(SERIE
ANA - EPISODIO DIECI)
Ana mi telefona e mi dice che ha
mollato il ragazzo e che vuole vedermi; io le dico "mi dispiace", ma sappiamo entrambi che sto spudoratamente
mentendo. Mi da un appuntamento assurdo, all'una di notte devo andare a prenderla
in un posto ancora più assurdo dell'orario, al Serpentone del Nuovo Corviale alla Portuense, noto per il palazzo lungo un chilometro, emblema e
delirio di un certo tipo di architettura contemporanea (credo sia degli inizi
anni 70) tesa all'agglomerazione delle più disparate individualità fluttuanti
dell'enorme e desolata periferia romana; è li ad una festa, dice, pur se fatico
a immaginarla in un qualunque appartamento di quel posto, ma essendo curioso
per natura e non essendoci mai stato per nulla al mondo mi perderò questa
opportunità.
Sono le undici ed un quarto, non
conoscendo la strada per arrivare in quel posto remoto accendo subito il pc per
cercarla; studio la cartina, la memorizzo ed esco. Opto per arrivarci dal GRA,
ma confondo l'uscita e mi perdo; percorro così una strada illuminata ma
deserta, finché non mi imbatto in un tipo fermo accanto ad una macchina sulla
strada; mi fermo e gli chiedo se ha la minima idea di come arrivare dove devo
andare: in un raro colpo di culo mi dice che sono molto vicino e mi indica la
strada più breve e sicura per arrivare. Bene, gli dei sono con me, è di sicuro
una serata propizia penso mentre mentalmente annoto tutto quello che mi sta
dicendo il loro portavoce sul pianeta terra.
Quando dalla strada mi si appalesa il
serpentone cado subito preda di uno stato ansiogeno, dovuto al buio, all'ora,
al deserto che percorro, all'allucinante struttura che sfila alla sinistra del
finestrino della mia macchina. Mi fermo in un piccolo spazio a ridosso di
quello che sembra un marciapiede e la chiamo; è l'una di mattina meno dieci
minuti. Mi dice che è in strada, più avanti; riparto in una specie di catalessi
protettiva e dopo due minuti che sono sembrate due ore la vedo che mi cammina
incontro: sembra tranquilla mentre agita la mano per farsi notare, come se ce
ne fosse bisogno visto che non c'è l'ombra di un essere umano, o qualcosa che
gli si avvicini, in giro. Entra in macchina sorridendo, per prendersi gioco di
me, credo, visto che sa benissimo quanto possa essere agitato nel trovarmi lì,
nel posto più lontano dalla mie fantasie sul dove rivederla dopo tutto questo
tempo.
Mi dice di andare a casa sua, che è
stanca, che la festa era una palla, c'erano solo gay amici del suo amico gay,
cioè lei era l'unica donna biologica ed è stata ignorata per tutto il tempo che
è restata la; non so perché ma la cosa non mi sorprende.
Dopo circa quaranta minuti trascorsi
in macchina in una specie di trance emotiva derivante dal non sapere cosa dirci
arriviamo sotto casa sua. Spengo la macchina ed accendo una sigaretta, mi
stringo nel giubbotto per il freddo e poi la stringo a me. Lei appoggia la
testa sulla mia spalla e ce ne restiamo lì, abbracciati, muti, con pensieri
diversi.
Ana sta correndo incontro al suo
destino, indecisa sul da farsi, ma volenterosa, Ana sa fare tante cose, ma secondo me non ne sa fare una
veramente bene. Giochicchia con le sue capacità, si trastulla,
sperimenta, ma non riesco a vedere nelle cose che fa un tocco di genialità, di estroversione.
Non sembra capace di rendere unico quello
che crea, forse è troppo proiettata su di
lei, forse dovrebbe aprirsi di più
con il mondo che la circonda, o forse
più semplicemente la sua visione è proiettata in una dimensione che non riesco a
percepire, come se fosse occultata da una nube sempre sul momento di
schiarirsi; ma riuscirà nel suo intento, ne sono sicuro.
E' comunque in questi inspiegabili momenti
che sono veramente felice, averla vicina e lontana nello stesso folle momento, sull'onda
del soffio leggero che percorre il mio cuore quando la stringo a me, caduco e saldo
senza soluzione di continuità pur se apparentemente immortale.
- sono
proprio felice di vederti. I suoi grandi occhi neri esaltano il suo viso bianco, vampiresco.
- sai
non è stato un gran ché con lui. ero certa che mi avrebbe coinvolta di più. mi
piaceva molto. I suoi capelli sembrano come impazziti sulla sua testa, sembra
una medusa, una nera medusa andalusa.
- abbiamo
passato bei momenti ma la situazione non decollava. Le sue braccia scoperte
sembrano quelle di un lottatore.
- poi
persa nell' eremo in cui mi sono cacciata mi sono ancora più depressa. Le dita
di entrambi le sue mani calzano anelli d'argento.
- e
volevo vederti. parlarti. sentire la tua risata. passare qualche ora con te. ora
lavoro, in un locale nuovo. faccio quattro serate a settimana. mi servono soldi.
Le sue gambe che escono dalla gonna corta che indossa mi ricordano donne di altri tempi.
Sono robuste, volitive.
- e
tu?
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