accendete
la pira
e liberate la taranta
sul
rullo del tamburo
ballerò
anche io
l’unica
danza
che non avrei mai voluto
imparare !
Esternare pubblicamente momenti intimi raccolti in versi è quanto di più difficile ci possa essere, rasenta, nel suo eccesso, una sorta di deprivazione dell'io inteso in quanto tale, conosciuto, positivo, glabro, puro.
L'imperfezione linguistica si coagula con l'imperfezione dell'animo scavato nel suo profondo generando un senso ottuso chiaro solo all'esponente, che viola la propria intimità pur continuando a celarla in frasi esoteriche decriptate dal lettore in una reinterpretazione a sua volta intimistica e per questo valida e chiara solo a lui stesso.
Tutto ciò, apparentemente insensato, celebra l'ideale apogeo comunicativo umano, un invalicabile confine costruito su metriche ritmiche a volte di rara bellezza che impreziosiscono l'assuefazione dialettica abituale, attraversando il tempo indelebili, sospese nel persempre, riaffiorando dalla memoria nel momento nel quale soccorrono chi ne abbisogna.
Si è soli quando i versi esplodono e vogliono essere raccolti. Si è soli quando i versi vengono poi riposti. Si è soli quando poi in un giorno qualunque i versi vergati trovano il loro significato. Si è soli nel momento che valicano la custodia segreta nella quale sono stati relegati e altri occhi vi si posano sopra. Si è soli nei sussulti o nell'indifferenza che possono provocare.
Ed è proprio per questo che vengono scritti e poi vengono lasciati andare. E' nell'intimità che lega chi scrive e chi legge che la forma poetica trova la sua ragione di essere. Non in premi né, tanto meno, in celebrazioni critiche; è' in questa trascendenza che il poeta trova la sua giustificazione ...
"Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole" ...
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