domenica 26 giugno 2016

ON THE ROAD

Ho vissuto "sulla strada" gran parte della mia vita, finché un giorno di qualche anno fa, apparentemente senza che io avessi preso questa decisione, la strada non è stata più la mia casa. Ad un certo punto non era più accogliente, invitante, eccitante percorrerla in lungo ed in largo, senza meta definita, viaggiando nell'attesa che il fato proponesse il suo evento.
Un giorno indefinito del mio calendario la strada si è allontanata volontariamente da me, come se avesse la esatta percezione di cosa stesse accadendo, come se avesse un vita propria e avesse deciso che il nostro rapporto non dovesse continuare.
La frequentazione prima ha iniziato a diradarsi, divenendo nel tempo occasionale e iniziando a mal sopportarci a vicenda  non avendo più intima confidenza; poi l'insopportabilità è divenuta infine ostilità, il che ci ha condotto ad un inevitabile traumatico divorzio.
Avevamo feeling, siamo divenuti intimi presto, fin da subito direi; ero giovane e la strada era lì, pronta ad essere percorsa per andare incontro al mondo. Con il tempo il nostro rapporto si era consolidato, era divenuto saldo e ci sostenevamo a vicenda, pur negli inevitabili pericoli insiti in lei, esposta al vento degli eventi di chi la percorreva senza conoscerla.
Mi ha procurato dolore, come tutte le persone con cui hai un rapporto intimo e profondo, le sole che possono farlo, ma mi ha dato anche infinite gioie facendomi diventare un uomo negli anni trascorsi con lei.
Eppure un giorno, uscendo di casa, mi sono reso conto che mi era divenuta estranea, sconosciuta, e iniziai a diffidarne. La conoscevo nel profondo, credevo, mi fidavo e non avevo paura a percorrerla, sapevo come affrontarla e come domarla, sapevo renderla docile e sottomessa, pur rispettandola nel profondo.
Ma quella notte, nella pallida luce dei lampioni che la rendeva indefinita e informe, mi si è manifestata davanti come un buio tunnel nel quale avevo paura ad entrare; esitai a lungo prima di andargli incontro, ma infine lo feci in una profonda insicurezza che mai prima di allora avevo avvertito.
Riprovai alcune altre volte, ma il buio tunnel era sempre lì e la mia insicurezza cresceva sempre di più di pari passo con la paura, sensazione a me sconosciuta fino ad allora.
Poi il buio tunnel iniziò a manifestarsi anche in piena luce, nelle mattine che dovevo affrontarla per andare al lavoro; era sempre lì, oscuro, tetro, incombente, come una bocca vorace che avrebbe potuto inghiottirmi e non sputarmi più fuori, ma dovevo necessariamente affrontarlo, non potevo esimermi.
La paura è divenuta infine  terrore, che riesco oggi a vincere solo se obbligato a farlo, ovvero andare al lavoro; per il resto evito di affrontarlo.
Non conosco il motivo per cui è successo questo, che ora mi tiene chiuso in casa nei giorni di festa; ci penso, ma non trovo risposta. Forse sono pazzo, forse è una strana forma di rigetto, forse è una fobia che non riesco a controllare. Non lo so. Quello che so è che la strada non è più mia amica, anzi è divenuta una mi acerrima nemica.
Ho vissuto  "on the road" e forse ora ne sono rimasto prigioniero, come in un incantesimo potente dal quale, per ora, non riesco a venire fuori ...


giovedì 23 giugno 2016

RAGGI DI SOLE

Dopo fiumi di parole, analisi politiche più o meno professionali e imparziali, alla fine la Città Eterna ha il suo nuovo sindaco, per la prima volta appartenente al gentil sesso. Seppur in una continua emorragia di persone che si recano alle urne, comunque la maggioranza di chi è andato ha fatto la sua scelta. Cosa io  penso di questa carica  istituzionale l'ho espresso nel mio post "la retorica del sindaco", ma siccome il nostro ordinamento la prevede è giusto che questa venga assegnata.
Non esistendo un percorso formativo che crei adeguati profili per il conferimento di questa carica, quello in cui occorre sperare è che la persona eletta abbia ragionevole buon senso per operare per il bene comune, al di là di ogni convincimento o ideologia personale.
Il concetto risalente all'epoca romana di "bonus pater familias" (buon padre di famiglia), modello di uomo libero e fornito di "sui iuris", ovvero di capacità adeguate e consapevole della propria posizione e delle proprie azioni, resta il principio cui dovrebbero attenersi le persone che ricevono l'onore e l'onere di una carica istituzionale; a questo dovrebbero anche aggiungersi una diligenza specifica riguardo all'attività che si va ad esercitare e una rettitudine morale di alto profilo.
Ho avuto anche modo di approfondire in un altro post il discorso relativo alla "ragion di stato", sia dal punto di vista delle necessità della riservatezza della stessa nonché delle necessità di operare in determinati ruoli su di un labile confine tra lecito ed illecito (ovviamente non nel senso di appropriarsi indiscriminatamente della cosa pubblica).
Quello che credo deve essere chiaro è che l'onestà e la rettitudine morale in senso lato non rappresentano le uniche qualità, senz'altro occorrenti e acclarate, su cui fare affidamento nel momento in cui si decide di affidare una carica istituzionale ad un libero cittadino che si è proposto in tal senso.
La complessità di una città come Roma (o Milano, Torino o Londra,  non cambia nulla) presuppone che chi la guida abbia molte altre qualità oltre a quelle sopra declinate; prendere decisioni, seppur limitate dalla legge che regola l'istituto, resta comunque un compito gravoso che necessita di una grande lucidità mentale e capacità di avere lungimiranza in tal senso; molte delle scelte che vengono operate avranno ripercussioni negli anni a venire e potrebbero causare derive incontrollabile se non attentamente ponderate; potremmo citare in proposito una moltitudine di casi.
E' anche vero che il voto è anche una espressione di fiducia "a prescindere" e che il giudizio deve essere necessariamente espresso alla fine del mandato istituzionale, e che l'esperienza non è sempre un fattore determinante per avere successo in quello che ci si propone di fare; ci sono persone che riescono in quello che altri non possono nemmeno immaginare di fare.
Rompere schemi inalterati da anni è comunque positivo e l'elezione del nuovo sindaco di Roma potrebbe rappresentare quel cambiamento di cui questo Paese ha grande necessità.
Nessuno di noi ha super poteri credo, e sarebbe anche ingiusto avere aspettative impossibili oggi; i cambiamenti sociali sono lenti ed hanno bisogno di essere metabolizzati.
Quello che è necessario è che chi è stato eletto possa lavorare in un clima di serenità, che le permetta di prendere confidenza con il suo ruolo e crescere con il passare dei giorni che dedica al lavoro.
In una socialità che trangugia tutto in poco tempo questo potrebbe essere considerato un lusso, ma fare prima non equivale a fare bene e se riconsideriamo il fatto che concedere un tempo adeguato possa rappresentare un valore aggiunto forse una nuova era potrebbe aprirsi dinnanzi a noi.
Buon lavoro.



lunedì 20 giugno 2016

SPIRITUALITA' E TRASCENDENZA - di Simona Rosatelli

Ricevo e pubblico con piacere il pensiero di Simona Rosatelli sul questo tema. 

L’argomento mi risulta interessante in quanto ormai da qualche anno sento con  certezza di aver trovato la risposta alle mie domande.

Io che sin da bambina sono cresciuta in scuole religiose, abituata a pensare che fosse giusto santificare le feste e recarsi in Chiesa con assiduità e costanza ad oggi sono tutt’altro che praticante. Il fatto è che negli anni mi sono resa conto che la spiritualità e la fede non vadano di pari passo. 

Ci sono persone che si professano spirituali ma che non hanno fede e nel momento in cui gli accade una disgrazia si chiedono :”ma perché mi è accaduto questo? Cosa ho fatto di male?” .  

Ecco che  si figurano l’immagine di un Dio castigatore e incrementano le preghiere, ma poi quando la tragedia avanza la fede vacilla e cominciano a pensare che forse quel Dio in cui hanno creduto fino a quel momento non esista: “Perché non mi ascolti Signore?”. 

Poi ho incontrato persone con un diverso  credo o dichiaratamente agnostici che racchiudevano in se la massima espressione di fede. Gente che sapeva sorridere  di fronte ai cataclismi della vita e che sapeva soprattutto trasmettere sorrisi e gioia ad altri.                                                                           

 Ecco credo che la spiritualità sia un fatto intimo e la fede un dono.  Come ha avuto modo di spiegare molto bene anche Antonio Zichichi nel suo libro “Tra  fede e scienza”, sarebbe presuntuoso pensare di essere soli al mondo  e questo sembrerebbe secondo  la religione cattolico cristiana un pensiero eretico, purtuttavia appare evidente anche all’eccellente scienziato che sia alquanto difficile credere che l’intero universo e l’uomo stesso siano  stati generati dal caso.  Il nostro mondo per quanto imperfetto è ben ordinato e questo sembrerebbe entrare in contrasto con la teoria darwiniana. Questa è un’ intuizione da me condivisa con Antonio Zichichi.   

 La spiritualità e la trascendenza di fatto visti sotto questa ottica fanno parte dell’uomo perché l’idea stessa di un Dio (in quanto ordinato e perfetto) è di per se’ parte dell’uomo stesso.     

Dunque,  forte di queste convinzioni, credo  ci sia un unico Dio responsabile della creazione umana e di tutto il resto, perché ammettere che ci siano più divinità significherebbe credere al caos che abbiamo già escluso a priori, quello che però mi interessa precisare è che ognuno sia libero di chiamare il proprio Dio come vuole e che non vi sia necessità di  pregare in un luogo prestabilito  perché concordo (e lo sento fortemente in me) su quanto si afferma nella Bibbia e cioè che ci si possa chiudere nella propria stanza per pregare perché anche là è Dio. Dio è in noi e noi siamo in Dio!

Ecco  il punto d’incontro tra spiritualità e trascendenza  sta nell’uomo stesso. 

mercoledì 8 giugno 2016

L'ONDA EMOTIVA DELL'INDIGNAZIONE RELOADED

Michela Baldo è stata trovata morta nella sua cucina assieme al fidanzato, il quale dopo averle sparato si è tolto la vita; il tutto è successo a Spilimbergo, un piccolo paese in Provincia di Pordenone, profondo e chiuso nord-est italiano.
Nessun clamore. Nessuna onda emotiva di indignazione, che aveva invece accompagnato appena qualche giorno fa l'orrenda fine di Sara Di Pietroantonio, uccisa e data alla fiamme a Roma, capitale d'Italia; Michela aveva 29 anni, Sara 22. Entrambe avevano sogni ed aspettative dalla loro vita. Entrambe sono state uccise da una persona di cui si erano fidate e cui avevano concesso il privilegio di dividere parte della loro esistenza assieme.
Dov'è la differenza?
Spilimbergo è un minuto comune friulano, conosciuto probabilmente, oltre che dai residenti, da chi vi ha fatto il militare quando ancora la naja esisteva; il che l'ho fatto a Palmanova del Friuli infatti lo conosco. 
Non è mai sulle pagine dei giornali, i friulani sono gente schiva, vivono fuori dai clamori della cronaca; io ho letto la notizia su Dagospia, ma è stata riportata solo per dovere di cronaca credo.
Come purtroppo ho scritto nel post su Sara dal medesimo titolo, passata l'indignazione si torna alla routine quotidiana e si aspetta un nuova onda per accodarsi e sistemare parte della propria coscienza. Eppure anche Michela era una donna. Anche Michela è stata vittima della medesima follia che ha subito Sara. Anche Michela è stata uccisa dal suo ex fidanzato.
Qualcosa non mi torna, ma non mi lascia stupito. Per lei non scorreranno fiumi di parole e domani i fogli di giornale che hanno riportato il fatto parleranno d'altro. Poi, succederà di nuovo. A Milano, fra i due episodi ne è successo un altro, una donna è stata trovata impiccata in un parco, la sola differenza è che ancora non è chiaro se si sia suicidata o sia stata uccisa, anche se la ricostruzione  dei fatti propenderebbe a dar credito alla seconda ipotesi.
Questa follia sembra non avere termine. Michela e Sara continueranno a morire per mano di squilibrati che credevano di poter amare. Che nulla possiamo in proposito purtroppo è un dato di fatto ineludibile. Che questo riguardi comunque la nostra cultura anche è ineludibile. Che alcuni crimini abbiano una presa maggiore di altri sull'immaginario collettivo è altrettanto ineludibile.
Resta un senso di vuoto. Un terribile ed angosciante senso di vuoto. Nell'anno di grazia duemilasedici, nell'era della comunicazione globale in tempo reale che mostra ripetutamente crimini e la conseguente disapprovazione sociale, ci sono ancora persone che perdendo quello che credevano erroneamente gli appartenesse decidono di fare quello che non dovrebbe nemmeno sfiorare come idea un essere biologico razionale come l'uomo.
Dovremmo forse meglio riflettere sulla causa-effetto che può produrre un sistema globale in cui l'enorme quantità di notizie che circolano incontrollate possano creare situazioni virali sia di emulazione sia di un retaggio di senso dell'onore che credevamo sepolto abolendo una norma penale che lo barbaramente giustificava.

lunedì 6 giugno 2016

BORN TO BE FREAK

Se alla fine degli anni 70 avessi avuto l'età della ragione invece che dieci anni probabilmente avrei aderito al così detto movimento freak, da noi italianizzato in frikkettone.
I frikkettoni in quell'epoca rappresentavano l'ala della controcultura, della ribellione allo status quo vigente all'epoca, ispirati più che dal movimento hippies dalla beat generation spinta da Kerouac e Ginsberg; poi, come tutti i movimenti si dissolse in tutte le variabili culturali che fiorirono negli anni successivi.
Ma pur non avendo potuto partecipare attivamente alla controcultura di quegli anni ne sono stato sempre attratto e idealmente ne sono stato partecipe, continuando ad esserlo ancora oggi; sono, in sostanza, un "frikkettone ad honorem".
La controcultura si identica in ogni epoca storica come ribellione, appunto, al sistema sociale che viene vissuto nel momento, germogliando sempre dalle nuove generazioni che non accettano quello che trovano e provano a cambiarlo.
Come tutti i movimenti culturali anche chi cerca di identificarsi in una controcultura di fatto ne crea uno nuovo, che pur apparentemente refrattario alle regole ne detta nel suo svolgersi di nuove, cercando di proporre  modelli societari alternativi che possono o meno resistere nel tempo.
Ma il movimento freak, seppur con tutti i limiti dettati dalla necessità di diversificarsi, credo che abbia resistito nel tempo, seppur diluendosi in altre espressioni dettate dal nuovo modo di essere "diversi" dallo status quo dominante al momento.
Seppur possa apparire romantico oggi riproporre un modello di controcultura nato alla fine degli anni settanta, credo che il nostro modello societario abbia bisogno di un propulsore che cerchi di destabilizzare la quieta struttura si cui esso posa oggi, seppur alcuni movimenti alternativi ad esso siano già esistenti ed operativi , a mio modo di vedere, sia in Europa che nel resto del mondo:  i 5 Stelle, i No qualcosa, gli Zero Waste, i 15-M Indignados ecc. ecc.
La diversificazione è un valore aggiunto irrinunciabile, ma nel proporla ed esercitarla occorre che guardi al passato per capire gli errori che sono stati commessi nelle proposte che si sono succedute negli anni e che si sono dissolte in quelli a seguire.
Proporre e non imporre deve assurgere a dogma di un nuovo movimento freak che cerchi adepti che poi facciano proseliti, fondato su poche e semplici regole che assumano un valore per chi le accetti e che come tale cerchi di diffonderle nella parte di struttura societaria che vive.
Un movimento che non si aggreghi attorno ad un leader ma che accetti gli aderenti come tali, ispirati da un comune senso di appartenenza e di obiettivi, che non rappresentino conquiste, ovvero che non vengano considerate come tali ma come mattoni su cui poggiarne di nuove.
Una struttura astratta per definizione ma concreta nell'operare, che non abbia bisogno di sedi per riunire né di mezzi per diffondere la sua proposta, da realizzare nella comunicazione one to one, impossibile da controllare e cercare di veicolare dal potere precostituito.
Utopico? forse. Sognatore? forse. Folle? forse.
Di sicuro, frikkettone ...



domenica 5 giugno 2016

COPPIA DI SETTE

Il piatto era molto cospicuo, l'"over" l'aveva alzato a circa mille euro e tutti e quattro i giocatori avevo deciso di giocarlo. Il primo del giro cambiò tre carte. Il secondo si diede servito. Il terzo ne prese soltanto una. L'ultimo ero io. In mano avevo una coppia di sette, un otto, un dieci ed una donna. Non essendo costretto avrei potuto passare la mano, ma visto che non ne prendevo una da più di un ora ho deciso di tentare. Sul servito del secondo giocatore presi una decisione apparentemente assurda: mi diedi servito anche io. Mentre lo facevo mi accesi una sigaretta e posai le carte sul tavolo e diedi la parola al primo servito. Lui aprì e chiuse le carte, poi iniziò a contare le fiches e nel farlo chiese tempo per il rilancio. Alzò gli occhi i mi guardò. Poi aprì nuovamente le carte e le richiuse. Poi disse "parola". Il terzo giocatore fece altrettanto. Io aspirai l'ultima boccata di tabacco, spensi le sigaretta e senza alzare le carte dal tavolo dissi "piatto", mettendo con calma le fiches corrispondenti al valore presente a quel momento al centro del tavolo. Il primo giocatore passò. Il secondo, ovvero il primo servito, chiese nuovamente tempo al rilancio. Aprì nuovamente le carte mentre io lo fissavo. Poi si passò una mano nei capelli. Posò le carte. Prese a contare le fiches. Arrivato alla cifra per restare in gioco la mise di lato alle altre che possedeva. Riprese la carte. Poi disse "passo". Il terzo giocatore gettò le carte senza proferire parola e mi passò le fiches al centro del tavolo. Il mazziere successivo, il primo giocatore, prese le carte coperte di ognuno degli altri giocatori e iniziò a mischiarle per il giro successivo. Dopo alcune mani in rigoroso silenzio il secondo giocatore mi chiese che punto avevo in quella mano; gli risposi che avevo una coppia di sette. Non mi credette. Continuammo a giocare in silenzio. Dopo altri giri a carte coperte ne uscì uno di telesina, quattro carte scoperte a giocatore più una coperta; sul tavolo due carte coperte. Ricevetti quattro carte di quadri "a scala reale": un otto, un nove, un dieci ed un jack: la mia carta coperta era il K di quadri. A forza di rilanci al piatto, per ottenere la carta occorre pagare la puntata che decide il giocatore con il punto più elevato in quel preciso momento ovvero rilanciare la sua posta, restò in corsa solo il primo giocatore. Aveva fuori due carte di cuori. Due cuori scoperti li aveva anche il secondo giocatore e uno il terzo, ma entrambi avevano lasciato la mano. Restavano, a quel punto, solo due carta di cuori disponibili. Il terzo giocatore aveva fuori anche  il sette di quadri, una delle due carte che mi avrebbe permesso di chiudere una scala reale; l'altra era la donna di quadri e poteva, ammesso che non l'avessi io (ma questo, ovviamente gli altri non potevano saperlo), essere, quindi, una delle due carte coperte ancora da girare. A parlare toccava al primo giocatore in quanto pur senza una coppia aveva l'asso di cuori. Mi diede la parola. Feci "piatto". Lui vide. Il mazziere girò la donna di cuori. Ora a parlare toccava a me con una scala alla donna. Feci nuovamente "piatto". Il primo giocatore contò nuovamente tutte le carte fuori; aveva tre cuori, una carta coperta, una carta coperta al tavolo e poteva ancora chiudere teoricamente il colore di cuori ma non poteva chiudere, per il 10 fra la carte del secondo giocatore, la scala reale. Vide. il mazziere girò il K di cuori. Toccava me parlare con la scala alla donna fuori. Feci di nuovo "piatto"; a quel punto eravamo oltre i mille e cinquecento euro. Il primo giocatore mi guardò. A quel punto era ovvio che avesse chiuso il colore di cuori ma se io avessi avuto coperta la donna di quadri avrebbe perso. Vide. E prese il piatto. Contro ogni logica aveva giocato da perdente per tutte le mani, con la bassa probabilità statistica che le due carte coperte fossero di cuori e l'alta probabilità statistica che io avessi già in mano una scale reale che lui non poteva chiudere.
Persi, alla fine, quella partita, ma la coppia di sette da allora mi ha accompagnato nella mia vita; la fortuna mi aveva girato le spalle nella mano dei due colori rossi ma comunque il primo giocatore aveva una possibilità dettata dalla visibilità delle carte e l'ha sfruttata. Nel mio bluff, invece,  non era possibile fare calcoli: la scelta era cieca. 
A volte  quando può sembrare che non si abbia via di uscita da una qualunque situazione quello che conta non è ciò che è ma quello che si riesce a far credere che sia ...

sabato 4 giugno 2016

IN DODICI ORE CIRCA - DOPO TUTTO - prologo

Prologo del primo dei due racconti pubblicati con Ibiskos con il titolo "In dodici ore circa"


- Epicuro ... è difficile continuare  ...

Una mosca ronza attorno alla mia testa mentre un aeroplano invisibile si sovrappone momentaneamente alla colonna sonora suonata nella macchia delimitante i bordi dello specchio d’acqua nel quale si riflettono le nostre figure.

-  e invece dai continua, ti prego ...

Giunge la mani Azzurra, sorridendo e socchiudendo le fessure degli occhi, mentre due papere si avvicinano a noi, prima unite, poi divergenti, apparentemente seguendo interessi diversi.
Le fisso, attratto dal loro taciturno scivolare sull’acqua e dalla scia a “v” che si lasciano dietro. Ma anche, e soprattutto, per non continuare a guardarla.
Maggio, finalmente! ci lascia assaporare calore solare, dopo mesi di piogge e inondazioni, e terremoti e fiumi in piena e...

- sei così bella.

Le braccia, lasciate scoperte dalla canotta rosa che indossa e che risalta la candida pelle dei seni ancora lungi da divenire abbronzati ma ugualmente, teneramente, invitanti, le fanno da leva nella posa lasciva che adotta mentre mi ascolta.
Io sono seduto su di un masso. Il sole inizia ad affondare i suoi raggi sulla mia pelle e gocce di sudore iniziano a colorare, all’altezza del torace, la mia maglietta rossa sbiadita.

- sei così bella ... e così giovane ...

Si volta di nuovo verso me e sorride ancora, abbandonando poi, di nuovo, la testa all’ingiù parallela all’esigue spiaggia sulla quale ci siamo nascosti, protetti dalla flora e dagli alberi ancorati alle pareti di quello che una volta era un vulcano.

- continua, ti prego.

- a parlare di Epicuro o di te?

- a parlare ad Epicuro di me!

Adesso è un’ ape a ronzarmi attorno ma non mi  infastidisce, anzi. Gli uccelli cinguettano armoniosi, la visuale è dionisiaca. Castel Gandolfo s’adagia in cima alla parete che abbiamo di fronte, dall’altro lato dello specchio lacustre, immerso in una mattina che sarebbe piaciuta a Monet.
Poi c’è lei.
Azzurra, 18 anni da due giorni, bionda, burrosa semidea precipitata dall’Olimpo al mio fianco.
Ed io.
Andrea, 42 anni da febbraio, moro, asfittico cultore delle buone maniere, umano. Apparentemente umano.

- Azzurra, caro Epicuro, ti sarebbe piaciuta. né tanto né poco. azzurra è la giusta dose.

L’acqua s’increspa leggermente in un refolo di brezza ascensionale, facendo vibrare le nostre figure adagiate sull’acqua.

- è un divenire, una tenue, calda corrente che scorre sotto il pelo dell’acqua colorata di verde  da questi enigmatici fondali.

Sento il suo sospiro confondersi nel gospel della natura. Guardo le sue gambe distese e, seppur siano occultate da estivi pantaloni bianchi, non riesco a non pensare a quanto sarebbe bello accarezzarle.

- Azzurra promette e mantiene, pur non proferendo parola.

- sdraiati vicino a me, Andrea.

Pur in quell’angusto ma siderale spazio, siamo lontani in effetti; o meglio, sono io che cerco disperatamente di starle lontano.

- sei così teso ....

Mi lascio scivolare dal sasso sul quale siedo, finendo disteso accanto a lei, sul compatto arenile color catrame di origine vulcanica.
Il sole mi colpisce negli occhi, accecandomi.
Poi lei crea un’ eclissi artificiale, frapponendosi fra me e quella stella. Poi l’eclissi mi diviene visibile, radiosa. E si scioglie, fondendosi in un bacio che solo Rimbaud avrebbe potuto immortalare nella sua giovane e prepotente vena poetica.
Le sue primaverili forme s’adagiano sulle mie e inizia ad accarezzarmi, mentre l’odore della sua pelle mi permea soave e tremulo lasciandomi in uno stato ipnotico.
Mi bacia di nuovo,  e poi ancora. E ancora.
E l’eden diviene realtà, trascendendo la sua natura spirituale in un coacervo di immagini che mi attraversano placide, bonarie, come fiori lusingati da un alito di vento.

- ti voglio.

In quell’esile sussurro Azzurra esplode il suo voler essere donna, sentirsi donna, assurgere a donna.
In quell’esile sussurro mi ritrovo prigioniero della mia avidità, del mio egoismo, del mio essere un uomo, dopo tutto.
Un corrosivo minuto di occhi negli occhi si dipana sull’accordo di quelle due parole, infrangendosi sulla mia voce roca e cantilenante.

- sei solo una bambina.

- non sei mio padre.

- no. ma resti pur sempre una bambina.

Le frasi escono come soffocate. Sottovoce.

- io ti amo.

Su quella chiara manifestazione dettata, penso, forse dal momento la rivolgo con le spalle alla spiaggia, con un gesto dolce ma furtivo, adagiandomi, stavolta, io su di lei.

- cosa ne sai tu dell’amore?

- ne so abbastanza per capire di essere innamorata di te.

- sei forse innamorata dell’idea romantica di fare l’amore con me. non sei innamorata di me.

- sono innamorata di te, invece. sei solo uno stupido se non lo capisci.

Versa una lacrima.
Mi alzo in piedi.
Le tendo una mano.
Una volta diritta la stringo a me.
Restiamo a fissare il lago. Inerti. Abbarbicati l’una all’altro.
Una nuvola vela la sfera solare, opacizzando l’azzurro del cielo ed il verde dell’acqua.

- capirai, quando ti innamorerai davvero.

- io ti amo, Andrea.

- capirai, quando l’incontrerai. ti basterà guardarlo negli occhi. e capirai. e ripenserai a questo momento.

- amo te, stupido, possibile che non lo capisci?

E inizia a piangere. In un fiotto ad intermittenza, singhiozzante. Mentre continua a ripetermi: stupido, sei solo uno stupido.
La stringo ancora di più. Il suo viso annega fra i lunghi capelli mossi come onde nella tempesta che vortica nel suo cuore ancora imberbe.

- capirai azzurra. eccome se capirai.

La lascio lontano da casa, per il pudore non dichiarato che porto dentro ogni volta che sono in una situazione che mi crea imbarazzo.
Più tardi, dopo cena, siedo in terrazzo e guardo nell’orizzonte la linea scura del mare, fumando una sigaretta e ripensando al mattino ... chissà se ...
Il telefono cellulare vibra nella ricezione di un messaggio.

ti amo. comunque grazie”.

Allungo le gambe, chiudo gli occhi e inspiro una vorace boccata di tabacco.
Dopo tutto, sono un uomo.

giovedì 2 giugno 2016

L'ONDA EMOTIVA DELL'INDIGNAZIONE

Sara Di Pietroantonio aveva 22 anni. Troppo pochi per morire e sopratutto per farlo così: percossa, strangolata e poi data alle fiamme dal suo ex fidanzato; tutto questo a Roma, Italia, non in qualche paese islamico, dove il maltrattamento delle donne viene contiuamente sottolineato dai mass media producendo discussioni infinite nell'occidente che si considera culturamente più evoluto.
Non riesco a togliermela dalla testa questa storia, mi si è radicata dentro assieme al viso di Sara, una ragazza che muoveva i suoi passi giovanili in quella che avrebbe dovuto essere la sua vita, anni che dovrebbero essere spensierati, elettrizzanti, frenetici, colmi di speranza e aspettative e che, invece, sono terminati in una squallida periferia di una grande città che annega nell'indifferenza, nell'egoismo, nell'ignavia.
E' assurdo morire così, per le mani di una persona cui aveva dato fiducia e forse amore, che era stato accolto con benevolenza dalla sua famiglia, che avrebbe dovuto proteggerla sempre e comunque, anche se la loro storia aveva avuto termine; invece no, in una notte inoltrata di primavera il suo corpo è stato brutalizzato e la sua vita spezzata, negandogli il suo diritto a vivere.
Sono indignato, siamo tutti indignati per questo; i social e i giornali sono pieni di parole per lei, tutte sacrosante, tutte giuste, tutte vere, tutte, purtroppo, solo parole.
L'onda emotiva si spegnerà presto, altre fatti e altre parole occuperanno lo spazio a lei dedicato in questi giorni, e quando le luci si spegneranno il dolore resterà tutto a carico della sua famiglia, stuprata nel suo punto vitale, che si ritroverà a vivere un qualcosa che nessuno sano di mente può lontanamente ipotizzare.
Le violenze sulle donne temo continueranno nonostante che tanto sia stato fatto in proposito, e tanta gente sia attiva su questo tema brutale e inaccettabile nella società di oggi; è' insito nella nostra cultura, ne è parte integrante, manifesto o sotto inteso, è così talmente radicato, come purtroppo vediamo, che la sua estirpazione sembra ancora lunga da venire.
E' radicato anche nel profondo degli uomini intesi come maschi, per una qualche ragione che io non riesco a comprendere; cosa possa condurre un uomo ad uccidere una donna per motivi passionali sinceramente sfugge alla mia razionalità.
Sarebbe auspicabile che questa fosse l'ultima onda, e che dopo il suo passaggio le acque tornino tranquille e placide sotto un sole splendente; dobbiamo lottare per questo, ogni giorno, senza arrendersi mai.
Ognuno nel suo piccolo può contribuire a far si che ciò non accada mai più, può sembrare un utopia ma è l'unica strada che possa condurre al risultato auspicato; gli altri siamo noi e con gli altri condividiamo la nostra vita e per crescere socialmente occorre crescere individualmente.
Mi chiedo continuamente cosa faccio io per fa si che questi accadimenti non si ripetano, ma le risposte che mi do mi deludono; da oggi dovrò iniziare a far si che mi piacciano ...