domenica 10 settembre 2017

ANA - finalmente!


(SERIA ANA - EPISODIO TRE)

mi manda un messaggio sul portatile che recita: "sono disposta a farmi perdonare, io in genere mantengo sempre le mie promesse".
mi rigiro un paio di volte nel letto. è domenica pomeriggio. sono in clausura come tutte le domeniche. nel dormiveglia mi vengono in mente fatti e situazioni che si accavallano, sbagliano i tempi, diventano esagerate e si rimpiccoliscono, piango e rido in un limbo struggente, maleodorante.
vado sul menù dei messaggi e klikko su invia nuovo, senza troppa fantasia scrivo: "ti perdono se mi fai un sorriso".
riesco così a farmi dare un  banale appuntamento di lunedì sera. accendo la tv e procedo stancamente nella lurida domenica aspettando che arrivi domani ...
... e lunedì arriva, come sempre. sono sotto casa sua che l'aspetto. faccio squillare il telefono. resto in macchina, senza scendere. poi, eccola. non ricordavo neanche il suo viso. 
ciao.
ciao.
sale e parto senza bene sapere dove andare in effetti.
allora?
allora?        
non riesco a mettere insieme due parole in fila, scarto l'idea di cercare un frase completa. ma mi sembra che neanche lei riesca a dire qualcosa di senso compiuto.
decidiamo così tacitamente di perderci nella notte e di bere un buon drink. l'alcol aiuta sempre, specie in questi momenti così imbarazzanti di cui in genere ridi nei film e pensi che tu sapresti sempre cosa fare e invece non è mai così, anzi non sai mai cosa fare perché non sei altro che il solito coglione  uguale a tutti gli altri.
entriamo in un  locale. di un vecchio pazzo che crede ancora di essere quello che era, pieno di tatuaggi e di un aria tipo so tutto io come vanno  le cose  del mondo, e forse sarà anche vero, ma ciò non toglie che a me stia  tremendamente sul cazzo e vorrei dirglielo su quella brutta faccia segnata dagli anni ma mi esce solo un buonasera.
negroni.
negroni.
anche lei beve negroni. meglio. così ci scioglieremo in due. e sarà tutto più facile.
due, tre sorsi e finalmente iniziamo a comunicare con una certa facilità, le frasi ora scorrono fluide, escono fuori argomenti interessanti, si ride e ci si lascia  andare, lasciando dietro le paure, le angosce di cosa fare e non fare, dire e non dire, ma chi me lo ha fatto fare, perché.
al secondo negroni  sembra che ci conosciamo da anni e che ci ritroviamo dopo tanto tempo. adesso ci sentiamo nella condizione di aver tante cose da dire e di non averne il tempo. e mentre il mondo resta chiuso fuori e l'isolamento diventa aureo arriva un tipo che si mette seduto al pianoforte vicino a noi e decide di mettersi a suonare.
il mio primo impeto è di tirargli il bicchiere. il secondo è di rompergli subito un braccio così non può suonare, ana propone di spaccargli il tavolo in testa, così, come protesta ufficiale per il disturbo creato, ma ancora abbastanza lucidi decidiamo di cambiare locale.
più tardi la lascio sotto casa. sono circa le due del mattino. la guardo attraversare la strada. aspetto che varchi il portone. un ultimo sguardo.
accendo la radio, cerco una stazione  e accendo l'ennesima  sigaretta. ingrano la marcia e lascio dolcemente la frizione. la macchina muove soave sull'asfalto umido, cullandomi nel turbinio di pensieri che ho nel ritorno a casa.
la città è deserta. le luci dei lampioni mi fanno compagnia e mi indicano la via. sento che la mia anima è in fermento e mi lascio attraversare dai brividi che emana. posso così sorridere a me stesso, finalmente ingenuamente soddisfatto.

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