(SERIA ANA - EPISODIO CINQUE)
E' domenica pomeriggio, e siamo in viaggio sulla via che da Roma porta al mare. Domenica pomeriggio, mah ... E' mezz'ora che siamo in macchina, suoniamo Cerimony dei Cult e non diciamo una parola che sia una.
Il mio sguardo è pietrificato, fisso sulla
strada; guardo nervoso le altre macchine, e mi chiedo perché sono qui; domenica pomeriggio, mah ...
Ana credo che ancora dorma dietro gli occhiali scuri, è immobile; indossa un vestitino allegro, ma il suo umore è pessimo. Incrociamo semafori
rossi senza soluzione di continuità, come un presagio di sventura mentre il mare si avvicina. Arriviamo comunque alla meta prefissata, Ostia, pur avvolti in un alone di depressione cosmica e riesco, finanche, nell'incredibile performance di parcheggiare immediatamente (mentre cerco parcheggio penso
sempre ad una persona fortunata che conosco e qualche volta ho culo anch'io); scendiamo dalla macchina piuttosto avviliti direi.
Mi ha chiamato alle tre di
pomeriggio e per una incredibile ed irripetibile coincidenza ho lasciato il portatile acceso; non riuscivo a dormire, diciamo che sonnecchiavo. Mi strofinavo sul letto cercando la posizione più giusta visto che per tutta la notte mi era parso di
stare su una tavola piena di bozzi; ero praticamente livido, e lei sicuramente non in condizione di
intendere e di volere. Le tre di pomeriggio. di domenica, mah ...
La telefonata mi si era palesata come un positivo segno del fato, pur se apparentemente incomprensibile, visto che era domenica, giorno di riposo degli dei. Così educatamente ho inghiottito la parolaccia che avrei dovuto biascicare come rifiuto ed gli ho detto assurdamente di si.
Idiota ... sei un idiota. Mentre in macchina l'andavo a prendere me lo ripetevo come un mantra per cercare di riportare positività nei miei pensieri ancora obnubilati dall'alcol assunto nella notte trascorsa in un cazzo di posto nel quartiere Testaccio, simbolo, chissà perché, della così detta movida romana.
Ma, onestamente, darmi per tutto il tragitto dell'idiota non mi ha portato alcun beneficio spirituale, e ora che siamo qui seduti su di un muretto a guardare il mare gonfio e color cenere me ne rendo perfettamente conto.
Le nuvole
basse sull'acqua sono leggermente più chiare, scaldate dall'ultimo sole che oggi i nostri occhi vedranno, nell'assurdo silenzio che emana dalle nostre labbra che sono immobili da almeno due ore.
Dietro di noi passeggiano imperterriti replicanti, immersi nell'atavico bisogno di
santificare ogni festa, che il tempo è poco, che domenica prossima chissà; e
noi ci siamo finiti in mezzo. Sono centinaia, forse migliaia; e
camminano ... camminano camminano ... e forse lo fanno ancora quando la
lascio sotto casa.
Litighiamo per tutto il viaggio di ritorno, vomitando il putridume vissuto, giustamente espulso fuori da intestini intrisi dal troppo alcol della notte e dalla violenza di questa assurda e nefasta domenica, che svilisce nella penombra del giorno che sta fuggendo, per fortuna, da noi
Mentre torno mestamente a casa, nel buio che improvvisamente è calato fuori e
dentro di me continuo nel patetico mantra di darmi dell'idiota ...
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