ventinove
sono nella mia stanza al lavoro. seduto alla scrivania e guardo il computer nel quale è aperto il software della microsoft excel. sto cercando di elaborare un foglio di calcolo che mi aiuti in complicati, almeno per me, calcoli contabili. la mia è una grande azienda nazionale con varie sedi dislocate in varie province italiane. produciamo in generale per l’aeronautica ed in particolare per il settore militare.
comunque, questo non è importante andrea.
essendo una grande azienda, credo che siamo circa tremila dipendenti in tutta l’italia, è estremamente sindacalizzata, specie nel settore operaio, meno in quello dove lavoro io, ovvero l’amministrazione.
d’improvviso mi entra in stanza un sindacalista, un rompicazzo che non facendo nulla tutto il giorno divide le sue ore fra il caffè alle macchinette e assemblee sindacali estemporanee, ovvero cercando proseliti fra i non iscritti, ovvero in questo caso io.
ciao caro, come va?
non lo degno di uno sguardo borbottando qualcosa a metà fra bene e che cazzo te ne frega.
allora hai deciso finalmente cosa fare con questa iscrizione? siete rimasti in pochi e sai che fra breve inizieremo a discutere con i padroni delle persone da dislocare nella nuova sede fuori roma.
e quindi, caro, mi stai minacciando?
nooo, ci mancherebbe, è solo che più iscritti abbiamo più potere possiamo rappresentare durante lo scontro.
più che rappresentare dovresti usare la parola esercitare e più che scontro dovresti usare il termine concertazione, o se per te è troppo complicata da inserire in un discorso, dialogo. ah, e più che potere dovresti usare la parola potenza, migliore chiarificatrice del peso eventuale, nel discorso dei numeri, di rappresentanza dei quali si è in possesso.
il tipo, basso e brutto, mi guarda e resta a bocca aperta.
i concetti di potere e potenza sono una dicotomia di influenza, che può essere esercitata in modo coercitivo, potere, e delegato, potenza, ovvero riconoscimento di una superiore propensione per l’incarico per il quale delle persone appunto ne delegano una terza.
il sindacalista è ancora lì a bocca aperta.
l’azione sindacale può e deve essere esercitata nell’ambito di un confronto civile, volto ad ottenere benefici maggiori per la comunità lavorativa espressione di quell’incontro preciso. i padroni, espressione alquanto arcaica e superata nella moderna vision mondiale dell’economia, rappresentano la controparte, il datore di lavoro, ovvero colui il quale, i quali, offrono salari in cambio di prestazioni lavorative, cercando nel contempo di ottenere dalla differenza un guadagno monetizzabile. in questo contesto l’influenza dei numeri potrebbe avere una importanza decisiva nel momento di firmare l’accordo con condizioni soddisfacenti per entrambi i gruppi di pressione.
il sindacalista si gratta il naso e si siede, sempre a bocca aperta.
la deriva politica nella quale il sindacato italiano è precipitato ha ricondotto la nobile tutela del lavoratore a misera contesa ideologica basata su logore logiche di partito. con i lavoratori presi nel mezzo, solo numeri su tabelle e da esibire come prova di forza (potenza) nelle oramai stantie oceaniche adunate, con tanto di bandiere e trombette.
il sindacalista adesso mi ascolta a bocca chiusa.
le innumerevoli sigle sindacali sorte di fianco a quelle confederate, tutte basate sull’ipotesi che sto sostenendo in questo preciso momento, ovvero che le tre sigle storiche non fossero più in grado di assicurare la giusta tutela essendo prese da altre “questioni”, confermano questo. la tutela del lavoratore non è univoca, nel senso di raggiungimento di un maggior benessere, ma regolata adesso dalla capacità di costituire serbatoi di voti politici, autodeterminadosi come lobby tese ad ottenere benefici per un particolare gruppo. quindi l’incontro non è più determinato al raggiungimento di un fine, salario, ma a costituire un mezzo che possa essere poi speso al momento opportuno della disputa politica.
il sindacalista accende una sigaretta anche se non è più possibile fumare dentro gli uffici da tempo immemore.
il gruppo di pressione ha così occasione di mettersi in mostra e tentare la scalata verso i lidi meno restrittivi del confronto politico, ed aspirare ad una eventuale giusta ricompensa, per il gran lavoro svolto a tutela dei salariati, che può materializzarsi sotto diverse opportunità. il mezzo diviene così il fine. per il proprio di obiettivo. no quello comune.
il sindacalista spegne la sigaretta.
ragione per la quale il sottoscritto ritiene che la rappresentanza così delegata diventi una tessera di partito e se ne guarda bene da sottoscriverne una.
quindi, caro, non mi iscriverò nel tuo sindacato, né, ovviamente, in qualunque altro. nel momento delle decisioni sulle scelte aziendali, farò quello che ritengo più opportuno per me. adesso scusami ma ho da fare. altrimenti mi licenziano per nullafacenza.
il sindacalista si alza e si dirige verso la porta. prima di varcarla ci ripensa e si gira verso di me, acciglia lo sguardo e assume un’espressione da padre storico delle lotte sindacali.
non capisci un cazzo di sindacato. peggio per te. ciao.
riprendo il mio lavoro e mi viene da sorridere.
è incredibile come le appendici del sindacato, quelli “sul posto”, quelli sulla “base” abbiano un così tale eloquio e preparazione tecnica da costituire una moral suasion irresistibile per nuovi adepti. è incredibile come sia così radicato e impenetrabile il verbo massone del sindacato da non poter essere trasmesso se non agli eletti. è ancora più incredibile che questo ermetismo dogmatico riesca a penetrare dove non ci sia un livello culturale così elevato come fabbriche ed amministrazioni.
sarà un dono divino? venuto dall’alto? come per i vecchi re ed imperatori medioevali?
tu cosa ne pensi andrea?
sono nella mia stanza al lavoro. seduto alla scrivania e guardo il computer nel quale è aperto il software della microsoft excel. sto cercando di elaborare un foglio di calcolo che mi aiuti in complicati, almeno per me, calcoli contabili. la mia è una grande azienda nazionale con varie sedi dislocate in varie province italiane. produciamo in generale per l’aeronautica ed in particolare per il settore militare.
comunque, questo non è importante andrea.
essendo una grande azienda, credo che siamo circa tremila dipendenti in tutta l’italia, è estremamente sindacalizzata, specie nel settore operaio, meno in quello dove lavoro io, ovvero l’amministrazione.
d’improvviso mi entra in stanza un sindacalista, un rompicazzo che non facendo nulla tutto il giorno divide le sue ore fra il caffè alle macchinette e assemblee sindacali estemporanee, ovvero cercando proseliti fra i non iscritti, ovvero in questo caso io.
ciao caro, come va?
non lo degno di uno sguardo borbottando qualcosa a metà fra bene e che cazzo te ne frega.
allora hai deciso finalmente cosa fare con questa iscrizione? siete rimasti in pochi e sai che fra breve inizieremo a discutere con i padroni delle persone da dislocare nella nuova sede fuori roma.
e quindi, caro, mi stai minacciando?
nooo, ci mancherebbe, è solo che più iscritti abbiamo più potere possiamo rappresentare durante lo scontro.
più che rappresentare dovresti usare la parola esercitare e più che scontro dovresti usare il termine concertazione, o se per te è troppo complicata da inserire in un discorso, dialogo. ah, e più che potere dovresti usare la parola potenza, migliore chiarificatrice del peso eventuale, nel discorso dei numeri, di rappresentanza dei quali si è in possesso.
il tipo, basso e brutto, mi guarda e resta a bocca aperta.
i concetti di potere e potenza sono una dicotomia di influenza, che può essere esercitata in modo coercitivo, potere, e delegato, potenza, ovvero riconoscimento di una superiore propensione per l’incarico per il quale delle persone appunto ne delegano una terza.
il sindacalista è ancora lì a bocca aperta.
l’azione sindacale può e deve essere esercitata nell’ambito di un confronto civile, volto ad ottenere benefici maggiori per la comunità lavorativa espressione di quell’incontro preciso. i padroni, espressione alquanto arcaica e superata nella moderna vision mondiale dell’economia, rappresentano la controparte, il datore di lavoro, ovvero colui il quale, i quali, offrono salari in cambio di prestazioni lavorative, cercando nel contempo di ottenere dalla differenza un guadagno monetizzabile. in questo contesto l’influenza dei numeri potrebbe avere una importanza decisiva nel momento di firmare l’accordo con condizioni soddisfacenti per entrambi i gruppi di pressione.
il sindacalista si gratta il naso e si siede, sempre a bocca aperta.
la deriva politica nella quale il sindacato italiano è precipitato ha ricondotto la nobile tutela del lavoratore a misera contesa ideologica basata su logore logiche di partito. con i lavoratori presi nel mezzo, solo numeri su tabelle e da esibire come prova di forza (potenza) nelle oramai stantie oceaniche adunate, con tanto di bandiere e trombette.
il sindacalista adesso mi ascolta a bocca chiusa.
le innumerevoli sigle sindacali sorte di fianco a quelle confederate, tutte basate sull’ipotesi che sto sostenendo in questo preciso momento, ovvero che le tre sigle storiche non fossero più in grado di assicurare la giusta tutela essendo prese da altre “questioni”, confermano questo. la tutela del lavoratore non è univoca, nel senso di raggiungimento di un maggior benessere, ma regolata adesso dalla capacità di costituire serbatoi di voti politici, autodeterminadosi come lobby tese ad ottenere benefici per un particolare gruppo. quindi l’incontro non è più determinato al raggiungimento di un fine, salario, ma a costituire un mezzo che possa essere poi speso al momento opportuno della disputa politica.
il sindacalista accende una sigaretta anche se non è più possibile fumare dentro gli uffici da tempo immemore.
il gruppo di pressione ha così occasione di mettersi in mostra e tentare la scalata verso i lidi meno restrittivi del confronto politico, ed aspirare ad una eventuale giusta ricompensa, per il gran lavoro svolto a tutela dei salariati, che può materializzarsi sotto diverse opportunità. il mezzo diviene così il fine. per il proprio di obiettivo. no quello comune.
il sindacalista spegne la sigaretta.
ragione per la quale il sottoscritto ritiene che la rappresentanza così delegata diventi una tessera di partito e se ne guarda bene da sottoscriverne una.
quindi, caro, non mi iscriverò nel tuo sindacato, né, ovviamente, in qualunque altro. nel momento delle decisioni sulle scelte aziendali, farò quello che ritengo più opportuno per me. adesso scusami ma ho da fare. altrimenti mi licenziano per nullafacenza.
il sindacalista si alza e si dirige verso la porta. prima di varcarla ci ripensa e si gira verso di me, acciglia lo sguardo e assume un’espressione da padre storico delle lotte sindacali.
non capisci un cazzo di sindacato. peggio per te. ciao.
riprendo il mio lavoro e mi viene da sorridere.
è incredibile come le appendici del sindacato, quelli “sul posto”, quelli sulla “base” abbiano un così tale eloquio e preparazione tecnica da costituire una moral suasion irresistibile per nuovi adepti. è incredibile come sia così radicato e impenetrabile il verbo massone del sindacato da non poter essere trasmesso se non agli eletti. è ancora più incredibile che questo ermetismo dogmatico riesca a penetrare dove non ci sia un livello culturale così elevato come fabbriche ed amministrazioni.
sarà un dono divino? venuto dall’alto? come per i vecchi re ed imperatori medioevali?
tu cosa ne pensi andrea?
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