giovedì 23 novembre 2017

ANA - DELIRIO & SPIRITUALITA'


(SERIE ANA - EPISODIO DIECI)


Ana mi telefona e mi dice che ha mollato il ragazzo e che vuole vedermi; io le dico "mi dispiace", ma sappiamo entrambi che sto spudoratamente mentendo. Mi da un appuntamento assurdo, all'una di notte devo andare a prenderla in un posto ancora più assurdo dell'orario, al Serpentone del Nuovo Corviale alla Portuense, noto per il palazzo lungo un chilometro, emblema e delirio di un certo tipo di architettura contemporanea (credo sia degli inizi anni 70) tesa all'agglomerazione delle più disparate individualità fluttuanti dell'enorme e desolata periferia romana; è li ad una festa, dice, pur se fatico a immaginarla in un qualunque appartamento di quel posto, ma essendo curioso per natura e non essendoci mai stato per nulla al mondo mi perderò questa opportunità.
Sono le undici ed un quarto, non conoscendo la strada per arrivare in quel posto remoto accendo subito il pc per cercarla; studio la cartina, la memorizzo ed esco. Opto per arrivarci dal GRA, ma confondo l'uscita e mi perdo; percorro così una strada illuminata ma deserta, finché non mi imbatto in un tipo fermo accanto ad una macchina sulla strada; mi fermo e gli chiedo se ha la minima idea di come arrivare dove devo andare: in un raro colpo di culo mi dice che sono molto vicino e mi indica la strada più breve e sicura per arrivare. Bene, gli dei sono con me, è di sicuro una serata propizia penso mentre mentalmente annoto tutto quello che mi sta dicendo il loro portavoce sul pianeta terra.
Quando dalla strada mi si appalesa il serpentone cado subito preda di uno stato ansiogeno, dovuto al buio, all'ora, al deserto che percorro, all'allucinante struttura che sfila alla sinistra del finestrino della mia macchina. Mi fermo in un piccolo spazio a ridosso di quello che sembra un marciapiede e la chiamo; è l'una di mattina meno dieci minuti. Mi dice che è in strada, più avanti; riparto in una specie di catalessi protettiva e dopo due minuti che sono sembrate due ore la vedo che mi cammina incontro: sembra tranquilla mentre agita la mano per farsi notare, come se ce ne fosse bisogno visto che non c'è l'ombra di un essere umano, o qualcosa che gli si avvicini, in giro. Entra in macchina sorridendo, per prendersi gioco di me, credo, visto che sa benissimo quanto possa essere agitato nel trovarmi lì, nel posto più lontano dalla mie fantasie sul dove rivederla dopo tutto questo tempo.
Mi dice di andare a casa sua, che è stanca, che la festa era una palla, c'erano solo gay amici del suo amico gay, cioè lei era l'unica donna biologica ed è stata ignorata per tutto il tempo che è restata la; non so perché ma la cosa non mi sorprende.
Dopo circa quaranta minuti trascorsi in macchina in una specie di trance emotiva derivante dal non sapere cosa dirci arriviamo sotto casa sua. Spengo la macchina ed accendo una sigaretta, mi stringo nel giubbotto per il freddo e poi la stringo a me. Lei appoggia la testa sulla mia spalla e ce ne restiamo lì, abbracciati, muti, con pensieri diversi.
Ana sta correndo incontro al suo destino, indecisa sul da farsi, ma volenterosa, Ana sa fare tante cose,  ma secondo me non ne sa  fare una  veramente bene. Giochicchia con le sue capacità, si trastulla, sperimenta, ma non riesco a vedere nelle cose che fa un tocco di  genialità, di estroversione.
Non sembra capace di rendere unico quello che crea, forse è troppo proiettata su di  lei, forse dovrebbe  aprirsi di più con  il mondo che la circonda, o forse più semplicemente la sua visione è proiettata in una dimensione che non  riesco a  percepire, come se fosse occultata da una nube sempre sul momento di schiarirsi; ma riuscirà nel suo intento, ne sono sicuro.
E' comunque in questi inspiegabili momenti che sono veramente felice, averla vicina e lontana nello stesso folle momento, sull'onda del soffio leggero che percorre il mio cuore quando la stringo a me, caduco e saldo senza soluzione di continuità pur se apparentemente immortale.
- sono proprio felice di vederti. I suoi grandi occhi neri esaltano  il suo viso bianco, vampiresco.
- sai non è stato un gran ché con lui. ero certa che mi avrebbe coinvolta di più. mi piaceva molto. I suoi capelli sembrano come impazziti sulla sua testa, sembra una medusa, una nera medusa andalusa.
 - abbiamo passato bei momenti ma la situazione non decollava. Le sue braccia scoperte sembrano quelle di  un lottatore.
 - poi persa nell' eremo in cui mi sono cacciata mi sono ancora più depressa. Le dita di entrambi le sue mani calzano anelli d'argento.
- e volevo vederti. parlarti. sentire la tua risata. passare qualche ora con te. ora lavoro, in un locale nuovo. faccio quattro serate a settimana. mi servono soldi. Le sue gambe che escono dalla gonna corta  che indossa mi ricordano donne di altri tempi. Sono robuste, volitive.
- e tu?




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