mercoledì 19 luglio 2017

LA SOLITA STORIA

il funerale mi è sembrato eterno. la chiesa era gremita. morire giovani, quarantaquattroanni, profonde un ulteriore effetto lacerante nei partecipanti alle esequie. i volti degli amici erano tirati. distratti da pensieri che sicuramente volavano ai momenti trascorsi assieme a lui, prima apparente vincitore e poi sconfitto dall’alieno, per dirla come oriana fallaci, intrufolatosi nel suo corpo.
sono rimasto in fondo alla chiesa, negli ultimi banchi. non ho voluto incrociare gli sguardi dei familiari. non ne avevo la forza, né la dignità. ho ascoltato in silenzio le parole del prelato, cercandone un conforto che non ho trovato. poi sono uscito e non ho seguito il corteo funebre al cimitero per la tumulazione. non ci sono riuscito.
ho preso la moto e mi sono diretto ad un bar che ha in dote una splendida terrazza con vista sul lago albano. e li, solitario, ho bevuto alla sua salute. un drink dietro l’altro. fino allo sfinimento. con gli occhi fissi sullo specchio lacustre. ripercorrendo anni giovanili fatti di calci ad un pallone, poi gli anni della maturità ... fino a ridurmi ad una forma indefinita metaforizzabile surrealisticamente in uno straccio da pavimenti, ma inservibile.
hanno dovuto chiamare un taxi per farmi riportare a casa. non avevo neanche più i soldi per pagarli i drinks. ma sono un cliente. e poi ho lasciato la moto dinanzi all’entrata del locale, come pegno.
ora sono alla mia scrivania, con la testa in confusione e maledettamente ronzante. ho faticato ad alzarmi ma non potevo assentarmi di nuovo, avrei messo a repentaglio il mio posto di lavoro. e oggi, questo, non è altamente consigliabile, specie se hai assunto impegni importanti con una banca.
patrizia, la mia bionda collega, mi guarda con compassione e mi chiede se ho voglia di un caffé. eleonora, l’altra componente del terzetto, mi sorride affettuosa e mi elargisce una carezza sul viso. abbiamo un rapporto molto forte noi tre, che esula dal fatto che siamo colleghi.
- è dura diego, è dura. ma non avrai bevuto troppo, comunque? patrizia emana le parole come fossero un dolce soffio di vento, rinfrancandomi e avendo cura di me nello stesso momento.
- certo che ha bevuto troppo, non vedi che straccio che è?  eleonora, come sempre, è più pragmatica e avvezza a tali situazioni, che ben conosce per averle assiduamente frequentate nel suo passato da pankettona (il bere dico). ride di me e poi mi accarezza di nuovo.
- andiamo a prenderci un caffè, pronunciato non sono bene da chi, ci mette in moto come automi, o almeno a me così pare, che camminano verso la macchinetta posta al piano terra.
- hai creato un bel casino ieri, sapevi bene che siamo nel periodo di chiusura di quella grossa commessa, non potevi venire e prendere poi un permesso per il funerale?  abbaia mentre lo incrociamo sul corridoio matteo, un rappresentante sindacale che ha invano cercato di ottenere la mia iscrizione nella sua organizzazione.
- hai messo in difficoltà tutto il personale, ora ci tocca rimediare ...  continua alzando la voce affinché venga sentito da chi vuole lui.
- senti stronzo, non mi sei mai stato simpatico, e ora lo sei anche meno. se hai qualcosa da dirmi dimmela in privato se hai le palle. altrimenti resta in silenzio o la prossima volta ...
- mi stai minacciando?
- e tu?
- diego, per favore. e tu matteo falla finita!  patrizia, come sempre, prende in mano la situazione e dall’alto della sua grandissima capacità di auto controllo cerca di tenere a bada due cani che cercano di azzannarsi.
- diego è in un momento delicato, non è opportuno ora fare queste considerazioni. ci sarà tempo e modo per approfondire e comunque senza per questo doversi insultare. siamo persone civili e con una certa istruzione ...
- noi, lui non mi sembra ...
- diego! falla finita!  patrizia adesso assume il tono del comando, conferendo alla sua voce quella autorità che caratterizza il suo carisma.
- matteo, ti prego. possiamo parlarne domani? convoca una assembla e ne discuteremo insieme, civilmente, ci vi l me n te, vero diego?
- certo patrizia ...  boffonchio riprendendo il mio cammino ancora obnubilato dall'alcol in eccesso che circola nel mio sistema nervoso.
- va bene, ne riparliamo in assemblea. ma se non cambia tono ...
- adesso basta matteo. l’incidente è chiuso. torniamo al lavoro. ti prego. e non lo farò ancora per molto.
- va bene patrizia. ciao eleonora.
- ciao stronzo, sussurra eleonora, ben attenta a che non si sentita mentre gli finta un sorriso cordiale.
riprendiamo a camminare. arriviamo alla macchina del caffé in silenzio. aspettiamo che sia pronto per tutti.
- diego, devi risolvere i tuoi problemi con le rappresentanze. patrizia non riesce ad attendere oltre e inizia a farmi la sua solita ramanzina, fissandomi dritta negli occhi, accecandomi.
- non puoi e non devi essere sempre contro solo perché non li ritieni all’altezza del loro compito.
- non é che non li ritengo all’altezza del loro compito. o meglio. non è solo quello. sai bene quello che penso.
- lo penso anche io. sono d’accordo totalmente con diego. eleonora assume, come ogni volta ce ne sia bisogno, le mie difese facendo irritare ancora di più patrizia. e questo la diverte.
- tu zitta! sei come lui. siete due incoscienti idealisti e combinate solo casini!
- si ma siamo forti, vero diego?
- siamo fortissimi!
- si come ... oddio devo fare quella telefonata! torniamo in stanza.
- ecco, il dovere, il dovere ... eleonora sorride e getta il bicchiere nel bidone porta immondizie e altre cose accanto alla macchinetta del caffè.
noi facciamo altrettanto.
l’aria torna serena.
la vita continua.
addio caro amico.
che la pace sia con te.

 

 

 

 

 

Nessun commento: