giovedì 25 aprile 2013

EUTANASIA DELLA REPUBBLICA

 
La storia, generalmente ignorata dal paradosso sociale italiano, scrive sempre verità. Non quella che viene impressa sui libri di chi pretende di raccontarla a modo proprio, come generalmente è avvenuto in questo paese, ma la corretta e distaccata (nel senso che non di parte e/o ideologica) analisi di quello che è accaduto nel passato prossimo e remoto può condurre ad ipotesi future più probabilistiche di quanto sia possibile pensare. Non tanto nei corsi e ricorsi tanto cari a Vico quanto nello sviluppo di una strategia basata, per l'appunto, sulla fredda disamina dei fatti accaduti in un determinato contesto sociopolitico.
Il periodo di confusione collegato alla perdita di una identità univoca che il popolo italico sta vivendo nasce da un lungo periodo, che muove dalla cosìdetta fine delle prima repubblica, passando per l'entrata nell'euro zona, per la perdita di sovranità nazionale ceduta parte, di fatto, a gruppi di potere economico operanti nel pianeta che speculano sui popoli al fine di un tornaconto personale, parte alla germania, che non fidandosi dei paesi europei dell'area mediterranea ha cercato, cerca e cercherà di essere la voce del padrone che risuona nella vecchia europa (come ha sempre cercato di fare sviluppando la maggior parte delle guerre che si sono combattute nel vecchio continente e, di certo, le due più sanguinose...), per la mediocrità di una classe dirigente nata delle ceneri di ideologie contrastanti e antitetiche che hanno regnato (regnano...) nel nostro paese, per la ferrea e assurda convinzione che comunque il "mio pensiero è migliore del tuo" al di là di ogni ragionevole dubbio, per il crescente disinteresse del cittadino agli affari politici, per l'assoluta demagogia dei centri di informazione, che nel caso italiano non vedono alcun editore puro, per la negligenza nell'affrontare enormi problemi nazionali che si trascinano da tanto, troppo tempo.
E potremmo continuare, facendo sì che la lista diventi insopportabile da leggere.
Ma questi fatti nella nostra storia recente sono impressi a fuoco ed ogni persona sana di mente e scevra da conclusioni di parte può e deve riconoscerli. Il declino del modello di vita italiano è iniziato con quella che è ricordata come tangentopoli, ovvero la disastrosa e rovinosa caduta di quella che oggi viene commemorata, appunto, come prima repubblica.
Da quel preciso momento ne inizia un altro, che sta adesso muovendo i primi passi da persona adulta, dopo il necessario rodaggio dell'età infantile e dell'adolescenza. I cambiamenti non avvengono con un giorno; sono lenti, devono necessariamente essere percepiti come tali dal popolo, essere poi assorbiti, metabolizzati, digeriti e finalmente compresi.
Tra questi fasi prolificano momenti di estrema confusione, dovuta, appunto ad una perdita di identità nazionale e personale; ci sono cose in cui le persone credono fermamente e vedere sbriciolate le proprie convinzioni giorno dopo giorno conduce, dovrebbe condurre, ad uno smarrimento, che porta al disordine in quanto genera ansia, paura.
Ora, che sul suolo italico stesse avvenendo una mutazione pochissimi sono stati in grado di interpretarlo, meno che mai la classe politica e, agganciata a essa, quello che le ruota attorno, dai sindacati alla pubblica amministrazione in senso lato, ovvero come amministrazione del bene pubblico (troppo lungo considerato privato da quelle pubbliche associazioni appellate come partiti).
Questo non sense ha paralizzato l'italia, restia ad uscire dal proprio passato settario e conservatore nel suo contesto dell'élite  burocratica, e ancora imberbe nel coraggio di voltare pagina nel suo contesto di volgo.
E la paralisi ha prodotto frammentarietà, disordine, angoscia, riluttanza, incertezza, demagogia e guru. Del resto la storia racconta di aggregazioni spontanee attorno a personaggi seducenti e calamitanti nei momenti di buio, alla ricerca di una guida per uscire dallo stato di caos apparente seppur palpabile. Che hanno prodotto risultati contrastanti ed, in genere effimeri, se non disastrosi.
Ma tutto questo rientra nel naturale evolversi verso l'età adulta, ovvero quella della comprensione di un fatto, del giudizio da formare, della soluzione da trovare. Accantonare cioè gli ardori giovanili e rivoluzionari che ci hanno condotto fino a qua (anche, se, a mio avviso, abbastanza inconsapevolmente) e affrontare la realtà odierna col senso del "buon padre di famiglia", ovvero obiettivamente e pensando a cosa sia giusto nel momento e nel futuro prossimo per assicurarne uno degno ai propri figli.
Occorre, quindi, razionalità fredda, non molestata da antichi ed obsoleti pensieri ideologici, ma che guarda all'obiettivo di mantenere e migliorare lo status quo acquisito, nel senso di benessere e pace sociale.
E' l'ora. Il dado è tratto. la coscienza lentamente acquisita. L'impossibilità di far sopravvivere un modello oramai consunto acclarata. Occorre essere cinici e pervasi dall'istinto dell'autoconservazione, imporre un new deal fatto di pensieri e occorrenze diverse, semplicemente diverse e chiare, molto chiare.
Occorre parlare, proporre, discutere, e fare. Nell'ottica di ragionamenti diversi che devono però proporsi il medesimo fine. Se la democrazia è il minore dei mali per governare un popolo, cerchiamo di renderla vera e fruibile questa forma di governo che è costata tanto in tutto il pianeta per essere faticosamente raggiunta. E' ora di evolverla e riconsiderarla, cercando tutti insieme una strada per renderla più consona alle esigenze del terzo millennio, così profondamente diverse già solo dal secolo appena trascorso.
Tutto può essere cambiato, nulla è immutabile. Proprio perché cambia l'uomo stesso, che diviene altro pur restando nella forma da noi conosciuta. Se      mai nulla fosse cambiato oggi forse saremmo, che ne so, al cinquecentesimo imperatore del sacro romano impero; ma così non é perché ad un certo momento il modello che l'uomo viveva non era più soddisfacente e lo ha cambiato. Lentamente, con il tempo che occorreva. Nulla è subito: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si riproduce. Nel tempo e nello spazio.
Occorre, però comprendere il momento nel quale la trasmigrazione sta avvenendo.
E l'ora è scoccata. Nell'eutanasia della repubblica italiana, destinata a divenire altro pur restando se stessa.
Muovere uniti renderà le cose più semplici pur nella loro enorme difficoltà, ed essere coscienti che i risultati che si produrranno avranno effetti in un prossimo futuro (certo non domani) renderà tutto più granitico ed efficace.
Succederà...la storia è lì a ricordarcelo...

giovedì 18 aprile 2013

ANATOMIA DI UN DISASTRO

Il treno è lanciato in una corsa contro il tempo ma, oramai, fuori controllo.
La gente è accorsa fuori, lungo i binari a vedere come finirà.
Ognuno ha la propria teoria, il proprio "problem solving", la propria incorruttibile convinzione,
il proprio ego da soddisfare.
Intanto il treno corre lungo i binari dell'inevitabile.
Persone si accalcano, sudano, sbuffano, sbraitano, filosofeggiano, brindano, piangono...
In un clima surreale, anzi, surrealista. In una iperbole di confusione, caducità, omertà, pensieri incoffessabili, ideologie archeologiche, tornaconti personali, faide, affari di famiglia, ignoranza,
cultura contraffatta, smerigliatrici da usare contro il prossimo.
Intanto il treno corre lungo i binari.
Nella primavera che nella storia è simboleggiata da quella di Praga, anche qui si fa la nostra di storia.
In una schizofrenia collettiva che ci sprofonda in sabbie mobili sarcasticamente immobili.
In un tutti contro tutti che sembre scritto e sceneggiato da mr. woody allen, che proprio qui ha forse ambientato il suo film più brutto e non-sense che abbia mai pensato di realizzare.
Intanto il treno corre.
E la ricerca di un "metodo" copre il nulla di una classe dirigente e di chi l'ha prodotta, sovvenzionata, sorretta e alimentata. Coercizioni, imposizioni, editti, deliri di innopotenza derivati dalla mistificazione di internet, afferamando sicurezze basate sul nulla, appunto, di chi le ha teorizzate.
Nel paese del sospetto, dell'inerzia, dell'invidia, della divisione sociale, dell'avidità, di chi si arroga di essere sempre comunque  migliore del suo vicino, assuefazioni che si contrappongono violentemente e misticamente  alla bellezza naturale del posto nel quale vivono prolificando parassitariamente a spese della collettività.
Ma la collettività non esiste se non metaforicamente. E' un concetto astratto come il bene comune, la condivisione dei valori, il rispetto delle idee, la libertà.
E intanto il treno continua a correre lungo i binari dell'inevitabile.
La domanda non'è come ci siamo saliti sul treno.
La domanda da porsi  è perché lo abbiamo fatto.
E la risposta è nella nostra storia che ignoriamo profondamente. E' in quello che siamo, che abbiamo voluto essere. Ci siamo lasciati trascinare nel fiume dell'agiatezza, della comodità, del benessere materiale, del possedimento. Abbiamo smesso di guardare dentro di noi come persone, preferendo guardare all'esterno come numeri di riferimento. La crescita esponenziale, l'accumulo, la necessità del ricambio, il dover stare ai tempi.
Tutti dogmi della società occidentale, tesa verso un punto di non ritorno, invisibile fino a ieri. La sua struttura inevitabilemente doveva arrivare ad un punto di collasso, e le parti che cedono per prima sono quelle più deboli. La storia, appunto, lo insegna.
E intanto il treno continua a correre.
Il modello che viviamo è destinato ad eclissarsi, defluendo in un nuovo medio evo occidentale. Dovremmo prenderne coscienza ed autoregolarci di conseguenza.
La dialettica, inesistente nella moderna comunicazione basata sugli slogan, sulla presunzione e sul sentito dire, dovrebbe tornare ad avere lo spazio di cui necessita per riallineare l'uomo alle sue esigenze, alla sua natura, a quello per cui ha ragione di esistere.
Una profonda presa di coscienza non più di massa, ma dell'IO, dell'individuo, che deve crescere per liberarsi dai demoni che lo circondano offuscandone la vista verso l'orizzonte. Non più parassitario, come oggi, teso allo sfruttamento continuo ma di reinvestimento verso il prossimo. Il bene comune non è il bene di pochi. Né il bene di molti. Dovrebbe essere il bene di tutti. Ma non ci può essere bene se la società è regolata dal denaro. Questo, oramai, dovrebbe essere chiaro. 
Intanto il treno continua a correre, nell'attesa che l'eterogenesi dei fini assuma quello più corretto per la natura umana.