Tempo addietro ho scritto un post sul valore dell'amicizia, che ora voglio idealmente concludere in quanto la dubitativa chiosa finale sembra avere trovato una sua ideale risposta.
Il tramonto di un rapporto che usiamo definire amichevole può lasciare segni, è vero, ma è pur vero che traccia un solco invalicabile fra ciò che è stato e ciò che sarà di te, inevitabilmente. Ho smesso da tanto tempo di giudicare le persone in ragione di quello che fanno ed ho smesso, sopratutto, di curarmi di quello che le persone pensano di me, e questo, a ben vedere, racchiude e celebra l'etereo concetto di socialità come riferimento dell'individuo.
Ognuno valuta gli altri in base ai parametri che gli sono noti, che conosce in virtù della propria educazione e cultura, nonché, come ho già detto nel post precedente, delle aspettative di cui investe con chi si relaziona abitualmente.
Ho attraversato un lungo periodo di isolamento vissuto in una profonda riflessione su me stesso, verso cui sono estremamente critico; credo sempre che avrei potuto far meglio quello che ho fatto, che avrei potuto dire meglio quello che ho detto, che avrei potuto e dovuto avere un approccio migliore verso gli accadimenti della mia vita. Ho assunto una posizione cinica, che mi porta ad escludere, appunto, desideri e bisogni facendo leva esclusivamente su una intensa spiritualità che è molto faticosa da raggiungere e mantenere.
Per questo evito ora di fare considerazioni di valore sulle persone, che credo agiscano esclusivamente per soddisfare i propri bisogni pur cercando, almeno quelli più attenti a ciò, di mediarli e temperarli con i bisogni delle persone che a vario titolo gli sono care.
I condizionamenti continui cui si è sottoposti influenzano inevitabilmente l'agire, l'azione reazione ininterrotta quotidiana cui si deve necessariamente sottostare, e ciò comporta, a sua volta, conseguenze sull'agire delle attività relazionali pur strette ed affettive.
Deve, quindi, essere accettata a priori ogni eventualità? No, credo che la maggior parte delle persone non sia predisposta a questo, non lo possa tollerare che entro una certa misura che può variare nel tempo.
Siamo umani e non facciamo altro che assecondare la nostra natura, cui l'istinto primordiale è sopravvivere; non c'è mai un "forse" in qualcosa che termina, c'è solo un impulso naturale di auto protezione.
Quello che mi resta di ciò che è stato? L'esperienza, che mi ha condotto dove mi trovo ora. Ho dato e ricevuto finché gli istinti si sono alimentati a vicenda con le persone con le quali mi sono relazionato, e questo mi torna dietro soddisfazione.
Vivo ora in interminabili silenzi di interminabili giornate di interminabili pensieri con la serenità di chi ha smesso di porsi domande cui ha la risposta certa solo che vive nell'illusione si sapere. Io non so, e, dopo tutto, me ne compiaccio.
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