Le mie profonde crisi depressive hanno infine prodotto una catarsi spirituale che mi sta conducendo in una nuova genesi, bruciando i miei demoni e frantumando i conflitti interiori che mi attanagliano da quando sono divenuto senziente.
Intellettualmente vivo ma deceduto nell'animo ho vissuto gli ultimi anni della mia vita come uno zombie, dentro un limbo di vita apparente, nella diaspora dei sensi, nell'eco dei ricordi, nell'estrema e straziante solitudine, sull'orlo di un precipizio invitante, nello specchio che nulla rifletteva.
Ho camminato nella mia stessa ombra, parlandogli e ricevendone risposte, in un assurdo kafkiano di rara potenza.
Ho posseduto la follia gratificando il mio ego, in un crescendo esoterico e misterioso, a volte così violento da imprimere lividi che segneranno per sempre il mio corpo.
Ho violato le soglie inviolabili della percezione destrutturando la mia psiche, entrando in un mondo oscuro popolato da spiriti ansimanti in un delirio corrodente come acido.
Ho assaporato la vacuità dell'umana specie vedendone la fine nello spegnimento solare, così impotente e fragile nel suo nanismo cosmico.
Ho creduto di essere, compenetrato e infine vinto dalla mia presunta unicità nel mondo conosciuto.
Ho lottato e perso battaglie cruente in campi di battaglia sterminati, privi di protezione, assolati come deserti, freddi come la luna, sanguinanti come una macelleria di bovini.
Ho visto ciò che non volevo vedere pur tenendo gli occhi serrati, come un profeta del nulla asserragliato sulla montagna divina in attesa della parola di un dio.
Ho vomitato quello che avevo ingerito, in un continuo da girone infernale dantesco, nella speranza di espiare le mie colpe terrene.
Ho pianto, sommerso da onde marine annaspando in cerca d'aria per non affogare, in tramonti struggenti e malinconici, privi di fede di un domani nascente.
Giunto nel limite massimo dell'umana sopportazione e con in mano il coltello per il taglio finale ho voluto dare un ultimo sguardo al mondo terreno, affacciandomi alla finestra in un alba vitrea e uggiosa, permeata del senso della solitudine a me cara, e nell'incanto di un qualcosa che è impossibile descrivere pur con tutte le parole che conosco ho pianto di nuovo.
E nelle lacrime riganti il mio viso depauperato della voglia di lottare ancora per un giorno il pallido sole nascente ha iniziato a brillare, riaccendendo occhi spenti.
Il coltello è scivolato via dalla mano finendo in terra nel silenzio dell'immateriale, evaporando infine nella luce accecante penetrante dalla finestra senza più vetri.
Una forza mai percepita prima ha manifestato la sua presenza in un vigore crescente, riequilibrando uno spirito alla deriva nell'oceano della pazzia.
Immobile come una statua classica nell'elegia della sua bellezza ho pianto ancora, assaporando di nuovo l'estasi della vita ...
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