(cronaca di un viaggio in treno avvenuto nell'anno di grazia 2006 - vedi post precedente del 29 giugno 2015)
11 agosto Praga
G. continua a vivere il suo rapporto
terremotato con F., in una giostra infernale di saliscendi pirotecnici, incollato
al telefono, oramai un prolungamento del suo orecchio che ha acquisito capacità
bioniche e forse qualche virus. Maniaci pervertiti di sms densi, vivi, palpitanti, e conversazioni
logorroiche che si esautorano per sfinimento delle corde vocali.
Ma sono lì, distanti eppur vicini
l’uno con l’altra, che attraversano lo spazio su onde di tecnologia vibranti di
qualcosa che ancora hanno paura di chiamare con il proprio giusto nome. Ogni
cosa che attira la sua attenzione è rivolto di rimando a lei, occupata nella
città che è troppo vecchia ma non lo dà a vedere, sempre e comunque presente
nei suoi neuroni attivi.
E litigano. E si amano. E
sorridono. E s’incazzano. E poi ancora. E poi Klimt, Picasso, Van Gogh, Guttuso, Monet, Rodin, Degas. Mms
che corrono sul pianeta terra infrangendosi come onde nelle asperità del cuore di
lei, consapevole e vinta di un destino che non può cambiare. Perché poi. Cosa
ci resta se non l’amore? Posseduti da quello che la nostra vita ci porge su un
piatto d’argento dimentichiamo spesso quello che più conforta e rassicura il
nostro cuore, rotto, si, ad ogni esperienza, ma non in frantumi e desideroso di
maggior calore. Cosa ci resta se non l’amore. Facce che hanno indossato rughe, ma
sempre vestite all’ultima moda; scorci di tramonti in solitudine, i nostri
libri, i nostri viaggi, i drink all’aperitivo, case in affitto, motociclette,
sogni, notti che sono ormai repliche di repliche stantie e pochi amici seppur
veri … cosa ci resta se non l’amore. Perché non chiamarlo con il suo nome
quando bussa in questa casa di vento?
E Praga sonnecchia nella mattina.
E G. telefona.
Ed io sono felice.
Prendiamo sempre più
coscienza.
Il tassista all’andata ci ha
rubato dei soldi.
Non ce ne frega un cazzo.
Arte moderna ci ha comunque ripagato.
Cosa ci resta se non l’amore?
11 agosto sera Praga
Il filetto di Giovanni, delizioso ristorante nascosto
in uno dei tanti vicoli, si scioglie nelle nostre bocche affamate mentre due
ragazze sedute al nostro fianco, praticamente sulla strada, ci guardano
incuriosite e si scambiano sorrisi ed occhiate. Una azzarda un "buon appetito" molto teutonico, ma
ingentilito dal sua sguardo divertito e interessato. Noi contraccambiamo
l’augurio, anche se loro hanno praticamente terminato. Poco dopo si alzano,
mentre noi mangiamo beviamo e ridiamo contemporaneamente, scomposti su sedie
sempre in bilico.
"Buon appetito", ripete la
ragazza riccia ed esile, mentre l’altra, bionda e minuta, resta in
disparte, forse in un rigurgito di timidezza. Noi restiamo lì, sospesi fra il
dire e non dire. Si voltano. Girano l’angolo. E scompaiano fra i flutti di
gente che si riversano nel centro.
- Le incontreremo di nuovo più tardi, filosofeggia G. in uno sfrenato eccesso di
ottimismo.
- Certo che si dico io, accordandomi sulla sua stessa lunghezza
d’onda, dovuta probabilmente al pessimo vino rosso che stiamo bevendo.
Paghiamo e lasciamo un discreta
mancia alla ragazza che ci ha servito e che io ho più volte chiesto in sposa
senza alcun risultato.
Camminiamo satolli fra scarpe di
tutti i colori e forme, bizzarre e impossibili, stracci ed abiti da sera, gente
che esce da teatro e buttadentro di
spogliarelli, famigliole con pupi biondi e zinne stratosferiche, code di
cavallo su tacchi a spillo e fila ai cessi a pagamento, spettatori
dell’orologio astronomico che non funziona secondo noi e polizia a guardia che
tutto fili via liscio.
Dietro compenso, s’intende.
Vediamo anche un inglese con due
polpacci da giocatore di rugby vestito da infermiera con tanto ti tacchi.
Beviamo tre birre.
E contenti di tutto questo ce ne
andiamo a dormire.
Notte.
12 agosto Praga
Ormai mutilati degli arti
inferiori chiudiamo l’ultimo giro sulla città con il peggior tempo delle nostre
crono. È sabato notte. Su Praga esplodono contemporaneamente mille patte
nell’orgia collettiva con minorenni minorate e inconsapevoli. L’orologio per
una volta funziona. Un’ ultimo sguardo. Un’ultima birra. Poi ci vendono catrame
per hascisc. Ma non ci importa.
Quello che stiamo cercando sembra bussare delicatamente alle nostre porte
ancora chiuse. Ma più disponibili a farsi violare, a provare.
La notte inoltrata mi coglie alla
finestra. G. cerca di dormire. Il silenzio ci avvolge. Parte di noi resta in
questo posto. Parte di noi ci saluta alla porta. Senza valige. Senza scarpe.
Senza soldi. Ma piena di certezze e libera da vincoli, quasi mai gratuiti.
Buona notte
O quello che
resta.
13 agosto Praga – Berlino
Domenica
mattina. Ore otto e mezza, all’incirca. Carichi come somari e con gli stessi
ragli d’insofferenza attraversiamo una silente solitudine ammantata di una
debole luce.
Arriviamo alla
stazione trafelati. Cerchiamo e troviamo il binario che ci riporterà in Germania.
Sull’isola che divide le strade ferrate incontriamo due giovani ragazze
italiane. Cercano lo stesso treno. Hanno la nostra medesima destinazione. Ci
accomodiamo in uno spazio per quattro, nonostante la nostra prenotazione ce ne
riservi altri due e loro non ce l’abbiano affatto. Trascorriamo due ore
piacevoli in discorsi ameni, e sorrisi defatiganti.
Poi arrivano i
legittimi proprietari dei posti. Ma in un battibaleno ci riorganizziamo di
nuovo, anche se sparpagliati. Il posto di fianco al mio is free, dico ad un attempata donna tedesca in cui trasuda ancora
una recente bellezza nei lineamenti marcati e nella figura esile. Cerca di
alzare nel porta bagagli il suo trolley. L’aiuto. Ma mentre lo faccio la mia
pesante borsa che contiene libri, soldi, macchinetta fotografica e vari oggetti
di ricarica cade sulla testa di un vecchio tedesco con baffi e cappellino. E
gli fa male. Questo si alza ed inizia ad urlare in tedesco fra l’indifferenza
degli altri viaggiatori, anche dei suoi compagni di viaggio. Poi getta la mia
borsa lontano.
Io prima avevo
cercato di scusarmi.
Dopo, in un
moto di rabbia sotto safety control,
mi alzo gli occhiali neri che mi coprono il viso e gli dico in un sussurro“educato se non altro”.
Il tipo si siede di nuovo come se nulla fosse
successo.
La donna che
stavo cercando di aiutare alza gli occhi al cielo in segno di “cosa ci vuoi fare? È così che vanno le cose …”;.
G., S. e V. ridono
a crepapelle. Io mi siedo. Vorrei riprendere la borsa per leggere qualcosa, ma
desisto. Se gli cade di nuovo in testa succede un casino.
Mi accomodo e
mi perdo in un viaggio nel viaggio. I miei compagni credo facciano lo stesso.
Sfilano
campagne dalla grande finestra pulita del vagone. Come tutte le altre. Quella
nel treno da Roma a Monaco era putrida.
Effeesse: cambiano gli amministratori
delegati e i bussinnes plans, ma i
treni sono sempre gli stessi, e la pulizia uguale.
A Berlino piove
a dirotto.
Alla stazione
centrale non passa neanche una linea metro.
Prendiamo un
taxi.
A destino il
tassista scaricando le valigie ci saluta con “ you welcome”.
Questo posto
già ci piace.
L’albergo è modesto.
Ma siamo in Alexanderplatz.
E tutto il
resto viene confinato nella scatola dei ricordi.
1 commento:
news from hell ....
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