tuo personale demonio.
Nell'ibrido dell'istante che si perpetua divenendo quotidiano maledici gli anni che passano, pescando negli angoli remoti della parte del cervello magazzino dei tuoi ricordi istantanee di successi imprevedibili, di atti per così dire coraggiosi, di frasi ad effetto tirate fuori al momento opportuno, di quella sconosciuta seduta a piangere sul motorino fuori dalla discoteca che hai riportato alla vita con una carezza e alla gioia di vivere con un bacio che non ne hai più dati di così.
Ma appunto, nel tornare presente al te stesso attuale piombi di nuovo nella metastasi della domanda infinita che ti divora l'anima e ti rende ancora più solo, se mai questo fosse concepibile dalla mente umana.
Cerchi, allora, un approdo che ti ripari dalla tempesta, nella quale pur navigando senza timore apparente non riesci a sentirti completamente al sicuro, perché troppo scosso e troppo eccitato dalla voglia di fare quello che senti, che devi, che vuoi; ma sai bene non esiste in natura un porto che possa questo.
E' vero, le acque si cheteranno al tramonto lasciando infine in pace nel sonno della stanchezza, ma domani il sole leverà di nuovo e si staglierà là, sulla line dell'orizzonte dove lei vive e dove puoi vederla in ogni nuvola che attraversa l'azzurro infinito.
Provare a dirglielo, non esiste un'altra via. Provare a dirglielo, accettandone le conseguenze. Provare a dirglielo, lasciando fuori quello che credi razionale.
Provare a dirglielo ...




domenica 15 maggio 2016

SOGNARE

 Abbattere un muro eretto per dividere e divenuto con il tempo un monumentale monolite dell'umana stupidità è stato per  la mia generazione l'evento più incredibile a cui abbia assistito, al di là ogni meraviglia tecnologica che ha cambiato, e sta cambiando, il mondo.
Un atto fisico distruttivo che ha condotto l'umanità fuori dal  medio evo nella quale era  di nuovo precipitata, dopo aver assaporato l'era dei lumi francese, la rivoluzione industriale inglese e la prospettiva liberale del "nuovo mondo" americano.
Due guerre mondiali combattute in gran parte sul suolo europeo non erano state sufficienti a saziare l'animale che si annida nell'uomo e dal quale è diretta emanazione; occorreva anche una "guerra fredda" combattuta sotto l'egida della minaccia nucleare per completare le portate del pasto assurdo iniziato nel 1915, che contribuiva a dividere il pianeta in due blocchi contrapposti da filosofie e politiche sociali inconciliabili.
L'unica certezza sembrava la fine; un fungo atomico avrebbe dato l'innesco per l'auto cancellazione dell'umanità, supremo atto autodistruttivo da perpetrarsi in nome di un qualcosa che ancora oggi sfugge al pensiero razionale.
Poi, un uomo proveniente da uno sperduto villaggio agricolo dell'ex Unione Sovietica innescò invece la più grande rivoluzione dei tempi moderni, teorizzando e portando a compimento il processo di democratizzazione di quell'immenso Paese, passato alla storia come "Perestroika", che segnò la fine della guerra fredda e che fu celebrato, appunto, dall'abbattimento del muro di Berlino nelle due date consegnate alla storia:  9 novembre 1989 inizio - 3 ottobre 1990 riunificazione della Germania.
IL 15 marzo del 1990 l'umanità celebrò anche lui, Mikhail Gorbaciov, assegnandoli il Premio Nobel per la Pace, in quanto riformatore e leader politico mondiale che ha contribuito al cambiamento in meglio della natura stessa del processo mondiale di sviluppo.
Un sognatore nato in una remota località del pianeta prendeva per mano uomini stolti e li rimetteva sulla giusta rotta, indicando loro la via per un futuro migliore, da discutere, è vero, ma senza l'ausilio di armi e barriere non solo metaforiche.
Un sognatore che non si è limitato a produrre parole seppur belle ad uso e consumo del pensiero positivo in quanto tale, ma che si è battuto attivamente per il suo sogno, che non riguardava lui in quanto essere vivente ma tutti noi come appartenenti alla stessa specie.
La storia dell'umanità ha visto apparire molteplici sognatori positivi che ci hanno condotto a dove siamo oggi, con visioni future a volte ridicolizzate dallo status quo dominante nel momento storico nel quale sono apparsi; l'hanno combattuto e l'hanno vinto, dimostrando che si può.
Si può cambiare in meglio rendendo la società mondiale potabile per se stessa, coadiuvandosi nel nome della continuità, eliminando barriere che sembrano ineludibili, manifestando idee scomode, illustrando visioni future di organizzazioni societarie improntate sul bene comune, scevre dei confini geografici, politici e religiosi che le stesse organizzazioni hanno creato e sui quali hanno proliferato.
Sognare un mondo diverso si può e si deve ma, sopratutto, occorre che si voglia: aspettare il Messia potrebbe rivelarsi cosa buona e giusta, ma se nel frattempo la strada per il suo passaggio inizia a lastricarsi con il nostro contributo, questo non potrà che rendergli il cammino più agevole ...






mercoledì 11 maggio 2016

ITALIAN FICTION: BANDA DELLA MAGLIANA & GOMORRA

Faccio subito una premessa, non ho mai visto alcuna puntata di entrambe le fiction (ho solo visto il deludente film di Michele Placido sulla banda), ma ho seguito tutta la serie su History Channel della "Vera storia della banda della Magliana", ben fatta e veritiera come ha avuto modo di confermare Massimo Carminati ultimo boss vivente assieme ad Antonio Mancini, tra l'altro considerato "infame" perché pentito.
Ma non voglio discutere della qualità delle proposte in sé, che sembrano ottime a leggere i commenti della critica in proposito, ma del successo che queste hanno ottenuto, ovvero della celebrazione che il pubblico ha riservato, e riserva, alle storie basate su bande criminali organizzate.
Mi riesce difficile comprendere come possano assurgere a miti personaggi che rubano, uccidono, depredano, spacciano, impongono pizzi e praticano l'usura, e mi riesce ancora più difficile comprendere come i presunti codici morali che questi criminali usano all'interno delle loro organizzazioni possano essere considerati regole su cui tutti dovrebbero basarsi.
I gadget riversati sul mercato dai produttori manifestanti soprannomi e frasi ad effetto hanno trovato incredibilmente mercato e sui social appaiono di continuo le facce degli attori con sovra impresse, appunto, queste, ultime, come se fossero verità ineludibili che la società dovrebbe prendere ad esempio; in maniera particolare mi riferisco alle frasi sull'infamità ed il rispetto nelle forme presunte che queste persone avrebbero adottato,usano, nei loro rapporti.
L'altra cosa stupefacente che risalta è l'esaltazione dell'omicidio come soluzione dei problemi che queste persone si troverebbero davanti, come se uccidere fosse la cosa più naturale del mondo e non comportasse effetti collaterali.
In una puntata della serie di History Channel, il Carminati racconta dell'omicidio di un usuraio che aveva eletto l'ippodromo di Tor di Valle come base operativa e che era anche il boss di riferimento per le scommesse clandestine; volendosi appropriare del giro la banda della Magliana decise, per l'appunto, di eliminarlo; fu uno dei primi atti che diedero poi la stura all'epopea di questa gente ora celebrata.
Il boss racconta i momenti che precedettero l'omicidio: l'ansia, la paura, il non potere più tirarsi indietro, il calcolo degli eventi successivi, la necessità di doversi da quel momento in poi di guardarsi alle spalle per il resto della vita; nulla nel suo racconto fa presumere l'enfasi con la quale questi fatti sono stati poi raccontati dal cinema e dalla televisione.
Forse sono io che fraintendo, forse è solo un momento cavalcato, magari giustamente, dai produttori di queste serie, ma se è vero come è vero che sono seguite da così tante persone deve esserci per forza un sentimento di approvazione, magari latente, per quello che viene rappresentato.
Forse inconsciamente qualcuno avrebbe voluto intraprendere una carriera criminale, o forse è solo la voglia di vedere cosa succede in queste organizzazioni, forse vengono guardate e basta; io continuo a non capire e preferisco non guardarle; non mi interessa la vita di questi signori ed hanno tutta la mia disapprovazione.
Vorrei concludere con il pensiero di Massimo Carminati nell'ultima puntata della serie; le parole esatte non le ricordo ma quello che ha detto è stato questo:
"Non capisco tutta questa enfasi per quello che abbiamo fatto. E' vero, a diciotto anni giravo per il Trullo con una Ferrari e tutti mi portavano rispetto. Ho avuto alcuni anni di ebbrezza e di potere, ma ad un certo punto ho dovuto guardarmi non solo dalle guardie ma anche da quelli con cui condividevo quelle imprese criminali e tutto sommato non è stata una gran vita. Ora sono circa trenta anni che sono in carcere e sinceramente, dopo tutto, non c'è nulla di cui andare fieri ..."



martedì 10 maggio 2016

LUIZ INACIO LULA da SILVA & DILMA ROUSSEFF

Il liberale, democratico e integerrimo governo del Brasile promesso da i due presidenti fuoriusciti dalla classe operaia andata in paradiso è nella polvere; il primo è nascosto da qualche parte con i suoi avvocati perché teme di essere arrestato, la seconda si trova sotto impceachment (istituto giuridico con il quale si prevede il rinvio a giudizio di titolari di cariche pubbliche che abbiano commesso reati nell'esercizio delle loro funzioni) ed è stata sfiduciata dalla camera dei deputati e, nonostante il soccorso del presidente della stessa camera che ha emanato un provvedimento sospensivo, dovrà fare le valige a furor di popolo.
Non mi interessa quello che succede in quello sterminato Paese, quello che mi interessa e che vorrei ricordare ora è che queste due persone hanno impedito l'estradizione in Italia di Cesare Battisti; l'argomento l'ho già trattato in tre post: LULA POP - LULA POP REMIX e LULA POP TRE, scrivendo dell'assurdità delle motivazioni espresse dall'allora presidente Lula, confermate poi dal suo successore Dilma, per impedire l'estradizione di un condannato dal nostro Stato Sovrano per omicidio, e che ancora svolazza libero sulle spiagge assolate del loro paese, attinenti il nostro sistema giuridico e il nostro sistema carcerario, entrambi definiti di "terzo mondo".
Questi due paladini dell'onestà depositari della conoscenza di cosa sia "giusto" hanno violato le leggi del loro paese e l'hanno fatto ricoprendo la massima carica istituzionale, tanto da doversi oggi difendere dal loro sistema giudiziario, massima espressione del diritto penale, come è noto a tutti.
Mi sono ribellato allora alla morale che prorompeva dalle cariche istituzionali brasiliane a difesa di un indifendibile, passato dalla protezione francese messa in opera dalla dottrina Mitterand (allora primo ministro della Francia) a favore dei brigatisti rossi, che trovarono un rifugio dorato nella patria della democrazia celebrata nei libri di storia come la "Rivoluzione francese" a quella, appunto, brasiliana nel nome impronunciabile di una presunta guerra combattuta sul suolo italiano negli anni 70; e voglio ribellarmi ancora adesso, proprio in virtù di quello che sta accadendo in questo momento in Brasile e chiedo a gran voce che allo Stato Italiano venga restituito Cesare Battisti con tanto di scuse.
L'ignobile pantomima della fuga nel paese sudamericano di un condannato dal nostro sistema iper garantista conclusa con l'ancora più ignobile disponibilità di asilo politico concessa da Lula e confermata da Dilma deve essere mondata, e il condannato restituito alla patrie galere, ne va dell'onore di questo Paese.
Quanto alle lezioni mi moralità fatte pervenire allora da oltre oceano, beh, non c'è molto da dire, ognuno tragga le conclusioni che ritiene opportune.
E' ora di riappropriarsi della Sovranità di Stato che abbiamo smarrito da tempo, o quello che resta nella nostra disponibilità continuerà a subire soprusi inaccettabili a questo livello, rilegandoci nella sfera di chi è costretto a subire imposizioni che conduce al dissolvimento di una Stato di diritto per avere il quale molto sangue è stato versato.

lunedì 9 maggio 2016

PERPETUUS

Arriva un momento nella vita in cui si prende coscienza di se nella transumanza che si percorre dal non essere all'essere, comprendendo cosa si è e cosa si vuole; è un tragitto che l'uomo deve necessariamente compiere.
Può essere breve o molto lungo, ma è insito nell'Adam perché è la ragione stessa della sua esistenza, è ciò per cui è stato creato; è ineludibile.
Se non arriva si resta nell'incoscienza perenne, che non vuol dire che la vita non venga percepita come reale, ma che, di certo, la stessa resta incompleta.
L'acquisizione della coscienza procede con l'apprendimento spirituale interiore che ogni essere umano compie, ponendosi così nel contesto sociale in cui vive come esistente, affermandosi come entità non solo biologica ma anche, e sopratutto, senziente; ne permette la consacrazione e l'accettazione.
Nell'accesso all'essere l'uomo diviene produttivo, ovvero può trasmettere quello che ha appreso alla sua progenie, nelle forme e nelle modalità che ritiene opportune, creando così quella catena di continuità e progresso che ci ha condotto fino ad oggi e che condurrà le generazioni future a dove arriveranno; in questo perpetuus risiede la nobiltà e l'aristocrazia umana, consacrata dal Sommo Poeta nel verso "fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza".
E' un dogma, un comandamento, una chiave di accesso al portale dell''infinito, senza la quale la caverna sarebbe ancora il luogo di riparo dal mondo sconosciuto.
Apprendere, trasmettere e insegnare a farlo; nulla di più e nulla di meno, nella serenità di aver compiuto il percorso per il quale si è stati designati.
Ognuno ne è parte e ognuno ha il suo contributo da dare che non è misurabile in forma quantitativa né qualitativa; è importante e necessario in quanto tale.
Perpetuus, la conditio sine qua non dell'evoluzione ...



domenica 8 maggio 2016

KING SOLDATINO E D'ARTAGNAN

Oggi su FB mi sono trovato a leggere questo post di Andrea Caovini, sempre attento allo sviluppo delle cose che succedono attorno a lui e come sempre sarcastico, nonché puntuale ed essenziale, nei suoi commenti: 
"A me quando sentite che è giunto il momento di fare qualcosa per questo paese allo sbando e concedete tutta la vostra onestà al servizio degli italiani e vi buttate in politica me fate una paura ...".

La locuzione cui voglio porre attenzione è " e vi buttate in politica", che se pur apparentemente brutale, è così efficace che non abbisogna di ulteriori accorgimenti dialettici per esternare un pensiero che racchiude in se una profonda filosofia nonché aspetto culturale del popolo italiano: la supponenza.
Credere di possedere la chiave per superare i problemi atavici che corrodono il bel paese, nonché le sue eterne contraddizioni, è forse il problema maggiore che occorrerebbe affrontare una volta per tutte al fine di eliminarlo, o comunque renderlo statisticamente irrilevante.
Essere colti dall'illuminazione come San Paolo sulla via di Damasco potrebbe essere veramente risolutivo per un "paese allo sbando", sarebbe un bene e ci si potrebbe fondare una nuova religione, visto che di partiti politici ce se sono fin troppi; ritrovarsi con un nuovo profeta illuminato che indichi la strada poterebbe essere veramente l'uovo di Colombo che tutti stanno dannatamente cercando e non trovando come la biblica Arca dell'Alleanza (tenderei ad escludere che  Indiana Jones l'abbia fatto).
Pur cercando continuamente di aggiornarmi vivo nella perenne ignoranza; più studio cose più cose trovo e più ignorante mi accorgo di essere, senza soluzione di continuità. Mi sono laureato in Scienze Politiche in quanto appassionato della materia ed ho anche approfondito alcune questioni legate alla gestione del potere sia come autodidatta sia in lezioni universitarie non propedeutiche al mio corso, sostenendo anche alcuni esami nel mio precedente corso di Sociologia.
Ho avuto la fortuna, nonché l'onore ed il piacere, di incontrare eccellenze nel corso della mia vita che hanno da un lato ridimensionato il mio ego e dall'altro accresciuto la mia autostima, facendomi comprendere quanto sia lungo, tortuoso e ispido  il percorso formativo di una persona che cerchi di affermare se stesso nella dimensione societaria nella quale vive, e anche quanto sia doloroso ed impegnativo il formarsi un pensiero stabile su come affrontare e risolvere determinate situazioni legate allo sviluppo della mia persona.
Ampliando questo discorso semplicemente ad un gruppo di persone, ovvero farsi carico di risolvere problemi legati anche ad una piccola collettività, il percorso diviene, gioca forza, ancora più duro e irto di difficoltà.
Alla necessità di conoscenza ad ampio raggio che occorre per affrontare con razionalità situazioni collettive bisogna anche aggiungere delle qualità intrinseche che l'individuo che si propone per tali compiti dovrebbe possedere come minimo; capacità di analisi, essenzialità, saper ascoltare, prendere decisioni anche scomode, freddezza, lucidità scevra dall'emotività, eloquio significativo e trainante, onestà, lungimiranza.
In assenza di una delle due delle componenti, o le stesse pur possedute insieme non solide, non si può che non aggiungere altro a quello che già è, ovvero allo status quo dominante.
Proporsi è sempre un bene, questo non è in discussione. Quello che occorre è farlo dopo una attenta analisi di se stessi e di quello che si sente sia possibile riversare nella collettività come valore aggiunto e non come aggiunta e basta.
Io non ho qualità, me ne rendo conto quando analizzo problematiche sociali e non riesco ad individuare soluzioni che possano ribaltare lo status quo dominante, appunto; leggo, ascolto, cerco di comprendere l'orientamento sociale, studio se vi siano state in epoche precedenti problematiche affini e se si cerco di capire come sono state risolte o dove il superamento delle stesse si sia arenato o non sia stato completato, ma infine mi trovo punto e a capo.
Ragione per cui non credo che sia la persona che possa risolvere da solo i problemi di questo "paese allo sbando"; però se qualcuno ritiene di poterlo fare, senza supponenza, io sono pronto a dare il mio piccolo contributo di conoscenza ed esperienza.
Poi può accadere l'imponderabile: che King Soldatino e D'Artagnan, tre cavalli di scarsa qualità, vincano una tris e chi ha puntato su di loro, i non esperti del settore, vincano una discreta somma, così come celebrato in un film divenuto cult come "Febbre da cavallo", che nella sua estrema semplicità racchiudeva e esplicitava il profondo concetto filosofico e matematico della casualità.
Quello che credo non sia possibile, però, è affidare il futuro della nostra socialità a chi ha scarsa qualità, che si statisticamente può anche raggiungere il suo obiettivo una volta, ma fallirebbe in tutti gli altri causando, come succede, guasti inenarrabili.
Poi ognuno faccia la sua puntata, su questo libero arbitrio ...




sabato 7 maggio 2016

REPERIMENTO CASH: TANGENTI

In matematica, in particolare in trigonometria, la tangente è una funzione trigonometrica definita come il rapporto tra il seno ed il coseno ... ah, no scusate ...

Somma di denaro richiesta illegalmente, generalmente rispetto ad una certa percentuale, che garantisce a colui che paga la garanzia di non subire danneggiamenti dei propri beni da parte di chi la impone; 

oppure


Somma di denaro offerta o richiesta, in un rapporto con amministratori pubblici, al fine di conseguire favori per un guadagno illecito ...

Cosa accomuna le associazioni mafiose e le associazioni politiche? La necessità di reperire denaro, possibilmente cash, e, sopratutto la modalità di reperimento dello stesso: la tangente. La prima differenza sostanziale fra le due associazioni risiede nell'eleganza dell'approccio al reperimento di denaro: intimidatorio per le quelle mafiose, con sorrisi e pacche sulle spalle per quelle politiche. La seconda differenza sostanziale risiede nello scopo: privato per quelle mafiose, pubblico per quelle politiche. La terza, ed ultima, differenza sostanziale risiede nella possibilità di giustificazione; inesistente per quelle mafiose, ad ampio raggio per quelle politiche. Entrambi le modalità hanno però in comune che sono indicate nel codice penale come reato, e che quindi deve essere perseguito a norma di legge. Ma mentre per quelle mafiose la condanna sociale è inevitabile, tranne, a volte, per chi pagando ottiene protezione, per quelle politiche il sistema protettivo che fa a loro corollario può determinare, sempre a volte, sintomi di compiacimento ovvero di riconoscenza.
La tangente, ne converrete, è una piaga sociale e politica che causa distorsioni sia al sistema produttivo del bel paese sia alla soddisfazione del bene pubblico, in quanto entrambi sono costretti a sopportare un imposizione di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
Questa piaga sociale è parte della nostra cultura, in quanto è accettata come inevitabile, è considerata un strumento per ottenere qualcosa da entrambi i poteri, è valorizzata come mezzo si scambio di reciproci favori.
Il legislatore molto ha prodotto in ragione di pubblico servizio riguardo alla necessaria trasparenza sulle modalità di accesso a bandi pubblici tesi a realizzare beni collettivi, così come molto ha prodotto a tutela del taglieggiato dalle associazioni mafiose.
Sono stati quindi forniti ampi strumenti legislativi per affrancare il cittadino da questo crimine che vorrei ora definire efferato, seppur questa iperbole legata all'omicidio possa sembrare esagerata di fatto operando al di fuori dell'imperativo normativo si commette un delitto che può costare molto ai non destinatari del favore, ma la diffusa illegalità persiste; e vive in quanto, appunto, problema culturale.
Un popolo che cerca scorciatoie e chiede favori inevitabilmente accetta socialmente questo da un punto di vista egoista, ovvero di soddisfazione di necessità personali;  "andare a chiedere" al capo bastone mafioso o al politico di riferimento è un abitudine, che viene condannata non aprioristicamente ma solo se e quando non se ne ha interesse diretto o non si ha la possibilità di fare altrettanto.
Trasparenza, meritocrazia, efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa, legittimo affidamento, benessere sociale diffuso, pari opportunità e via discorrendo restano belle, bellissime e lodevoli stelle polari, ma occorre che non vengano adite solo nel momento dell'indignazione, dovrebbero essere dogmi essenziali di ogni cittadino di questa falsa repubblica nonché, ovviamente, comandamenti divini per chi è chiamato a esercitare con la cosa pubblica.
E' giusta l'indignazione, è un dovere morale e sociale protestare e chiedere a gran voce rispetto, ma è anche giusto e saggio riflettere sui nostri comportamenti quotidiani  e su quello che intendiamo per bene sociale.
Tutte le rivoluzioni sono iniziate con un singolo passo, è vero, ma è anche vero che quel passo, seppur piccolo, occorre farlo.



venerdì 6 maggio 2016

NEI SUOI OCCHI

Esiste quell'attimo. Esiste, pur se ad un certo punto ho smesso di crederci. Cosa volete, sono si un sognatore incallito, ma ho anche appreso che occorre fare comunque sempre i conti con la dura realtà; e la realtà mi ha indotto a credere che quell'attimo ha vita solo nei film.
Poi, un giorno, mentre mi trovavo a discutere di noiose cose di lavoro quell'attimo si è palesato, in un frammento onirico di rara potenza; come una folgorazione, un incendio, un cataclisma, un'iperbole, un'attesa che termina, un sorriso che si accende, il sole che esce dalla nube nera, un'apparizione.
E ho preso coscienza che quell'attimo può; può cambiare il tuo futuro trascendendo direttamente dall'irrazionalità.
Ma  quell'attimo pur percependolo  non l'ho compreso all'istante, ne sono restato allibito, immobile, frastornato, vinto.
Poi quell'attimo si è insinuato in me nei giorni seguenti ed è rimasto impresso nella mia testa come un'istantanea che via via è divenuta immortale; e mi ha corroso in quei giorni che lo hanno celebrato, si, ma anche maledetto, nell'effluvio di domande che hanno squassato quelle che credevo certezze mentre l'icona memorizzata ha assunto sempre più splendore, assurgendo a dea.
Nella paralisi emotiva e sensitiva successiva che crea vuoto quell'attimo si è espanso, divenendo sempre più chiaro, significante, significativo.
L'assopito sentimento custodito gelosamente nella mia anima ha accennato al risveglio, chiedendo spazio e aria per completarlo.
Esiste quell'attimo, ora ne ho la prova. Ha avuto vita breve e intensa, come una farfalla. Quello che produrrà sarà solo una conseguenza.
E' esistito quell'attimo. Lo posso giurare. L'ho visto vivere nei suoi occhi ...




martedì 3 maggio 2016

SPIRITUALITA' E TRASCENDENZA - di LUIGIA STEFANUCCI

Conclusione di una dissertazione avuta con Luigia sulla necessità o meno per l'uomo di avere sempre e comunque un riferimento trascendente e spirituale ...

L'approccio scientifico (o quasi scientifico - una disciplina ad esempio come l'antropologia può essere definita "scienza"?) alla religione ha prodotto così tante letture che c'è l'imbarazzo della scelta... in molte di queste c'è una lettura simile a quella che proponi tu. 
Agli appassionati del dibattito in questione o a quelli che semplicemente si pongono delle domande e ipotizzano risposte, la tua lettura è nota e condivisa. Ma a prescindere dalle letture possibili, anche in una società secolarizzata e laicizzata come la nostra (occidentale) sopravvive l'esigenza del sacro, magari in una forma eterodossa: pensa alla new age, che tenta da sempre di fornire una chiave di accesso al trascendente non convenzionale, appoggiandosi ai risultati stupefacenti della fisica quantistica, alle filosofie orientali, ecc. 
Questa dilagante "nuova spiritualità" dimostra che anche là dove il progresso, la cultura, l'approfondimento, e l'indipendenza da un'eredità religiosa convenzionale ci sono e crescono persino, Dio lo si continua a cercare, magari su sentieri meno battuti, magari con modalità "altre" ma il bisogno rimane integro. 
Quindi, la risposta è: sì e no. Perché di fatto è quello che succede: una parte dell'umanità spinge verso una demistificazione l'altra verso un nuovo misticismo.
Se invece mi domandi, andando ancora più in profondità, se il genere umano saprebbe sostenere il peso di una risposta definitiva e incontrovertibile capace di fare fuori Dio... io ti dico di NO. Non siamo pronti e chissà se lo saremo mai. 
Io, anche tra gli atei (e tutte le varie declinazioni dell'ateismo) per lo più riconosco esseri diversamente religiosi. Si è religiosi anche da atei. La religiosità sta tutta, secondo me, in un particolare tipo di "innocenza" (intellettuale, emotiva, psicologica, ideologica). 
E di persone che ne sono prive ne conosco 2 o 3 di contro a tutto il resto delle scibile umano (da me conosciuto). 
Che te devo da dì?

domenica 1 maggio 2016

FIRST MAGGIO

Così anche quest'anno il carnevale della festa del lavoratori è andato in scena nelle variopinte modalità istituzionali e non solo.
Frasi fatte sono state proferite dietro le maschere adatte all'occasione, sempre uguali nel rito nostalgico assurto a tradizione.
Promesse, minacce, coriandoli di speranza e ottimismo, bandiere, marce e cortei, musica a San Giovanni in Laterano.
Il tempo si ferma oggi, ovvero replica se stesso; estraendo un servizio di telegiornale dai famosi archivi Rai di una qualunque data trascorsa potremmo riproporlo oggi e nessuno si accorgerebbe della differenza; i più attenti, forse, potrebbero capire dagli abiti degli intervenuti, ma tutto il resto apparirebbe mestamente identico.
E mestamente identico, nelle forme e nella sostanza, risulterebbe il day after, di cui oggi potremmo facilmente scrivere un articolo spacciandolo come profezia.
Cambiano gli interpreti, ma non il modo di pensare. Il futuro corre più veloce del pensiero dell'italica elite, tesa all'autoconservazione che conduce allo stagnamento, nell'attesa di un giorno promesso che non vedrà mai la sua alba:  "Suvvia, però, sorridi lavoratore, ti stiamo festeggiando, no? E sorridi anche tu in attesa di un lavoro, quando l'avrai questa sarà anche la tua festa. Ci impegneremo per questo, i tavoli di lavoro per il confronto democratico e civile sono già stati preparati; la discussione sarà lunga, ma, statene certi, porteranno alla luce un risultato straordinario. Lavoriamo per voi, e come potete ben vedere, noi non festeggiamo in questa giornata; il compito istituzionale non permette soste ludiche; abbiate fiducia, domani sarà migliore".
Le luci infine si spegneranno, sul suono dell'ultima nota che vibrerà nell'attesa dell'applauso; le maschere verranno riposte accuratamente, trecentosessantaquattro giorni volano, e per preparare tutto questo saranno appena sufficienti ...