(SERIA ANA - EPISODIO TRE)
mi manda un messaggio sul portatile che recita: "sono disposta a farmi perdonare, io in genere mantengo sempre le mie promesse".
mi rigiro
un paio di volte nel letto. è domenica pomeriggio. sono in clausura come tutte
le domeniche. nel dormiveglia mi vengono in mente fatti e situazioni che si
accavallano, sbagliano i tempi, diventano esagerate e si rimpiccoliscono,
piango e rido in un limbo struggente, maleodorante.
vado sul
menù dei messaggi e klikko su invia nuovo, senza troppa fantasia scrivo: "ti perdono se mi fai un sorriso".
riesco così a farmi dare un banale appuntamento di lunedì sera. accendo
la tv e procedo stancamente nella lurida domenica aspettando che arrivi domani
...
... e lunedì arriva, come sempre. sono
sotto casa sua che l'aspetto. faccio squillare il telefono. resto in macchina,
senza scendere. poi, eccola. non ricordavo neanche il suo viso.
ciao.
ciao.
sale e parto senza bene sapere dove
andare in effetti.
allora?
allora?
non riesco a mettere insieme due parole
in fila, scarto l'idea di cercare un frase completa. ma mi sembra che neanche
lei riesca a dire qualcosa di senso compiuto.
decidiamo così tacitamente di perderci
nella notte e di bere un buon drink. l'alcol aiuta sempre, specie in questi
momenti così imbarazzanti di cui in genere ridi nei film e pensi che tu
sapresti sempre cosa fare e invece non è mai così, anzi non sai mai cosa fare
perché non sei altro che il solito coglione uguale a tutti gli altri.
entriamo in un locale. di un vecchio pazzo che crede ancora
di essere quello che era, pieno di tatuaggi e di un aria tipo so tutto io come vanno le cose
del mondo, e forse sarà anche vero, ma ciò non toglie che a me
stia tremendamente sul cazzo e vorrei
dirglielo su quella brutta faccia segnata dagli anni ma mi esce solo un
buonasera.
negroni.
negroni.
anche lei beve negroni. meglio. così
ci scioglieremo in due. e sarà tutto più facile.
due, tre sorsi e finalmente iniziamo a
comunicare con una certa facilità, le frasi ora scorrono fluide, escono fuori
argomenti interessanti, si ride e ci si lascia
andare, lasciando dietro le paure, le angosce di cosa fare e non fare,
dire e non dire, ma chi me lo ha fatto fare, perché.
al secondo negroni sembra che ci conosciamo da anni e che ci
ritroviamo dopo tanto tempo. adesso ci sentiamo nella condizione di aver tante
cose da dire e di non averne il tempo. e mentre il mondo resta chiuso fuori e
l'isolamento diventa aureo arriva un tipo che si mette seduto al pianoforte
vicino a noi e decide di mettersi a suonare.
il mio primo impeto è di tirargli il
bicchiere. il secondo è di rompergli subito un braccio così non può suonare,
ana propone di spaccargli il tavolo in testa, così, come protesta ufficiale per
il disturbo creato, ma ancora abbastanza lucidi decidiamo di cambiare locale.
più tardi la lascio sotto casa. sono
circa le due del mattino. la guardo attraversare la strada. aspetto che varchi
il portone. un ultimo sguardo.
accendo la radio, cerco una
stazione e accendo l'ennesima sigaretta. ingrano la marcia e lascio
dolcemente la frizione. la macchina muove soave sull'asfalto umido, cullandomi
nel turbinio di pensieri che ho nel ritorno a casa.
la città è deserta. le luci dei
lampioni mi fanno compagnia e mi indicano la via. sento che la mia anima è in
fermento e mi lascio attraversare dai brividi che emana. posso così sorridere a
me stesso, finalmente ingenuamente soddisfatto.
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