Cerco di ricostruire il mio
tempo, in un contesto statico, soporifero, inerte, nel lascivo scorrere di
quello che consideriamo tale, tracimando dall'ossessione all'osservazione, nel
dipanarsi degli anni frantumati nei giri perpetui del pianeta attorno alla sua
stella.
Consapevole della caducità che gli è propria pur nell'apparente infinità,
lo riconsidero metabolizzandolo nel suo incedere, lento prima, inesorabile
dopo.
Mi corrode, ma non mi da più
ansia, è questo il grande cambiamento. Ora sono capace di attendere,
calmierando quella frenesia che lo ha contraddistinto, facendolo volgere
nell'assaporarlo.
Pur correndo apparentemente mi
sembra si dilati, invece, in un senso di un'ampiezza che mi era sconosciuta
prima, e riesco a renderlo mio, compagno di un cammino che è entrato in una
nuova dimensione, statica, vero, soporifera, vero, inerte, vero.
Ma certa, viva, indissolubile.
Certa, in quanto esistente; viva,
in quanto continua; indissolubile in quanto eterea.
Ci nuoto dentro e posso plasmarlo
invece di subirlo e lasciarmi plasmare; sembra nulla ma tutto cambia:
prospettiva, esegesi, contaminazione.
Uno specchio deformante di una
realtà non più assoluta, ma relativa, condizionata, vellutata anche
nell'asprezza e morbida anche nella durezza.
Nel suo correre ora il mio tempo
non ha più tempo, arrestandosi in momenti che mi portano a ricalcolare la mia
posizione nell'universo che muove verso un punto prestabilito, certo
nell'incertezza, consapevole nell'ignoranza, pragmatico nel futile.
Il tempo ora ha tempo, quale significato
estremo del significante, ancora puerile e ottuso, certo, ma chiaro, abbagliante nel suo manifestarsi.
Non mi viene più di voltarmi
dietro.
La linea dell'orizzonte non è più
così lontana, irraggiungibile.
Si può, si deve, si vuole,
Accetto il tempo, ora, nel mio
apparente immobilismo, perché muovere non è più dinamico ma celebrale, e
questo, questo rende il tutto meno esoterico ...
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