domenica 21 febbraio 2016

IL PIANETA INOSPITALE

Il 70,8% della superficie del pianeta terra è occupato dall'acqua; il restante 29,2% da montagne, deserti, altipiani e pianure.
Se consideriamo che il 29,2% comprende vaste aree comunque non adatte alla vita, quello che resta, diciamo per eccesso un 10% di territorio considerato abitabile, seppur in alcuni casi con condizioni di vita alquanto estreme, vede risiedere sopra di esso circa 7 miliardi di individui (stima dell'anno 2011).
In pratica, la vita sul pianeta è concentrata solo in una piccola parte di esso e, per lo più, circa il 60% (diciamo 4 miliardi) in aree urbane; il resto in aree che potremmo definire rurali  in contrapposizione alle prime.
Dunque, la crescita esponenziale della razza umana sta producendo enormi ammassamenti di individui nelle zone così dette abitabili, ovvero ospitali, dove le condizioni si ritengono idonee per la sopravvivenza della specie; molte zone sono state abbandonate e altre stanno subendo la stessa sorte. C'è in atto una tendenza mondiale a lasciare posti remoti dove la vita è molto difficile a causa sia della situazione morfologica del territorio sia del clima.
Il problema che prima o poi saremo costretti ad affrontare sarà quello della sovra popolazione con conseguente riduzione delle risorse naturali che il pianeta mette a disposizione per la vita.
La civiltà umana ha avuto nel mediterraneo la sua culla, non per caso; è, in assoluto, il posto più adatto per la vita umana, considerando sia il territorio sia il clima. C'è un mare circoscritto che tempera la temperatura solare di concerto con le catene montuose che costituisco la spina dorsale del continente europeo; pur nelle estremità dello stesso, i paesi scandinavi al nord e i paesi che fronteggiano il continente africano al sud, la vita è da considerarsi comunque agevole, o comunque non impossibile.
La transumanza in atto verso il paesi europei non è dettata solo dalla nostra evoluta struttura sociale, che permette di vivere in considerazione di poter lavorare, guadagnare e far crescere i figli al riparo da da tutte le intemperie (di ogni natura) che, purtroppo, regolano la vita in altre parti del pianeta. Lo stesso dicasi per gli Stati Uniti d'America, pur se quel territorio è, per vaste aree, comunque disabitato e, di certo, con una situazione climatica non paragonabile a quella europea.
A mio modo di vedere è in atto una ricerca di sostituzione del territorio dove vivere, ovvero, l'uomo, portato per sua natura alla sopravvivenza, è sempre in cerca di posizioni territoriali migliori nelle quali sviluppare la propria progenie.
Mi sembra di percepire che questa ottica oggi non sia ben chiara dove dovrebbe esserlo; il problema, perché tale è, viene vissuto, a mio parere, solo in un ottica di ricerca del benessere in quanto tale assicurato dal livello di vita raggiunto sia in europa che negli USA.
Il proliferare di barriere artificiali ai confini (si pensi a quella, appunto, americana al confine con il Messico, lunga 4.000 km, ma potrei citarne tante altre) testimoniano questa protezione ma, ripeto, dettata solo da una natura di tipo economico e non come protezione del territorio vera e propria.
Si potrebbe obiettare che al di là dello scopo il territorio venga comunque protetto; sono d'accordo, ma questa ottica resta riduttiva se il problema non viene affrontato radicalmente.
La prossima guerra che si combatterà sul pianeta sarà quella della conquista dello spazio vitale, ovvero del posto fisico dove vivere in ragione della sopravvivenza.
Il clima sta cambiando; sul pianeta è sempre successo e succederà finché sarà in vita: il succedersi delle varie era sta li a dimostrarlo. La natura ha le sue esigenze e poco importa di chi ci vive nel mezzo; segue il suo corso e mieterà le sue vittime.
Il pianeta terra non è un pianeta ospitale, questo è un falso mito; ci sono zone su di esso che permettono a strutture biologiche come la nostra di viverci sopra (probabilmente la nostra struttura organica è stata pensato proprio in funzione delle condizioni del piante e non viceversa, ovvero che ci siamo adattati), ma resta per il 90% un posto non adatto alla vita umana.
Una stele ritrovata in territorio caucasico, di cui si ignora la provenienza ovvero chi l'abbia costruita, reca un monito scritto in varie lingue che consiglia in relazione alle risorse naturali della terra che la popolazione mondiale non avrebbe dovuto superare i cinquecento milioni.
Siamo andati molto oltre. Probabilmente, magari, questo non è e non sarà un nostro problema nel breve; siamo egoisti e pensiamo, forse giustamente, solo a noi stessi. Forse tutto questo discorso non ha senso. Forse, in futuro, sarà possibile, magari, vivere nell'acqua o sotto di essa. Forse domani finisce tutto e amen. Forse no.
La domanda resta: dove stiamo andando?

Nessun commento: