venerdì 24 novembre 2017

ANA - NON DIRE NULLA


(SERIE ANA - EPISODIO UNDICI)

Qué es poesia?,
dices mientres clavas
en mi pupila tu pupila azul;
Qué es poesia!
Y tù me lo preguntas?
Poesia ... eres tu

Alla sua domanda rispondo così, con questi versi che mi tornano in mente d'improvviso, letti in una raccolta di poeti di lingua spagnola, credo, anche se non ho la minima idea di chi li abbia scritti; altro non ricordo.
Mi guarda con una dolcezza infinita, poi mi accarezza nel cuore di questa notte che sembra perfetta per noi due, posando infine le sue labbra sulle mie in un tocco leggero, quasi impercettibile; mi sorride, chiude gli occhi, li riapre, sembra prendere fiato per dire quello che vuole dire, anche se è perfettamente conscia che lo so anche io quello che sta per dirmi.
Se due rette parallele si incontrano in un punto chiamato infinito quel luogo ipotetico può essere solo rappresentato dall'amore, su questo non ho più il minimo dubbio; che l'incontro generi un nuovo teorema non posso dimostrarlo, né credo sia possibile.
La strada è deserta, le flebili luci dei lampioni sembrano bagnarla, gli alberi ai suoi fianchi le fanno da cornice, mentre le macchine parcheggiate conferiscono profondità a ciò che vediamo: un De Chirico sconosciuto da battere all'asta per milioni di euro.
Mi guarda di nuovo dopo la sua apnea; una lacrima percorre il suo viso; posso ascoltare il suo cuore in tumulto.
- non dire nulla, ti prego. vai e non voltarti, segui il tuo destino. non voglio che tu mi veda piangere. ti amo, ti amo come non ho mai creduto fosse possibile, come ho sempre sognato. vai e non voltarti. quando quella notte i nostri occhi si sono incontrati ho avuto subito chiara la sofferenza cui andavo incontro rivolgendoti la parola, ma non potevo non farlo. ti amo e ti amerò per sempre, anche se è così difficile da spiegare: sei la mia droga, il mio credo, la mia fonte di vita, sei ragione e sentimento, passione e ideale, l’altra metà del mondo, il sorriso che mi ha riportato in vita. vai e non voltarti, non voglio che tu mi veda piangere. ti ho aspettata e ti ho incontrata e ogni minuto che ho passato con te è stato così denso e vivo da ripagarmi. è stato fantastico. ma ora vai, non trattengo più le lacrime. se c'è un prezzo da pagare per aver avuto il privilegio di vivere tutto questo accetto di pagarlo, i soldi li ho. ti faccio dono il mio amore Ana, di tutto l'amore che mai credevo di poter essere capace di provare. fanne tesoro. ora va, ti prego, senza dire nulla. si, sto piangendo, sono solo un uomo Ana, solo un uomo che ama una donna ...


giovedì 23 novembre 2017

ANA - DELIRIO & SPIRITUALITA'


(SERIE ANA - EPISODIO DIECI)


Ana mi telefona e mi dice che ha mollato il ragazzo e che vuole vedermi; io le dico "mi dispiace", ma sappiamo entrambi che sto spudoratamente mentendo. Mi da un appuntamento assurdo, all'una di notte devo andare a prenderla in un posto ancora più assurdo dell'orario, al Serpentone del Nuovo Corviale alla Portuense, noto per il palazzo lungo un chilometro, emblema e delirio di un certo tipo di architettura contemporanea (credo sia degli inizi anni 70) tesa all'agglomerazione delle più disparate individualità fluttuanti dell'enorme e desolata periferia romana; è li ad una festa, dice, pur se fatico a immaginarla in un qualunque appartamento di quel posto, ma essendo curioso per natura e non essendoci mai stato per nulla al mondo mi perderò questa opportunità.
Sono le undici ed un quarto, non conoscendo la strada per arrivare in quel posto remoto accendo subito il pc per cercarla; studio la cartina, la memorizzo ed esco. Opto per arrivarci dal GRA, ma confondo l'uscita e mi perdo; percorro così una strada illuminata ma deserta, finché non mi imbatto in un tipo fermo accanto ad una macchina sulla strada; mi fermo e gli chiedo se ha la minima idea di come arrivare dove devo andare: in un raro colpo di culo mi dice che sono molto vicino e mi indica la strada più breve e sicura per arrivare. Bene, gli dei sono con me, è di sicuro una serata propizia penso mentre mentalmente annoto tutto quello che mi sta dicendo il loro portavoce sul pianeta terra.
Quando dalla strada mi si appalesa il serpentone cado subito preda di uno stato ansiogeno, dovuto al buio, all'ora, al deserto che percorro, all'allucinante struttura che sfila alla sinistra del finestrino della mia macchina. Mi fermo in un piccolo spazio a ridosso di quello che sembra un marciapiede e la chiamo; è l'una di mattina meno dieci minuti. Mi dice che è in strada, più avanti; riparto in una specie di catalessi protettiva e dopo due minuti che sono sembrate due ore la vedo che mi cammina incontro: sembra tranquilla mentre agita la mano per farsi notare, come se ce ne fosse bisogno visto che non c'è l'ombra di un essere umano, o qualcosa che gli si avvicini, in giro. Entra in macchina sorridendo, per prendersi gioco di me, credo, visto che sa benissimo quanto possa essere agitato nel trovarmi lì, nel posto più lontano dalla mie fantasie sul dove rivederla dopo tutto questo tempo.
Mi dice di andare a casa sua, che è stanca, che la festa era una palla, c'erano solo gay amici del suo amico gay, cioè lei era l'unica donna biologica ed è stata ignorata per tutto il tempo che è restata la; non so perché ma la cosa non mi sorprende.
Dopo circa quaranta minuti trascorsi in macchina in una specie di trance emotiva derivante dal non sapere cosa dirci arriviamo sotto casa sua. Spengo la macchina ed accendo una sigaretta, mi stringo nel giubbotto per il freddo e poi la stringo a me. Lei appoggia la testa sulla mia spalla e ce ne restiamo lì, abbracciati, muti, con pensieri diversi.
Ana sta correndo incontro al suo destino, indecisa sul da farsi, ma volenterosa, Ana sa fare tante cose,  ma secondo me non ne sa  fare una  veramente bene. Giochicchia con le sue capacità, si trastulla, sperimenta, ma non riesco a vedere nelle cose che fa un tocco di  genialità, di estroversione.
Non sembra capace di rendere unico quello che crea, forse è troppo proiettata su di  lei, forse dovrebbe  aprirsi di più con  il mondo che la circonda, o forse più semplicemente la sua visione è proiettata in una dimensione che non  riesco a  percepire, come se fosse occultata da una nube sempre sul momento di schiarirsi; ma riuscirà nel suo intento, ne sono sicuro.
E' comunque in questi inspiegabili momenti che sono veramente felice, averla vicina e lontana nello stesso folle momento, sull'onda del soffio leggero che percorre il mio cuore quando la stringo a me, caduco e saldo senza soluzione di continuità pur se apparentemente immortale.
- sono proprio felice di vederti. I suoi grandi occhi neri esaltano  il suo viso bianco, vampiresco.
- sai non è stato un gran ché con lui. ero certa che mi avrebbe coinvolta di più. mi piaceva molto. I suoi capelli sembrano come impazziti sulla sua testa, sembra una medusa, una nera medusa andalusa.
 - abbiamo passato bei momenti ma la situazione non decollava. Le sue braccia scoperte sembrano quelle di  un lottatore.
 - poi persa nell' eremo in cui mi sono cacciata mi sono ancora più depressa. Le dita di entrambi le sue mani calzano anelli d'argento.
- e volevo vederti. parlarti. sentire la tua risata. passare qualche ora con te. ora lavoro, in un locale nuovo. faccio quattro serate a settimana. mi servono soldi. Le sue gambe che escono dalla gonna corta  che indossa mi ricordano donne di altri tempi. Sono robuste, volitive.
- e tu?




lunedì 20 novembre 2017

ANA - APPUNTI SUL MIO DIARIO


(SERIE ANA - EPISODIO NOVE)
           

Tutto sembra muoversi e restare fermo nello stesso tempo con Ana; è una considerazione banale, me ne rendo conto, ma per quanto mi sforzi non riesco a farne una migliore ora. Gli accadimenti della vita vanno accettati per come vengono, cercare di modificarli forzando le situazioni mi è sempre apparso un inutile quanto vanitoso sforzo; ognuno di noi su questa terra deve compiere un suo percorso prestabilito, e quando le strade da percorrere non sono più parallele non resta che prenderne atto.
Certo, per quanto mi riguarda mi rode il culo, ma sinceramente tutto ciò è anche abbastanza divertente: la vedo una volta ogni tanto e ogni tanto ci facciamo delle magnifiche scopate; quello che resta è buono per riempire le mie giornate vuote o le depressioni post notti alcoliche.
Provare un sentimento per qualcuno resta a volte una necessità non sempre procrastinabile all'infinito, anche a costo di soffrirne; può essere sufficiente del resto anche solo idealizzarlo, facendo finta di aver incontrato la donna che hai sempre desiderato, per perdersi nel fuoco fatuo della magnificenza di quello che potrebbe essere. Adularsi nella sontuosità di un rapporto ineguagliabile, perdersi nell'estasi catatonica del tutto per lei: si penso che l'amo, ma poi, nella realtà dei fatti, me ne dimentico spesso. Poi mi ritorna in mente, ma subito dopo torno a sentirmi solo; poi sto bene con lei, poi che cazzo dai, poi quell'insieme di cose che non si riescono mai a spiegare, poi che cazzo si crede di essere, e poi, e poi, e poi ... Credere sempre di avere un'altra possibilità, questo è realmente importante; se per sopravvivere agli tsunami che ciclicamente scuotono la tua anima già irrequieta di suo ti aggrappi al primo legno che trovi sparso nell'oceano del tuo piccolo mondo, beh è umano, no? Ora intanto per me è importante, quindi devo cercare di tenerla vicino, quando finirà e avrò bisogno di un'altro legno per tenermi a galla il fato me lo farà avvistare fra le onde alte e fredde; quello che conta è non lasciarmi annegare.
Un'altra possibilità, sempre e comunque, fino al giorno che  il mio culo brucerà all'inferno, pur se anche là potrei avere la mia possibilità; questo non devo dimenticarlo mai.
...

Ana è depressa, vuole stare sola, quando la sento al telefono è intrattabile, penso che live sarebbe anche più virulenta, infettiva se mai ciò fosse possibile. Mi racconta di essere insoddisfatta, di non piacersi più; un altro giorno mi dice che forse parte, un altro ancora che forse ha bisogno di una relazione stabile con. Ieri mi ha propinato la storiella che forse si isola troppo, che forse dovrebbe cambiare; sembra che quando mi parla dia voce ai miei pensieri piuttosto che ai suoi. Forse siamo troppo simili, per questo non può funzionare: lei sembra la versione femminile di me, e questa cosa mi destabilizza in un modo che non riesco nemmeno a descrivere, anzi a volte sinceramente mi terrorizza.
...

Oggi mi ha chiamato per dirmi che ha conosciuto un tipo e che lo sta frequentando da qualche tempo. Volevo dirgli "pensi che non lo sapevo?", ma me ne sono astenuto, la conversazione sarebbe divenuta gargantuesca, impossibile da gestire telefonicamente, se non altro per i costi dei nostri rispettivi gestori telefonici. Mi ha raccontato di lui, ma questa parte voglio subito dimenticarla, quindi non me la scrivo, sperando che quando rileggerò questa pagina non ne avrò il minimo ricordo. Mi ha anche detto che vorrebbe vedermi, per parlarmene; io gli ho risposto che in questo momento la mia agenda è molto fitta (chissà perché ho usato questa frase così formale, mah ...), ed ho chiuso la telefonata assicurandogli che troverò un paio d'ore per vederci; lei mi ha salutato facendomi le fusa e dicendomi di volermi bene, per quello che vuol dire a questo punto della nostra storia.
Ora sono qua che rimugino indisturbato sugli ultimi accadimenti della mia vita, cercando di rimescolare le carte predittive del mio futuro, appeso alla sottile speranza di lasciarmi alle spalle le scorie radioattive di questo ultimo periodo, né felice né infelice: transitorio, ripetitivo, noioso ed evanescente.
I will survive ...
           


venerdì 17 novembre 2017

ANA - CERTI GIORNI NON FINISCONO MAI


(SERIE ANA - EPISODIO OTTO)
           
Dopo due mesi di conversazioni telefoniche nel cuore della notte, fissiamo un appuntamento per andare a pranzo da qualche parte; giugno è alle porte e preannuncia un estate con temperature insopportabili.  
Alle undici sono da lei, a Porta Metronia, quartiere San Giovanni, parcheggiato di lato dove è posteggiata la sua auto, così le manterrò il posto per quando torneremo, altrimenti rischiamo di dover girare un ora per cercare un parcheggio.
Scende dopo una ventina di minuti che sono li, e seppur questa cosa di dover aspettare mi fa incazzare molto oggi mi lascia del tutto indifferente; mi saluta radiosa, deve aver dormito almeno quattro ore penso, ed io ricambio accordandomi sulla sua stessa nota emozionale.
Partiamo senza una meta precisa con lei alla guida (mai e poi mai mi lascerebbe guidare il suo gioiello) e fra amenità varie finiamo in un posto nell'alto Lazio, al confine con la Toscana; mentre cerchiamo di comprendere dove siamo un cartello con la scritta "agriturismo" ci libera della necessità di prendere una decisione su dove dirigerci per mangiare.
Dopo un paio di chilometri di strada sterrata percorsa a passo d'uomo per non compromettere l'assetto già di per se instabile della sua triumph finiamo in un grande spiazzale circondato da alberi che proiettano sulla strada bianca lunghe ombre; ne scegliamo uno per parcheggiarci sotto, quello più lontano dall'entrata di quella che probabilmente era una fattoria ora riconvertita, appunto, in agriturismo, anche se non c'è nessun'altra macchina. Mi dice di andare a chiedere se possiamo mangiare, mentre si accende una sigaretta appoggiandosi allo sportello della macchina togliendosi, nel contempo, il piumone tenuto nel viaggio percorso senza capotte.
Entro, chiedo, ottengo un tavolo e sono di nuovi fuori; mentre mi dirigo verso di lei un brivido di eccitazione inizia a farmi vibrare come una corda di chitarra da flamenco; ed eccola li, superba, estatica, invitante.
Un lungo  bacio le da la risposta che cercava, poi le sue mani iniziano a profanare i bottoni dei miei 501 neri mentre le mie accarezzano le sua cosce nude; poi le alzo il vestito, lei si gira senza dire nulla e in una frazione di eterno è a gambe larghe, piegata in avanti con le braccia tese sul cofano della macchina. Inizio a prenderla da dietro, con colpi regolari, ritmici; ho la testa all'indietro. Di fronte a noi c'è un grande prato, nel mezzo di due colline,  con tanti alberi intorno; sarà mezzogiorno, abbiamo un tavolo prenotato in questa parte di mondo e ora stiamo prendendo un aperitivo all'aperto. Adesso mi accompagna nel movimento, si lascia cadere verso il cofano, si rialza,  si volta a guardarmi, cerco di aumentare il ritmo aggrappandomi ai suoi fianchi,  i colpi diventano feroci, affamati, violenti, fermati alla fine dall'eclissi solare che oscura i miei occhi placando l'adrenalina in circolo nelle mie vene, conducendoci nell'eden terrestre di cui solo Adamo ed Eva hanno avuto il privilegio di godere, come la Sacra Bibbia ci insegna.
Nell'etero silenzio che all'improvviso avvolge il luogo mistico nel quale ci troviamo si alza, si abbassa il vestito ed infine si volta, mi bacia, mi abbraccia e come attratta da un angelo sospeso sopra di noi inizia a fissare l'azzurro denso del cielo, tappezzato da rade nuvole, bianche, come anime pure.
 Dentro Ana mangia con una certa voracità, mentre io la guardo sorseggiando un ottimo vino rosso d'annata; ha una pelle bianca, candida; i capelli sono arruffati e le cadono davanti gli occhi, che guardano in alto mentre rumina la carne favolosa che abbiamo ordinato per secondo.
Brilla di  una luce propria, particolare, morbida, ed io assorbo ogni singola goccia di questo giorno, partito bene dal risveglio, dell'ottimo umore di entrambi, disponibili, carichi, generosi, a briglia sciolta.
Dopo, nel giardino dietro la fattoria, ci teniamo per mano passeggiando, parlando a voce bassa ammiriamo estatici l'infinito gustando fino all'ultima goccia di quest'incantesimo che siamo riusciti a creare.  
Al ritorno le luci della città ci appaiono all'improvviso come un set cinematografico in cui stanno battendo l'ultimo ciak.
Un bacio lussurioso mi invita a salire al primo piano.
Certi giorni, per fortuna, non finiscono mai.


giovedì 16 novembre 2017

ANA - UNA DIVINA COMMEDIA

(SERIE ANA - EPISODIO SETTE)

Non stiamo insieme, ci frequentiamo, se così si può dire, quando abbiamo tempo, quando ne abbiamo voglia, quando il nostro istinto ci conduce nel medesimo posto, quando i nostri ormoni diffondono il loro richiamo, quando la voglia di vederci estirpa da noi il tarlo della razionalità.
Presi dalle nostre abitudini, dalle nostre imprese, dalla brevità dei nostri giorni, dal lavoro, dal bisogno di riposo, dalla caducità dei nostri sentimenti, da quel che passa per le nostre sinapsi deteriorate,  dalla necessità primordiale di dover resistere per poter vivere un altro giorno ancora, magari solo un'altra ora.
Avvizziti dalle nostre fobie, dalle allucinazioni momentanee,  da sogni assurti a ragione di vita; destabilizzati dai nostri lunghi silenzi, dal troppo ridere, dalla scarsità di soldi; esasperati dai nostri film, dalla nostra colonna sonora, dalla solitudine da praticare come religione; emozionati e vinti dai tramonti ammirati alla finestra, dalla pioggia che batte sul finestrino della macchina; zavorrati dal nostro orgoglio, dalle nostre certezze, da quello che vogliamo; avvinghiati come ad un salvagente al mangiare, al bere, al fottere, al dormire.
Vivi, o credendo di esserlo, perché in fondo chi può dirlo di "essere vivo"?
Proiettati al raggiungimento della perfezione, o forse dell'imperfezione, assertori della bellezza come perfezione e dell'imperfezione in quanto umani; egocentrici, maniaci, depravati, dissoluti, indisponibili al compromesso, al servilismo come mezzo di utilità, nauseati da ogni forma di potere, estranei ad ogni tipo di ortodossia precostituita, passiamo qualche ora insieme, per lo più la notte, la nostra vera ed unica casa.
Ossidati dai miei interminabili e futili monologhi,  devastati dalle sue distorsioni della realtà, resi instabili dai troppi drink,  profondamente incerti sul numero dei suoi anelli, estenuati dalle discussioni sui suoi capelli neri che non capisco come pettina, se mai li pettina, sulle sue magliette una sopra all'altra, sulle sue sigarette, sulle sue braccia muscolose, sull'adrenalina che mi scatena quando le sono vicino.
Enigmatici, esoterici, messianici, apocrifi, medium inconsapevoli, quantistici in realtà parallele, superstiti dell'epopea sumera, afflitti dai nostri innumerevoli conflitti, morti e risorti ogni maledetta notte ... vivi, o credendo di esserlo, perché in fondo chi di noi può effettivamente dirlo di "essere vivo"?

martedì 14 novembre 2017

ANA - TI AMO


(SERIA ANA - EPISODIO SEI)

Mi telefona un giovedì sera, è estremamente loquace, piacevole. Poi mi tira un'esca, mi parla di una certa festa che si svolgerà domani dalle sue parti, un centinaio di km dalla cittàeterna, Terni per la precisione.
Mi dice che è una cosa fica; io rispondo che si, potrebbe essere una cosa interessante. Mi dice anche che però effettivamente è lontano da Roma, e che forse è meglio se ci vediamo in un altro momento. Non la vedo da un paio di settimane, esattamente da dopo la nefasta ed allucinogena domenica pomeriggio ad Ostia, così, come mi appare ovvio, le rispondo che no, per me non c'è un problema, che si, si può fare, dai, cento chilometri per vederla mica poi sono dodici ore in miniera ...
Riesco a vedere il ghigno sul suo volto dall'altra parte del telefono, come se una forza misteriosa mi avesse teletrasportato fino a dove si trova in questo esatto momento: e in effetti è lì, bella, satanicamente bella. Gli dico "dai, ci sentiamo domani" e chiudo la conversazione trasfigurando il suo medesimo ghigno sul mio viso; avendo soddisfatto l'appetito del mio bulimico ego attacco alle spalle "a sud di nessun nord", esagerate pagine adatte all'ios appagato del momento.
Il giorno dopo è contrassegnato dall'esasperata frenesia di vedere trascorrere velocemente le ore che mi dividono da lei, ma il tempo, così come lo concepiamo noi, procede indipendentemente dalla nostra volontà di accelerarlo o rallentarlo, pur, se, tuttavia quell'alieno di Einstein ha teorizzato una certa relatività ristretta. Comunque la sera arriva, e verso le nove e trenta, dopo una interminabile doccia e una accurata scelta della camicia, come sempre rigorosamente nera come i jeans e gli stivali, in total black cioè, alzo le vele verso Terni, anche se mai e poi mai avrei immaginato di andare a trascorrere un venerdì sera in quella città, ma tant'é. Come compagno di viaggio ho scelto Vasco: ho dietro cinque cd. Accendo una sigaretta e lascio scivolare il disco dentro l'hifi: quanti anni hai stasera? quanti me ne dai bambina? Lascio che la notte copra i miei sentimenti, pur se non voglio che li soffochi;  è dolce, e così lascio il finestrino aperto per metà; lascio dietro i miei dubbi; lascio dietro le mie incertezze; lascio la frizione e il viaggio ha inizio.
La chiamo quando svolto a destra dove un cartello indica "centro", e così finisco in un isola pedonale, mi dice di non muovermi, che arriva; e poco dopo eccola manifestarsi sulla sua decappottabile bianca che sorride: l'amo, si, mi sembra chiaro che l'amo. Mi abbraccia e mi bacia, e io mi sento in forma, mi sento bello, anche leggermente più alto; seguo la sua Triumph con gli interni neri e ruota di scorta sul bagagliaio, percorriamo un paio di chilometri, poi mi indica di parcheggiare, lì abitano i suoi. Lascio la mia macchina senza appeal e salgo sulla sua intrisa di carica erotica e filiamo nel posto nel quale si sta svolgendo la festa per la quale ho ricevuto il suo invito.
Il party nella realtà è una festa del cazzo, e io precipito subito nel buco nero della noia; lei, nel frattempo, ha già salutato centoventi persone, gente, credo, che non vede da un qualche tempo, e comunque sono cazzi  suoi.
Poi, al terzo negroni, fortunatamente, inizio a rimettermi a piombo; inizio a sciogliermi, così in quella lucidità artificiale che mi procura l'alcol inizio a contemplare l'ipotesi che potrei anche provare a cercare di comunicare con qualcuno. Per una qualche imprevedibile traiettoria del disegno divino che sto percorrendo mi ritrovo a parlare con la sorella, si insomma, la sorella di Ana. Mi sembra di capire che studia ingegneria, e la sua conversazione convenzionale procede, così, fra alti e bassi, più bassi che alti in realtà; allora in un lampo di furbizia trovo una scusa che mi permette di licenziarmi con garbo da quell'inutile spreco di tempo e vado di nuovo al bar.
Mentre porto alle labbra il mio quarto negroni inizia a balenarmi l'idea che forse è meglio che me ne vado. Torno velocemente al posto dove ero seduto cercando di incrociare la stronza ed inizio a scrutare la sala dove sono ammassate tutte quelle inutili persone, finché non mi accorgo che è seduta dietro di me. Avvicina la sua testa alle mie orecchie intorpidite dalla musica e dal tasso alcolico e furbescamente si scusa per il party estremamente deludente, prima che io dilaghi in uno dei miei famosi e famigerati sproloqui che recito quando le cose non vanno come io nella realtà desideri; resto dunque nella la mia parte di presunto fidanzato e le dico che non importa, che la festa era una buona scusa per vederla.
Mi chiede se vogliamo andare, ed io annuisco docile. Le tengo la mano mentre ci dirigiamo finalmente verso l'uscita di questa paradossale follia che da questi parti chiamano party. Fuori la bacio, saliamo nella sua macchina; in un dionisiaco silenzio mi conduce su di una collina appena fuori città. Sotto di noi si apre una meravigliosa valle illuminata dalla discreta luce della luna, mentre un gelido ma docile vento leggero  inizia a spirare sui nostri pensieri. Sulla strada due fogli di carta si rincorrono, e quando il buio li inghiotte incrocio i suoi occhi che come lame mi penetrano; mi avvicino alle sue labbra e le sfioro con il palmo della mano, poi dolcemente l'accompagno verso me finché le nostre labbra si toccano, lasciandosi andare ad un interminabile bacio, tenero, smaliziato, avido, generoso: un bacio d'amore.
            E restiamo lì a raccontarci le nostre storie, abbracciati, scaldandoci dal freddo sempre più pungente; ridiamo, ci scambiamo carezze, complimenti, sguardi, e poi ci baciamodi nuovo, cogliendo il nostro attimo fuggente, il nostro momento, la parte che ci spetta.
            Mentre percorro l'autostrada al ritorno sorrido a me stesso come un idiota; scelgo un cd e parte "c'e chi dice no":  guarda. guarda là. guarda, la città. quante cose che ... 
            La mattina sta spegnendo la sveglia mentre  corro veloce sulla strada deserta, molto, molto agitato. Ormai lo so: l'amo davvero. 
Ritrovo questa sensazione dopo tanto tempo, e  mi inebria, mi scuote, mi attraversa l'intestino e mi esplode in testa, e poi ricomincia. E' un brivido piacevole, sessuale, sensuale, etereo. E' un lama tagliente che affetta il passato. E' il mio futuro.


lunedì 13 novembre 2017

ANA - UNA DOMENICA NEFASTA



(SERIA ANA - EPISODIO CINQUE)

E' domenica pomeriggio, e siamo in viaggio sulla via che da Roma porta al mare. Domenica pomeriggio, mah ...  E' mezz'ora che siamo in macchina, suoniamo Cerimony dei Cult e non diciamo una parola che sia una.
Il mio sguardo è pietrificato, fisso sulla strada; guardo nervoso le altre macchine, e mi chiedo perché sono qui; domenica pomeriggio, mah ... 
Ana credo che ancora dorma dietro gli occhiali scuri, è immobile; indossa un vestitino allegro, ma il suo umore è pessimo. Incrociamo semafori rossi senza soluzione di continuità, come un presagio di sventura mentre il mare  si avvicina.  Arriviamo comunque alla meta prefissata, Ostia, pur avvolti in un alone di depressione cosmica e riesco, finanche, nell'incredibile performance di parcheggiare immediatamente (mentre cerco parcheggio penso sempre ad una persona fortunata che conosco e qualche volta ho culo anch'io); scendiamo dalla macchina piuttosto avviliti direi.
Mi ha chiamato alle tre di pomeriggio e per una incredibile ed irripetibile coincidenza ho lasciato il portatile acceso; non riuscivo a dormire, diciamo che sonnecchiavo. Mi strofinavo sul letto cercando la posizione più giusta visto che per tutta la notte mi era parso di stare su una tavola piena di bozzi; ero praticamente livido, e lei sicuramente non in condizione di intendere e di volere. Le tre di pomeriggio. di domenica,  mah ...
La telefonata mi si era palesata come un positivo segno  del fato, pur se apparentemente incomprensibile, visto che era domenica, giorno di riposo degli dei. Così educatamente ho inghiottito la parolaccia che avrei dovuto biascicare come rifiuto ed gli ho detto  assurdamente di si. 
Idiota ... sei un idiota. Mentre  in macchina l'andavo a prendere me lo ripetevo come un mantra per cercare di riportare positività nei miei pensieri ancora obnubilati dall'alcol assunto nella notte trascorsa in un cazzo di posto nel quartiere Testaccio, simbolo, chissà perché, della così detta movida romana.
Ma, onestamente, darmi per tutto il tragitto dell'idiota non mi ha portato alcun beneficio spirituale, e ora che siamo qui seduti su di un muretto a guardare il mare gonfio e color cenere me ne rendo perfettamente conto.
Le nuvole basse sull'acqua sono leggermente più chiare, scaldate dall'ultimo sole che oggi i  nostri occhi vedranno, nell'assurdo silenzio che emana dalle nostre labbra che sono immobili da almeno due ore.
Dietro di noi passeggiano imperterriti replicanti, immersi nell'atavico bisogno di santificare ogni festa, che il tempo è poco, che domenica prossima chissà; e noi ci siamo finiti in mezzo. Sono centinaia, forse migliaia; e camminano ... camminano camminano ... e forse lo fanno ancora quando la lascio sotto casa. 
Litighiamo per tutto il viaggio di ritorno, vomitando il  putridume vissuto, giustamente espulso fuori da intestini intrisi dal troppo alcol della notte e dalla violenza di questa assurda e nefasta domenica, che svilisce nella penombra del giorno che sta fuggendo, per fortuna, da noi
Mentre torno mestamente a casa, nel buio che improvvisamente è calato fuori e 
dentro di me continuo nel patetico mantra di darmi dell'idiota ... 

sabato 11 novembre 2017

ANA - E COSI' SIA


(SERIA ANA - EPISODIO QUATTRO)

Riesco, non so bene come, ad ottenere un altro appuntamento con ventiquattroannidiculoeditette, Ana per la precisione.
Un secondo appuntamento,  un invito a cena; non male come idea anche se per niente originale, ma tant'è.  Certo, potevo provare a noleggiare un charter e portarla a bere un aperitivo a Parigi, per poi portarla a ballare nella calda notte di Barcellona? Certo,  poteva essere una grande e bella idea; magari la prossima volta cerco di organizzarmi meglio.
            Sono sotto casa che l'aspetto, ed eccola! cazzo! sono senza fiato ... è così bella, ma fuori dal finestrino sembra guardarmi con un aria che non so se sia completamente stupida o solo terribilmente agitata. Sale comunque in macchina, mi saluta con un bacio sulla guancia ed un languido "ciao", poi, per rompere il ghiaccio credo, inizia freneticamente a descrivermi cosa fa nella vita; anzi cerca di farlo, perché io sinceramente non è che capisca molto di quello che sta dicendo, abbagliato ed inebetito dalla sua presenza che in quel momento trascende come impalpabile e divina.
            Mentre rotoliamo a passo d'uomo in una Roma velata da una dolce notte mi sembra di capire che dovrebbe frequentare una specie di scuola superiore d'arte, ma s'incasina più di una volta nell'intercedere nel parlare, o forse m'incasino io nella ricezione delle sue parole, così alla fine credo di aver capito che non conclude in concreto un bel niente; quando glielo dico mi guarda inferocita, si inferocita è il termine giusto, ma fortunatamente la sua reazione mi fa sbottare in una grassa risata che riconduce le nostre anime in una tranquilla e rilassante ansa temporale.
               Decidiamo così di dirigerci verso San Lorenzo per cenare; come in un ulteriore segno di trascendenza trovo parcheggio fuori dal posto che lei mi ha indicato per mangiare. In un attimo ci ritroviamo seduti in un tavolo in fondo al locale, dove ci ha accompagnato una deliziosa inserviente con un forte accento campano, probabilmente una studentessa universitaria che si guadagna qualcosa lavorando la sera.
         Ordiniamo una "Cacio e Pepe" accompagnata da un vino rosso locale, che si rivela subito molto scadente ma che riesce comunque a detergere l'ansia strisciante che ci ha accompagnato fino a quel momento liberando finalmente parole non più prigioniere della formalità che le aveva ingessate nel pur breve tempo intercorso fra il ciao e l'ordine alla cameriera, permettendomi, così, di perdermi  nei suoi grandi  occhi neri, di essere rapito dal suo sorriso, dal  candore della sua pelle, dal suo gesticolare e dalla sua voce, assurta a una dolce melodia che mi permea estasiandomi.
            Mi ritrovo d'un tratto completamente nelle sue mani, come ipnotizzato; può prendermi a calci e io la lascerei fare; mentre mi parla riesco solo a visualizzarla sorridente sotto una cascata d'acqua nella più verde delle oasi che ride e gioca con me, che mi abbraccia, trascinandomi, infine, in un bacio delicato e vorace, senza fine.
            E poi, ancora, appesi ad un ramo nel verde lago sotto la cascata, e  in quel liquido primordiale vengo inghiottito da lei completamente e diveniamo un tutt'uno; in un infinita e impavida leggerezza il mondo sembra rinascere di nuovo, fra baci, carezze e corpi fusi, ansimanti, violenti e teneri, infernali peccatori in un eden dimenticato, unici, indivisibili, in un orgasmo che sta per esplodere soffocato nei gemiti di un abbraccio che ci lega, noi, io e lei ...
              Per secondo?
            La pur suadente voce della cameriera mi riporta bruscamente alla realtà: la guardo  come guarderei un'anatra parlante e pur sorridendo muovo l'indice da destra a sinistra declinando l'offerta, usando tutta la delicatezza che quell'interruzione non apprezzata al momento mi consente. 
             Ana ordina invece della carne, che mangia con ancora discreto appetito non appena gli viene servita; finiamo poi il vino, finiamo la sigaretta accesa dopo un amaro rigenerativo,  pagando al termine il conto e ci ritroviamo in strada, per finire in un altro posto dove servono drink.
            La nostra conversazione procede spedita come i miei ormoni in subbuglio nella mia pancia, tanto che credo che mentre le parlo io abbia un'aria da maniaco sessuale perché penso alle sue tette, al suo culo, alla sua bocca e chissà che cazzo sto dicendo. Infatti non passa molto che mi chiede di andare via. 
           Usciamo e le dico di guidare, un po’ perché non ne ho voglia, un po' perché sbaglio sempre strada in questa città  e così, pur se controvoglia si mette al volante.
            Mentre guida le guardo le mani, poi guardo fuori, poi ancora le mani, poi fuori e poi ancora le mani, che mi appaiono grandissime, enormi, tanto che sembrano avvolgere tutto il volante della macchina. Ho un sussulto, ma faccio finta di niente. Forse è un effetto collaterale dell'alcol, ad un certo punto vedi le cose giganti. Per una qualche ragione o come per uno strano ed irrazionale riflesso condizionato per un momento decido di guardarmi tra le gambe così per una volta potrei paragonarmi che ne so' a quell'attore  di porno molto famoso, di cui adesso non ricordo il nome, e che ha un attrezzo di lavoro spropositato, ma fortunatamente ritorno lucido e mi accorgo che siamo sotto casa sua e quindi sarà per la prossima volta.
            Saliamo?
            S A L I A M O?
       Neanche nella mia più ottimistica visione della serata ero riuscito a convincermi che mi avrebbe chiesto di salire a casa sua nel dopo cena, ma poi perché no?
           E certo che saliamo!
          L'allineamento dei pianeti che gravitano attorno alla mia stella in questa serata sembrano il più promettente segno astrale che potessi mai ricevere nella mia vita,  ma dopo un promettente inizio di riscaldamento, fatto di tutte le cose fatte al momento giusto, nel momento in cui avrei dovuto celebrare la divinità pagana cui mi stavo appellando da tutta la sera mi chiede di mettermi il preservativo. Nel silenzio che sembra calare all'improvviso dal soffitto mi rendo conto di non possedere un preservativo, e, oltre a ciò, se mai non fosse già abbastanza, non so neanche dove cazzo andarlo a prendere un preservativo; come colpito da un ictus mi lascio cadere sul letto, obnubilato dal ritmo sincopato del mio respirare mentre mi do del minchione per non aver pensato a dotarmene prima di avventurarmi nella notte con lei.

silenzio.

           Poi lei si alza, si china sul comodino di fianco al letto,  vi fruga dentro e poi la vedo voltarsi verso di me sorridendo: sul palmo aperto della stessa mano appare, come in un gioco di prestigio, un condom.

silenzio.

             Deglutisco nella sorpresa, sorrido anche io e ora tutto sembro tornato in una apparente normalità, ma, per l'appunto sembra; non avendolo mai usato prima nel tentativo di indossarlo mi manifesto come un avatar di un adolescente alla sua prima volta. Così dopo un paio di tentativi desisto e abbasso lo sguardo, inghiottito dalla tremenda figura di testa di cazzo che sto facendo, umiliante, deprimente, inenarrabile.            
            Ana mi guarda perplessa, ma nell'incantesimo che sto vivendo i suoi grandi occhi sembrano consolare i miei, appassiti e vitrei; forse mi sta solo prendendo per il culo, già forse; ma poi mi abbraccia, mi bacia, mi stende sul letto e sale a cavalcioni su di me. Inizia molto lentamente, ha gli occhi fissi nei miei. Lentamente le sue mani scorrono sul mio corpo, e io mi unisco al suo movimento, accompagnandolo, lentamente. Poi chiude gli occhi,  riaprendoli subito in una smorfia di dolore e piacere, aumentando la danza che balla su di me, senza frenesia, sciogliendo le briglie che sembrano legarci; inarca la schiena, si abbassa, mi bacia, si alza di nuovo, il ritmo adesso è una danza tribale che sprigiona adrenalina ad ogni sussulto, che si tramuta in sudore che imperla il suo viso ora angelico, lasciandosi, infine, cadere sul letto. Ora sono io sopra di lei, un bacio, due tre, e nel sussulto dei nostri corpi a contatto spingo dentro di lei tutto me stesso, mi sollevo ancorandomi alle sue mani, la guardo,  il nostro ballo ora è cadenzato, regolare; sprofondo nuovamente nella sua bocca, che  sembra inghiottirmi, sento i seni, li tocco, li mordo, li lecco e li mordo di nuovo, torno a muovermi lentamente, gli accarezzo i fianchi, poi le sue gambe si alzano, le ho davanti a me, e il mio movimento diviene violento, gira la testa, la gira di nuovo, e fradici di sudore anneghiamo alla fine nell'eruzione dei nostri fluidi corporali ...

venerdì 20 ottobre 2017

UFO NELL'ARTE SACRA

Nell'arte così detta Sacra sono stati più volte rappresentati strani oggetti volteggianti nel cielo, che lasciano perplessi ... eccone alcuni esempi:

Crocefissione, oggetti volanti  lato superiore sinistro e  lato superiore destro


Particolare del lato superiore sinistro



Sepolcro, oggetto volante posto sopra il corpo del Cristo



Crocefissione, oggetti volanti lato superiore sinistro e lato superiore destro



Crocefissione, oggetti volanti posti sotto il legno trasversale della croce


Particolare dell'oggetto pitturato sotto il braccio sinistro del Cristo in croce


Infine, una curiosità: nell'Abbazia di Rennes le Chateau, in Francia, ci sono due statue raffiguranti Giuseppe e Mara che tengono in braccio entrambi un pargolo: forse Gesù ed il suo gemello (Didimo)?




giovedì 19 ottobre 2017

LA CONOSCENZA VEDICA

In relazione al post di ieri sul "Discorso di Ratisbona" di Papa Benedetto XVI, voglio proporre oggi un brano tratto dalla "Caduta degli Dei - Bibbia e testi induisti, la storia va riscritta", opera di M. Biglino e E. Baccarini edita da Uno Editori, e più precisamente dal capitolo (pag. 294) dedicato alla conoscenza vedica (trasmessa attraverso i VEDA, una antichissima raccolta in sanscrito vedico di testi sacri, divenuti nella nostra epoca di primaria importanza nel differenziato insieme di dottrine e credenze religiose dell'Induismo).
...

In uno dei quattro testi sacri che compongono, appunto, i Veda, il RIG VEDA (10.71.4) è possibile leggere questo passo:
"Un uomo illetterato può non vedere il linguaggio anche se questo sia visibile e può non comprenderlo anche se lo ascoltasse. Ma lei (il linguaggio) espone il suo corpo a una persona come una moglie lo svela a suo marito".
Secondo Raja Ram Mohan Roy, autore di Vedic Phisic
"La conoscenza contenuta nei VEDA è profondamente ermetica e va oltre la comprensione ordinaria degli esseri umani. Tuttavia i saggi vedici codificarono la Conoscenza in una forma più semplice che potesse essere compresa da chiunque ...  Questa codificazione della sapienza si dimostra essere veramente ottimale per disseminare la conoscenza tra le gente comune. Ciò spiega anche perché siano state compiute iniziative straordinarie per preservare i VEDA e il perché sia stato tributato così tanto onore a questo testo sacro degli induisti, nonostante il suo vero significato sia poco compreso ancora oggi."
...
 La breve introduzione sopra esposta è propedeutica alla chiosa finale del capitolo dedicato alla conoscenza vedica che di seguito riporto:
"Ovviamente la sapienzialità induista fonde nozioni scientifiche ed altre religiose creando un'unione indissolubile tra le due realtà. In Occidente abbiamo volontariamente voluto dividere scienza e religione in due entità distinte e, talvolta, antitetiche ma non possiamo conoscere la realtà ultima delle cose e quindi non possiamo assolutamente negare che il sistema indiano possa nella sua essenza contenere elementi di verità.
Il Vedanta costituisce quindi la dottrina scientifica e teologica dell'induismo e mostra nei suoi principi come non esista alcun conflitto tra principi scientifici e religiosi considerandoli semplicemente come due facce di una stessa medaglia. Nel Vedanta questi due aspetti sono complementari principalmente in ragione del fatto che la comprensione di questi due domini è ben delineata e codificata.
Nell'Induismo esistono due categorie legate alla conoscenza: la prima è la para vidya, ovvero la conoscenza spirituale, mentre la seconda è la apara vidyai, la conoscenza materiale. La conoscenza scientifica appartiene quindi al reame della apara vidyai, mentre quella spirituale, la conoscenza di Dio e della vita, alla para vidya.
Per l'Induismo la conoscenza materiale conduce a quella spirituale."



mercoledì 18 ottobre 2017

FEDE E RAGIONE - BENEDETTO XVI - RATISBONA, 12 SETTEMBRE 2006

Stralci del discorso tenuto da PAPA BENEDETTO XVI presso l'Università di Ratisbona (Baviera, Germania) avente per tema il rapporto tra fede e ragione; l'analogia, nella differenza, tra Dio e l'uomo; il nesso tra religione e civiltà; la scientificità moderna, con il suo valore e la necessità di "allargare l'illuminismo".

...
"La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del libro della Genesi, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole "In principio era il Logos". E' questa proprio la stessa parola che usa l'imperatore: Dio agisce con il Logos (che per i greci antichi era l'evidente razionalità dell'universo ... n.d.r.). Logos significa insieme ragione e parola - una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il Logos, e il Logos è Dio, ci dice l'evangelista".

...
"Solo se Ragione e Fede si ritrovano unite in un modo nuovo, se superiamo la limitazione auto decretata della ragione a ciò che è verificabile con l'esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza è possibile non fare un uso distorto, quindi, delle conquiste scientifiche".

...
Ed, in ragione di ciò:

"Solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni. Le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall'universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sotto culture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture".

...
"Il coraggio di aprirsi all'ampiezza della ragione, il non rifiuto della sua grandezza, è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla Fede Biblica entra nella disputa del tempo presente".

...
Papa Benedetto XVI forse non sarà mai apprezzato abbastanza dai cattolici cristiani come "Papa" per l'appunto, ma ogni volta che mi capita di rileggere certi suoi discorsi, tra cui questo di Ratisbona in particolare, non posso non soffermarmi sulla sua grande capacità di analisi filosofica-religiosa elaborata in ragione di quanto stiamo attualmente vivendo come società planetaria. I tempi sono oramai maturi per importanti rivelazioni che stanno per essere fatte sia dalla Chiesa, come Istituzione Religiosa, sia dagli Stati, come Istituzioni Laiche, che, per forza di cose, convergeranno fondendo religione e scienza in un "unicum" che l'Adam (essere biblico ed essere scientifico allo stesso tempo) sta già vivendo dalla sua prima apparizione sul pianeta "Terra", o come in qualunque modo si voglia chiamarlo. Benedetto XVI lo ha sottolineato proprio in questo famoso discorso pronunciato, non a caso, in in'università (in proposito vale la pensa di ricordare che alla Sapienza di Roma gli fu impedito di parlare), quale simbolo indiscusso dell'analisi scientifica di ciò che circonda la vita biologica che prolifera in questa parte dell'universo da tempo immemore.
Se "In principio era il Logos", ovvero l'evidente razionalità dell'universo per i greci antichi, come scritto dal discepolo Giovanni (colui che Gesù amava ...) nel suo Vangelo non a caso non sinottico, e se tutto ebbe inizio, come sembra oramai acclarato anche per via di ritrovamenti recenti di antichi scritti provenienti dall'India (I VEDA), da un BIG BANG, mi chiedo come sia ancora possibile che Fede e Scienza siano ancora considerate divergenti e non rette parallele destinati ad incontrarsi nel punto chiamato infinito ...

giovedì 12 ottobre 2017

SANSCRITO (SAMSKRTAM)

Il Sanscrito è una lingua ufficiale dell'India appartenente alla famiglia delle lingue indoeuropee (pur, se a tutti gli effetti sia una "lingua morta", essendo usata dagli induisti solo ed esclusivamente in cerimonie religiose o letture di testi sacri); da essa derivano molte lingue moderne. Il termine sam-kr-ta nell'antica lingua significa "perfetto". E' la lingua indoeuropea più conservatrice (pur essendo antica almeno seimila anni): mantiene tutte le forme originali e ne presenta poche innovative; il nome ha una declinazione complessa, in quanto i casi  (categoria grammaticale che consiste nella modificazione di un nome secondo la sua funzione logica: soggetto, complemento oggetto, complemento indiretto ecc. ecc.) presenti in essa sono ben otto: nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo, strumentale, ablativo e locativo.
Erroneamente oggi tendiamo a pensare che le strutture grammaticali delle lingue moderne siano divenute sempre più articolate e complesse, ma, in realtà, l'analisi storica dei linguaggi sembra suggerire l'esatto contrario; più antico è la lingua più complesse sono le sue regole grammaticali (ad es. il latino presentava 5 casi nella sua struttura mentre l'odierno italiano non ne contiene alcuno).
In particolare, il Sanscrito, la "Lingua Perfetta"per quanto ciò che mi appresto a dire possa sembrare paradossale, sembra essere un vero e proprio linguaggio per computer (ovvero un linguaggio di programmazione di software); nel 1987, in luglio, la rivista Forbes pubblicava un articolo intitolato "Il Sanscrito è la lingua ideale per la programmazione di software per computer", per quanto, mi ripeto, questo possa essere incredibilmente assurdo.
In proposito, già due anni prima, Rick Briggs, ricercatore NASA studioso di intelligenza artificiale presso il Roacs NASA Ames Research Center di Moffet Field in California, pubblicò un articolo scientifico che metteva in relazione il Sanscrito, l'Intelligenza Artificiale e le moderne conoscenze della NASA (Sanskrit and Artificial Intelligence- NASA Knowledge Representation in Sanskrit and Artificial Intelligenze - "Al Magazine" vol. 6 n. 1, Primavera 1985), nel quale affermava che:
"nell'antica India l'intenzione di individuare la Verità divenne così consumante che, in questo processo, scoprirono forse lo strumento più perfetto per soddisfare tale ricerca che il mondo abbia mai conosciuto: la lingua sanscrita ... Oltre ad opere di valore letterario, esisteva una lunga tradizione filosofica e grammaticale che ha continuato ad esistere con immutato vigore fino al secolo attuale. Tra le realizzazioni di questi grammatici si può ritenere che abbiano scoperto una lingua, il sanscrito, che è identico non solo nella sostanza ma nella sua forma con il lavoro corrente sull'intelligenza artificiale. Questo articolo dimostra che un linguaggio naturale può anche servire come lingua artificiale e molti studi sull'intelligenza artificiale non sono altro che un inconsapevole riappropriarsi di studi molto più antichi".
Se teniamo in considerazione che negli ultimi venti anni sono stati impiegate molte risorse, tempo e fondi nella progettazione di una rappresentazione chiara delle lingue naturali per renderle accessibili all'elaborazione attraverso i computer, e che le conclusioni alle quali sono arrivate i ricercatori convergono sul fatto che il linguaggio naturale non sarebbe adatto a relazionarsi correttamente con la rigorosa e matematica logica di un computer, per via delle numerose ambiguità di tipo semantico dello stesso, che si presta facilmente a fraintendimenti, come ho già avuto modo di esprimere in altri post, come possiamo ancora considerare gli umani che ci hanno preceduto (in questo caso di circa seimila anni) ancora come dei "primitivi"?
Se solo oggi riusciamo a comprendere alcuni loro aspetti culturali grazie al livello tecnologico che sembra abbia raggiunto l'odierna umanità, non sarebbe forse il caso di riconsiderare il livello culturale dei popoli che ci hanno preceduto? Continuare a crederci "evoluti" non potrebbe essere, a tutti gli effetti, solo una decadente esibizione di egocentrismo? ...


venerdì 6 ottobre 2017

PROTOVANGELO (APOCRIFO) DI GIACOMO - NASCITA DI GESU'

(19,1)
Vidi una donna discendere dalla collina e mi disse: "Dove vai uomo?". Risposi: "Cerco un ostetrica ebrea". E lei: "Sei di Israele?". "Si", le risposi. E lei proseguì: "E chi è che partorisce nella grotta?". "La mia promessa sposa" le risposi. Mi domandò: "Non è tua moglie?". Risposi: "E' Maria, allevata nel tempio del Signore. Io l'ebbi in sorte per moglie, e non è mia moglie, bensì ha concepito per opera dello Spirito santo". La ostetrica gli domandò: "E' vero questo?" Giuseppe rispose: "Vieni e vedi". E la ostetrica andò con lui.
(19,2)
Si fermarono al luogo della grotta ed ecco che una nube splendente copriva la grotta. La ostetrica disse: "Oggi è stata magnificata l'anima mia, perché i miei occhi hanno visto delle meraviglie e perché è nata la salvezza per Israele". Subito dopo la nube si ritrasse dalla grotta, e nella grotta apparve una gran luce che gli occhi non potevano sopportare. Poco dopo quella luce andò dileguandosi fino a che apparve il bambino: venne e prese la poppa di Maria, sua madre. L'ostetrica esclamò: "Oggi per me è un gran giorno, perché ho visto questo nuovo miracolo".
(19,3)
Uscita dalla grotta l'ostetrica si incontrò con Salome, e le disse: "Salome, Salome! Ho un miracolo inaudito da raccontarti: una vergine ha partorito, ciò di cui non è capace la sua natura". Rispose Salome: "(Come è vero che) vive il Signore, se non ci metto il dito e non esamino la sua natura, non crederò che una vergine abbia partorito".
(20,1)
Entrò l'ostetrica e disse a Maria: "Mettiti bene. attorno a te, c'è, infatti, un non lieve contrasto". Salome mise il suo dito nella natura di lei, e mandò un grido, dicendo: "Guai alla mia iniquità e alla mia incredulità, perché ho tentato il Dio vivo ed ecco che ora la mia mano si stacca da me, bruciata".
(20,4)
Salome si avvicinò e lo prese su, dicendo: "L'adorerò perché è nato un grande re". E subito Salome fu guarita e uscì dalla grotta giustificata. Ed ecco una voce che diceva: "Salome, Salome! Non propalare le cose meravigliose che hai visto, sino a quando il ragazzo non sia entrato in Gerusalemme".
... ... ... ... ... ... ...

Due ostetriche vengono chiamate da Giuseppe ad aiutare Maria a partorire. Una assiste nella grotta al miracolo della nascita di Gesù senza che lei operi alcun intervento e, sbalordita da ciò che ha visto, subito esce a dirlo a l'altra (Salome), che incredula a quelle parole vuole verificare materialmente, ispezionando la vagina di Maria. Nel compiere l'ispezione comprende che Maria è ancora vergine dopo il parto e come punizione divina la sua mano, probabilmente a causa del calore che aveva originato la nascita, subisce una forte scottatura, molto dolorosa che guarisce non appena prende in mano il bambino appena nato.
Questo famoso passo del protovangelo di Giacomo, seppur considerato apocrifo, sembra rendere inappellabile la verginità di Maria, rimasta tale anche dopo il parto (Giacomo ci dice che è stata materialmente appurata); in conseguenza di ciò l'ipotesi dell'inseminazione artificiale di Maria da parte di entità biologiche aliene sembra non reggere l'urto di questa cronaca della nascita di Gesù fatta da Giacomo.
Se a questi passi aggiungiamo quanto indicato in una altro vangelo apocrifo, quello dello Pseudo-Matteo, che nel versetto 4 manifesta "Sul neonato non vi era alcuna macchia di sangue e la partoriente non ha sentito dolore alcuno. Ha concepito vergine, vergine ha generato e vergine è rimasta", i dubbi inerenti un ipotetico intervento scientifico per inseminare Maria aumentano in maniera esponenziale.
Inoltre, le due ostetriche (Zelomi e Salome) vengono citate anche in quest'ultimo, come il "grande splendore" (v.3) al momento del concepimento che impediva loro di entrare nella grotta (in questo vangelo è poi menzionata Zelomi come quella che effettuò materialmente l'ispezione vaginale).
O, viceversa, i passi sopra citati non fanno altro che confermare la natura aliena di Gesù Cristo?, ed è per questo che questi vangeli sono stati classificati come apocrifi?
Misteri della fede ...





martedì 3 ottobre 2017

I SEGRETI DELLA NASA

 

Sul sito della NASA è reperibile questa foto (priva di qualsiasi commento) scattata da uno dei due rover che gli USA hanno spedito su Marte qualche anno orsono e che da tempo sta facendo molto discutere la comunità ufologica e non solo.
L'ombra che si vede accanto al rover sembra essere quella di un umanoide che sta effettuando una qualche azione sullo stesso; alcuni particolari, quali i capelli e quella che sembra una bombola per ossigeno, appaiono così evidenti da lasciare molti dubbi a chi l'osserva, pur senza necessità di farlo con un qualunque retro pensiero complottistico o di qualsiasi altra natura.
In effetti occorre riconoscere che la figura accanto al rover, filiforme, con testa, braccia e gambe, sembrerebbe non lasciare dubbi in proposito.
La foto è stata scattata dopo che il rover in questione si è riattivato quando tutte le speranze che potesse accadere erano andate deluse; essendo alimentato da energia solare, i pannelli di cui è dotato durante una tempesta densa di polveri  (molto frequenti su Marte) erano divenuti inservibili proprio a causa delle medesime che si erano depositate in grande quantità sui pannelli.
In ragione di ciò, la NASA, dopo vari tentativi di riattivare la macchina dalla Terra andati a vuoto, era pervenuta alla conclusione che la missione del rover sul pianeta rosso fosse conclusa.
Inspiegabilmente poi, il rover si è riattivato ed ha iniziato a trasmettere di nuovo verso la Terra immagini e dati (scopo per cui è stato concepito), riprendendo anche a percorrere il pianeta; in sostanza è tornato in piena efficienza.
La Nasa nell'annunciare che la missione scientifica poteva continuare, ha anche spiegato che ciò era dovuto ad un vero colpo di fortuna, ovvero che una tempesta successiva a quella che aveva interrotto l'attività della macchina aveva, in una qualche maniera, ripulito i pannelli necessari al rover per accumulare l'energia necessaria per fare quello per cui è stato progettato; subito dopo sul sito dell'Agenzia Spaziale Americana, appunto, è apparsa questa foto, postata senza alcun commento. 
Ora, pur tenendo debitamente conto che il cervello umano tende a dare un senso a tutto ciò che recepisce come immagini, ovvero tenta di ricondurle a qualcosa che possa identificare (basta pensare a come vengono generalmente associate le forme create delle nuvole nel nostro immaginario), la foto non può non lasciare perplesso chi la osserva; se poi questa viene associata alla incredibile riattivazione di una macchina da milioni di dollari creduta perduta, le perplessità non possono che crescere in maniera esponenziale.
Che la NASA non manifesti tutto quello che conosce in relazione allo spazio esterno alla Terra è cosa nota, come è anche noto che sia tenuta a rispettare il segreto militare in quanto facente parte degli Uffici di quello che può essere definito il Ministero degli Interni USA; pur tuttavia da qualche tempo,  riguardo a Marte, ha iniziato a rendere note foto che fanno emergere diversi interrogativi a chi le guarda (apparenti manifatture quali piramidi, statue, ossa, animali e altro), sempre senza rilasciare commenti in proposito.
Quale è lo scopo di ciò?
Denigrare i famosi "complottisti" giocando proprio su come l'essere umano percepisce forme apparentemente indefinite e quindi dimostrare, con la pubblicazione di queste foto, che non ha nulla da nascondere (Marte sarebbe in sostanza un pianeta non solo disabitato, ma mai abitato in precedenza) oppure preparare la popolazione terrestre ad una qualche rivelazione che ha intenzione di fare a breve?
E se la figura della foto appartenesse davvero ad un umanoide, questo è stato inviato su Marte dalla Terra oppure è un indigeno che vive sul pianeta, quindi per noi un alieno? E seppur fosse un qualche tipo di Cyborg evoluto, o magari un avatar, perché la NASA, se mai fosse arrivata a generare questo tipo di tecnologia evoluta, la tiene nascosta?
Forse non occorrerà ancora molto per avere risposte alle molte domande, o forse non le avremo mai, perché, tutto sommato, a noi poveri terrestri cosa vuoi che importi se qualcuno già vive su Marte ...
 
 
 


giovedì 14 settembre 2017

della Relativita' ristretta

 
tratto dall'articolo di Domenico Rosaci,
Professore Associato di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni (SSD ING-INF/05) presso il Dipartimento dell'Informazione, delle Infrastrutture e dell'Energia Sostenibile (DIIES) dell'Università degli Studi "Mediterranea" di Reggio Calabria, pubblicato sul numero 30 di luglio 2017 della rivista Tracce d'Eternità disponibile gratuitamente sull'omonimo sito internet www.traccedeternita.com/.
 
...
Immaginiamo che due osservatori del tempo siano posizionati uno sulla Luna ed uno sulla Terra. Immaginiamo, inoltre, che dopo aver sincronizzato gli orologi l'osservatore sulla Luna inizi a muoversi verso la Terra a gran velocità. I calcoli di Einstein predicono che quando l'osservatore posto sulla Luna sarà arrivato sulla Terra, il suo orologio sarà in ritardo rispetto a quello dell'osservatore a Terra. Sarà come se l'orologio dell'osservatore proveniente dalla Luna si sia mosso più lentamente rispetto a chi è rimasto fermo sulla Terra.
Questa predizione di Einstein deriva semplicemente dall'avere tratto le necessarie conseguenze matematiche dal postulato che la luce nel vuoto si muova sempre alla stessa velocità, ed è quindi un risultato completamente teorico. Ciò che lo rende sensazionale ed ammirevole, è che esso ha trovato completa conferma nella sperimentazione (esperimento del 1971 compiuto da Joseph Hafele e Richard Keating, consistente nell'utilizzare quattro orologi atomici sincronizzati tra loro con gli orologi dell'osservatorio navale degli Stati Uniti; i quattro orologi atomici vennero posti su degli aerei che compirono il giro del mondo. Al termine dell'esperimento i quattro orologi segnavano un tempo inferiore a quelli restati fermi sulla Terra misurabile in miliardesimi di secondo).
Ma le implicazioni della Relatività ristretta diventano enormi, se ipotizziamo di chiamare in causa osservatori che si muovono tra loro a velocità paragonabili a quella della luce. Supponiamo, ad esempio, di considerare due coniugi di 20 anni, che hanno appena avuto un figlio. Il marito è un astronauta e sta per partire in un viaggio a bordo di un astronave. I due coniugi si salutano, e sincronizzano gli orologi. Supponiamo che il marito viaggi a 280.000 Km/sec, cioè al 93% della velocità della luce, e debba raggiungere la stella Arturo, che dista circa 37 anni luce dalla terra; alla sua velocità impiegherà circa 40 anni. Poi l'astronauta ritornerà sulla Terra impiegando altri 40 anni. Per la moglie ed il figlio che l'aspettano, saranno, quindi, trascorsi 80 anni. Ma la relatività ci dice che per l'astronauta il tempo è passato molto meno velocemente. La formula di Einstein calcola che per il marito sono trascorsi solo 29 anni. L'astronauta torna a casa quindi non ancora cinquantenne, mentre la moglie, centenaria, sta per morire assistita dal figlio 80 enne.
...
Einstein concepisce la realtà di un osservatore come una sorta di sostanza nella quale egli è immerso, una sostanza fatta al tempo stesso di spazio e tempo.
...
Quindi osservatori in moto relativo tra loro hanno una diversa esperienza dello spazio tempo, e, quindi, della Realtà, che non è più considerabile come un concetto assoluto.
...
Il Tempo di Einstein è solo la possibilità di percepire in infiniti modi diversi la sostanza spazio temporale, che non ha, quindi, una precisa identità, ma ha l'identità che gli da l'osservatore che la misura.
...
Ha ancora senso, dopo Einstein, mettersi alla ricerca del Tempo Perduto? Oppure è più ragionevole accettare che la Realtà Ontologica, che esiste in quanto tale, sia e resti un concetto puramente metafisico catturabile con la sola intuizione, mentre la Realtà Conoscibile, per via esperenziale, sia intrinsecamente non catturabile?
 
 
 
 

 

 
 
 


domenica 10 settembre 2017

ANA - finalmente!


(SERIA ANA - EPISODIO TRE)

mi manda un messaggio sul portatile che recita: "sono disposta a farmi perdonare, io in genere mantengo sempre le mie promesse".
mi rigiro un paio di volte nel letto. è domenica pomeriggio. sono in clausura come tutte le domeniche. nel dormiveglia mi vengono in mente fatti e situazioni che si accavallano, sbagliano i tempi, diventano esagerate e si rimpiccoliscono, piango e rido in un limbo struggente, maleodorante.
vado sul menù dei messaggi e klikko su invia nuovo, senza troppa fantasia scrivo: "ti perdono se mi fai un sorriso".
riesco così a farmi dare un  banale appuntamento di lunedì sera. accendo la tv e procedo stancamente nella lurida domenica aspettando che arrivi domani ...
... e lunedì arriva, come sempre. sono sotto casa sua che l'aspetto. faccio squillare il telefono. resto in macchina, senza scendere. poi, eccola. non ricordavo neanche il suo viso. 
ciao.
ciao.
sale e parto senza bene sapere dove andare in effetti.
allora?
allora?        
non riesco a mettere insieme due parole in fila, scarto l'idea di cercare un frase completa. ma mi sembra che neanche lei riesca a dire qualcosa di senso compiuto.
decidiamo così tacitamente di perderci nella notte e di bere un buon drink. l'alcol aiuta sempre, specie in questi momenti così imbarazzanti di cui in genere ridi nei film e pensi che tu sapresti sempre cosa fare e invece non è mai così, anzi non sai mai cosa fare perché non sei altro che il solito coglione  uguale a tutti gli altri.
entriamo in un  locale. di un vecchio pazzo che crede ancora di essere quello che era, pieno di tatuaggi e di un aria tipo so tutto io come vanno  le cose  del mondo, e forse sarà anche vero, ma ciò non toglie che a me stia  tremendamente sul cazzo e vorrei dirglielo su quella brutta faccia segnata dagli anni ma mi esce solo un buonasera.
negroni.
negroni.
anche lei beve negroni. meglio. così ci scioglieremo in due. e sarà tutto più facile.
due, tre sorsi e finalmente iniziamo a comunicare con una certa facilità, le frasi ora scorrono fluide, escono fuori argomenti interessanti, si ride e ci si lascia  andare, lasciando dietro le paure, le angosce di cosa fare e non fare, dire e non dire, ma chi me lo ha fatto fare, perché.
al secondo negroni  sembra che ci conosciamo da anni e che ci ritroviamo dopo tanto tempo. adesso ci sentiamo nella condizione di aver tante cose da dire e di non averne il tempo. e mentre il mondo resta chiuso fuori e l'isolamento diventa aureo arriva un tipo che si mette seduto al pianoforte vicino a noi e decide di mettersi a suonare.
il mio primo impeto è di tirargli il bicchiere. il secondo è di rompergli subito un braccio così non può suonare, ana propone di spaccargli il tavolo in testa, così, come protesta ufficiale per il disturbo creato, ma ancora abbastanza lucidi decidiamo di cambiare locale.
più tardi la lascio sotto casa. sono circa le due del mattino. la guardo attraversare la strada. aspetto che varchi il portone. un ultimo sguardo.
accendo la radio, cerco una stazione  e accendo l'ennesima  sigaretta. ingrano la marcia e lascio dolcemente la frizione. la macchina muove soave sull'asfalto umido, cullandomi nel turbinio di pensieri che ho nel ritorno a casa.
la città è deserta. le luci dei lampioni mi fanno compagnia e mi indicano la via. sento che la mia anima è in fermento e mi lascio attraversare dai brividi che emana. posso così sorridere a me stesso, finalmente ingenuamente soddisfatto.