sabato 4 giugno 2016

IN DODICI ORE CIRCA - DOPO TUTTO - prologo

Prologo del primo dei due racconti pubblicati con Ibiskos con il titolo "In dodici ore circa"


- Epicuro ... è difficile continuare  ...

Una mosca ronza attorno alla mia testa mentre un aeroplano invisibile si sovrappone momentaneamente alla colonna sonora suonata nella macchia delimitante i bordi dello specchio d’acqua nel quale si riflettono le nostre figure.

-  e invece dai continua, ti prego ...

Giunge la mani Azzurra, sorridendo e socchiudendo le fessure degli occhi, mentre due papere si avvicinano a noi, prima unite, poi divergenti, apparentemente seguendo interessi diversi.
Le fisso, attratto dal loro taciturno scivolare sull’acqua e dalla scia a “v” che si lasciano dietro. Ma anche, e soprattutto, per non continuare a guardarla.
Maggio, finalmente! ci lascia assaporare calore solare, dopo mesi di piogge e inondazioni, e terremoti e fiumi in piena e...

- sei così bella.

Le braccia, lasciate scoperte dalla canotta rosa che indossa e che risalta la candida pelle dei seni ancora lungi da divenire abbronzati ma ugualmente, teneramente, invitanti, le fanno da leva nella posa lasciva che adotta mentre mi ascolta.
Io sono seduto su di un masso. Il sole inizia ad affondare i suoi raggi sulla mia pelle e gocce di sudore iniziano a colorare, all’altezza del torace, la mia maglietta rossa sbiadita.

- sei così bella ... e così giovane ...

Si volta di nuovo verso me e sorride ancora, abbandonando poi, di nuovo, la testa all’ingiù parallela all’esigue spiaggia sulla quale ci siamo nascosti, protetti dalla flora e dagli alberi ancorati alle pareti di quello che una volta era un vulcano.

- continua, ti prego.

- a parlare di Epicuro o di te?

- a parlare ad Epicuro di me!

Adesso è un’ ape a ronzarmi attorno ma non mi  infastidisce, anzi. Gli uccelli cinguettano armoniosi, la visuale è dionisiaca. Castel Gandolfo s’adagia in cima alla parete che abbiamo di fronte, dall’altro lato dello specchio lacustre, immerso in una mattina che sarebbe piaciuta a Monet.
Poi c’è lei.
Azzurra, 18 anni da due giorni, bionda, burrosa semidea precipitata dall’Olimpo al mio fianco.
Ed io.
Andrea, 42 anni da febbraio, moro, asfittico cultore delle buone maniere, umano. Apparentemente umano.

- Azzurra, caro Epicuro, ti sarebbe piaciuta. né tanto né poco. azzurra è la giusta dose.

L’acqua s’increspa leggermente in un refolo di brezza ascensionale, facendo vibrare le nostre figure adagiate sull’acqua.

- è un divenire, una tenue, calda corrente che scorre sotto il pelo dell’acqua colorata di verde  da questi enigmatici fondali.

Sento il suo sospiro confondersi nel gospel della natura. Guardo le sue gambe distese e, seppur siano occultate da estivi pantaloni bianchi, non riesco a non pensare a quanto sarebbe bello accarezzarle.

- Azzurra promette e mantiene, pur non proferendo parola.

- sdraiati vicino a me, Andrea.

Pur in quell’angusto ma siderale spazio, siamo lontani in effetti; o meglio, sono io che cerco disperatamente di starle lontano.

- sei così teso ....

Mi lascio scivolare dal sasso sul quale siedo, finendo disteso accanto a lei, sul compatto arenile color catrame di origine vulcanica.
Il sole mi colpisce negli occhi, accecandomi.
Poi lei crea un’ eclissi artificiale, frapponendosi fra me e quella stella. Poi l’eclissi mi diviene visibile, radiosa. E si scioglie, fondendosi in un bacio che solo Rimbaud avrebbe potuto immortalare nella sua giovane e prepotente vena poetica.
Le sue primaverili forme s’adagiano sulle mie e inizia ad accarezzarmi, mentre l’odore della sua pelle mi permea soave e tremulo lasciandomi in uno stato ipnotico.
Mi bacia di nuovo,  e poi ancora. E ancora.
E l’eden diviene realtà, trascendendo la sua natura spirituale in un coacervo di immagini che mi attraversano placide, bonarie, come fiori lusingati da un alito di vento.

- ti voglio.

In quell’esile sussurro Azzurra esplode il suo voler essere donna, sentirsi donna, assurgere a donna.
In quell’esile sussurro mi ritrovo prigioniero della mia avidità, del mio egoismo, del mio essere un uomo, dopo tutto.
Un corrosivo minuto di occhi negli occhi si dipana sull’accordo di quelle due parole, infrangendosi sulla mia voce roca e cantilenante.

- sei solo una bambina.

- non sei mio padre.

- no. ma resti pur sempre una bambina.

Le frasi escono come soffocate. Sottovoce.

- io ti amo.

Su quella chiara manifestazione dettata, penso, forse dal momento la rivolgo con le spalle alla spiaggia, con un gesto dolce ma furtivo, adagiandomi, stavolta, io su di lei.

- cosa ne sai tu dell’amore?

- ne so abbastanza per capire di essere innamorata di te.

- sei forse innamorata dell’idea romantica di fare l’amore con me. non sei innamorata di me.

- sono innamorata di te, invece. sei solo uno stupido se non lo capisci.

Versa una lacrima.
Mi alzo in piedi.
Le tendo una mano.
Una volta diritta la stringo a me.
Restiamo a fissare il lago. Inerti. Abbarbicati l’una all’altro.
Una nuvola vela la sfera solare, opacizzando l’azzurro del cielo ed il verde dell’acqua.

- capirai, quando ti innamorerai davvero.

- io ti amo, Andrea.

- capirai, quando l’incontrerai. ti basterà guardarlo negli occhi. e capirai. e ripenserai a questo momento.

- amo te, stupido, possibile che non lo capisci?

E inizia a piangere. In un fiotto ad intermittenza, singhiozzante. Mentre continua a ripetermi: stupido, sei solo uno stupido.
La stringo ancora di più. Il suo viso annega fra i lunghi capelli mossi come onde nella tempesta che vortica nel suo cuore ancora imberbe.

- capirai azzurra. eccome se capirai.

La lascio lontano da casa, per il pudore non dichiarato che porto dentro ogni volta che sono in una situazione che mi crea imbarazzo.
Più tardi, dopo cena, siedo in terrazzo e guardo nell’orizzonte la linea scura del mare, fumando una sigaretta e ripensando al mattino ... chissà se ...
Il telefono cellulare vibra nella ricezione di un messaggio.

ti amo. comunque grazie”.

Allungo le gambe, chiudo gli occhi e inspiro una vorace boccata di tabacco.
Dopo tutto, sono un uomo.

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