Piero “Mizu” Barbabietola
Presentatore e public speaking (spettacoli di musica) a Varese per la scuola di musica Yamaha (1
anno);
Dj e collaboratore alla direzione artistica del locale piano bar “Visconte” di Cassano Magnago
Varese (3 anni);
Presentatore, conduttore di serate “live” jazz presso il locale “Visconte” di Cassano Magnago (1
anno);
Regia musical Footloose - Teatro di Cannara (Perugia) anno 2000;
Presentatore, sceneggiatore, e organizzazione spettacoli per la scuola di ballo “Sole luna” Assisi
Perugia (anni 3); Sceneggiatore e narratore presso plesso scolastico di assisi con riduzione scenica per bambini del libro “Ramoso”;
Impegno presso Teatro Rinoceronte di Perugia per 4 anni circa: Corso di dizione e Laboratorio
permanente di lettura e narrazione performativa;
Partecipazione a spettacoli di narrazione: contest di lettura ( 3 edizioni) come narratore e come
musicista;
Come attore spettacolo teatrale “Hotel Mauthausen” con varie repliche (Perugia e Marsciano);
Regista, sceneggiatore, narratore, musicista nello spettacolo di teatro musica “Di vino, d’Amore e
altre storie” Torgiano (Perugia);
Blogger (Blog personale) da oltre dieci anni : “Nel cielo alto” (Blogspot);
Doppiatore documentario presentato da giornaliste freelance su SkyTG24;
Blogger da oltre cinque anni delle pagine Facebook: JazzinVersi, Nella stanza del tè, Route66 feel
the freedom, But Beautifu
Scorrendo la tua pagina fb
“but beautiful” ho incontrato questi meravigliosi versi: “Se mi vieni a trovare
vieni lentamente e con gentilezza per non spezzare la fragile porcellana della
mia solitudine”(Sohrab Seperhi). Solitudine e social network sembrano
apparentemente inconciliabili … oppure l’uno trova sostegno nell’altra?
Dobbiamo lavare i nostri occhi
Dobbiamo vedere diversamente le cose
Dobbiamo lavare le parole
Le parole possono essere vento
Le parole possono essere pioggia
Dovremmo chiudere gli ombrelli
Dovremmo camminare sotto la pioggia
Dovremmo portare la nostra mente e i nostri ricordi
Sotto la pioggia, Dovremmo sentire la pioggia.
Sotto la pioggia si possono trovare amici
Si può cercare l’amore
La vita è continua saturazione
La vita è nuotare nell’acqua di questo momento.
Leviamo i nostri abiti
L’acqua è a un solo passo
Assaporiamo la luminosità.
Troppo
spesso nell’universo social trionfa una realtà irreale e inautentica, dove per
usare l’espressione heideggeriana di Essere
e Tempo “ognuno è gli altri e
nessuno è se stesso”. Dove ognuno pensa come si pensa, vive come si vive,
desidera come si desidera e non dissente come si dissente. Questa pagina, come
tutte le mie pagine, è soltanto “un gioco” per resistere a questo continuo
processo di morte della soggettività. Nelle mie pagine cerco di distillare
gocce di pioggia viva, perché viva è la parola, evocativa l’immagine. Ma poi
bisogna uscire “sotto la pioggia”.
Dobbiamo “sentire la pioggia”, “Sotto la pioggia si possono trovare
amici”
.. Scongiurare quella che viene chiamata “fomo” (dall’inglese fear of missing out), la paura di sentirsi tagliati fuori se ci si stacca da Facebook o Instagram. Ansia, depressione, solitudine. E’ molto reale il pericolo che solitudine e social creino un cortocircuito. La poesia, l’arte, la cultura, la musica, La Bellezza, sono un antidoto. Ma ripeto, “l’acqua è ad un solo passo” dalla blogosfera dei social. “Assaporiamo la luminosità”. Le mie pagine hanno un che di “artigianale” che le rende vere, sincere. Nel mio spazio virtuale accolgo persone vere. Certo che il riscontro dei feedback provenienti dalla community dei lettori è importante. Altrimenti scriverei un diario come si faceva in tempi lontani. Il Blog, la Pagina, sono un diario di “rete”, di relazione. E l’artigianalità della gestione conferisce alla pagina il giusto argine alle tentazioni di perseguire solo “like” e consensi fini a se stessi. Le parole possono essere vento e pioggia, ma le parole hanno un peso. Hanno un’anima. Devono avere un cuore. E il Blogger che le usa, che le “spaccia”, deve metterci il suo di cuore in gioco. Affinchè, malgrado tutto, possa risuonare dentro ognuno di noi quella voce interiore, figlia del disincanto, ma capace di visione e sogno: “but beautiful”… però Bello..!!
.. Scongiurare quella che viene chiamata “fomo” (dall’inglese fear of missing out), la paura di sentirsi tagliati fuori se ci si stacca da Facebook o Instagram. Ansia, depressione, solitudine. E’ molto reale il pericolo che solitudine e social creino un cortocircuito. La poesia, l’arte, la cultura, la musica, La Bellezza, sono un antidoto. Ma ripeto, “l’acqua è ad un solo passo” dalla blogosfera dei social. “Assaporiamo la luminosità”. Le mie pagine hanno un che di “artigianale” che le rende vere, sincere. Nel mio spazio virtuale accolgo persone vere. Certo che il riscontro dei feedback provenienti dalla community dei lettori è importante. Altrimenti scriverei un diario come si faceva in tempi lontani. Il Blog, la Pagina, sono un diario di “rete”, di relazione. E l’artigianalità della gestione conferisce alla pagina il giusto argine alle tentazioni di perseguire solo “like” e consensi fini a se stessi. Le parole possono essere vento e pioggia, ma le parole hanno un peso. Hanno un’anima. Devono avere un cuore. E il Blogger che le usa, che le “spaccia”, deve metterci il suo di cuore in gioco. Affinchè, malgrado tutto, possa risuonare dentro ognuno di noi quella voce interiore, figlia del disincanto, ma capace di visione e sogno: “but beautiful”… però Bello..!!
Il Cha no yu (la cerimonia
del tè), rito sociale e spirituale giapponese praticato in una stanza dove
tutti gli uomini sono uguali, dove l’ostentazione non è ammessa. Nella tua
stanza del tè entrano idealmente i tuoi tanti followers; sono tutti disarmati e
offerenti amicizia?
“Nella
stanza del tè” è il luogo dove non si chiedono amicizia e amore ma si
offrono. Come il tè. Come il pane. Roque Dalton sosteneva che la poesia è come
il pane, di tutti. Come il pane ha un fine, un senso. Nutrire tutti. Il pane in
una dieta “povera” è l’alimento di prima necessità. Così come la poesia,
offerta come il tè. I tanti followers sono umanità che chiede, che cerca ristoro
spirituale, un momento di pensiero gentile che fa riflettere e pacifica.
Un’umanità che lotta, sopravvive, fatica, sogna, desidera, e cerca nutrimento,
sorriso, complicità, condivisione e cuore, cuore, cuore. Tutti noi abbiamo
bisogno di pane ed un sorso di tè. Come il nostro vivere. Piccoli gesti di
coraggiosa, spesso eroica, caparbietà, resistenza, resilienza. Siamo tutti
disarmati. “Nella stanza del tè” è il luogo dove dissetarsi per
riprendere il cammino. Dove quello che è
nascosto sia presente. Dove la parola è profonda, discreta, gentile. Perché “La gentilezza nelle parole crea fiducia; la
gentilezza nel pensiero crea profondità; la gentilezza nel dare crea amore.”
(Lao Tzu).
1 La Route 66
(feel the freedom) ha rappresentato l’icona della beat generation di Kerouack
materializzando, in un certo senso, l’idea di libertà. L’epopea beat è’ stata
poi usata e strumentalizzata in vari modi, ancorché, inoltre, largamente
incompresa. La tua pagina ha un legame con quello che era il vero spirito di vivere
“beat”, o è solo un omaggio ad un movimento iconoclastico?
“Route
66” è la metafora del viaggio, della vita in movimento. Di uno spirito di
libertà, di apertura. Più “On
the Road” di Jack Kerouc, che “Owl” di Allen Ginsberg. “Echi” di un
movimento importantissimo, certamente ancora da approfondire. Nel contest di
questa pagina il legame con lo spirito “beat” è sostanzialmente una citazione.
Senza strumentalizzazioni, né adesioni.
Questa pagina sposa una visione di libertà come apertura, come accoglienza del
mistero, delle domande irrisolte, del cammino a cui tutti siamo chiamati. Che
lo vogliamo o no. E la modalità è di mettersi in cammino, aprire il cuore,
dilatare la coscienza, per uscire da rigidità e visioni manichee, con la forza
della parola, delle immagini, della musica.
Per Kerouac la Beat Generation
era una “Generazione Ritrovata”. “Route
66 feel the freedom”, per restare nell’ambito dei riferimenti alla Beat
Generation, è un luogo, meglio ancora
una “strada” che ha un cuore nel significato Beat-Whitmaniano di umiltà, un vuoto interiore (libero da
sovrastrutture) ma ricettivo alla
visione. Disincanto senza rinuncia al sogno. Dove più di ogni meta possibile
conta il viaggio. Un viaggio in se stessi. Il motto di questa pagina potrebbe
essere: “Dobbiamo andare e non fermarci
finché non siamo arrivati. Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare.” (Kerouac). E il manifesto, se proprio
vogliamo restare nel “gioco” dei rimandi e delle ispirazioni, non può che
essere “non ti salvare” del poeta Mario Benedetti:
Non rimanere immobile
sull’orlo della strada
non raffreddare la gioia
non amare indolente
non ti salvare ora
né mai
sull’orlo della strada
non raffreddare la gioia
non amare indolente
non ti salvare ora
né mai
non ti salvare
non riempirti di calma
non tenerti del mondo
solo un angolo quieto
non riempirti di calma
non tenerti del mondo
solo un angolo quieto
non chiudere le palpebre
pese come sentenze
non restare senza labbra
non dormire senza sonno
non pensare senza sangue
pese come sentenze
non restare senza labbra
non dormire senza sonno
non pensare senza sangue
ma se
malgrado tutto
non lo puoi evitare
e raffreddi la gioia
e ami con indolenza
e ancora ti salvi
e ti riempi di calma
e ti tieni del mondo
solo un angolo quieto
e lasci cadere le palpebre
pese come sentenze
e ti asciughi senza labbra
e dormi senza sonno
e pensi senza sangue
e giudichi senza tempo
e immobile ti fermi
sull’orlo della strada
e ti salvi
non lo puoi evitare
e raffreddi la gioia
e ami con indolenza
e ancora ti salvi
e ti riempi di calma
e ti tieni del mondo
solo un angolo quieto
e lasci cadere le palpebre
pese come sentenze
e ti asciughi senza labbra
e dormi senza sonno
e pensi senza sangue
e giudichi senza tempo
e immobile ti fermi
sull’orlo della strada
e ti salvi
allora
non restare con me.
non restare con me.
Il
Jazz è la metafora della vita. Per i grandi pionieri di questa musica ne è
stato anche l’incarnazione. Suoni il tuo vissuto ci ricordava Parker, e Evans
detestava le classificazioni ideologiche e le etichette e le teorizzazioni sul
Jazz e ripeteva che questa musica è
feeling, scoprire una parte di noi che non conosciamo. Il Jazz è metafora della
vita perché più di ogni altra musica ne traduce canto e graffio, l’alterazione
degli accordi, o gli accordi aperti, i cromatismi, le dissonanze, le
poliritmie, le melodie, raccontano una storia. La nostra. E nell’ordinario
della nostra vita è celata, per essere rivelata, la nostra straordinarietà.
Siamo unici ed irripetibili. Non esiste un altro noi. La nostra individuale
verità, forza e fragilità, bellezza e brutalità, luce e oscurità, innocenza e
consapevolezza, controllo e abbandono, siamo noi, tutto ciò che siamo ed
abbiamo. La nostra ricchezza per amare ed essere amati. Il nostro ordinario
“straordinario”. Nell’atto dell’improvvisazione l’anima si commuove
nell’intuizione dell’istante. Questo è il senso nella mia pagina, del recente
evento “Storie di ordinaria improvvisazione”. La nostra vita, come ogni grande
esecuzione, improvvisazione jazzistica, è straordinaria. Quello che tento di
fare attraverso questa pagina è cercare uno sguardo nuovo nell’ascolto, è
liberare da rigidità e preconcetti, da tecnicismi elitari ed autoreferenziali,
è ritrovare quella commozione, quel cuore che è proprio della nostra essenza e
della musica. Per usare le parole dello psichiatra Nelson Mauro Maldonato “come espressione vitale e prodigiosa della
creazione, l’improvvisazione è accompagnata dalla duplice cifra della sua
possibile esistenza e della sua scomparsa. Si tratta di una forma espressiva
che porta in sé lo scandalo della propria casualità, di una natura enigmatica,
di un’immediatezza insoddisfatta e inesplicabile. Non somiglia a niente. Anche
per questo, comprenderne le connessioni metaforiche, le intuizioni, le trame
profonde, è tra i misteri più affascinanti della conoscenza. Tutti dovrebbero
tenerla nella massima considerazione. Ad ogni livello”. Noi stessi siamo
questo mistero. Straordinario. L’ordinario è solo un velo dello straordinario
da scoprire e riscoprire sempre. Solo l’arte, con la sua enorme forza –
sosteneva Rilke – “proietta nel nostro
cuore oscuro e inesplicato, come specchi rovesciati, l’inconsapevolezza e
l’imperturbabilità delle cose. L’arte ha il compito di salvare le cose. Ma
salvarle vuol dire sostituire l’opera dello sguardo con un’opera del cuore:
l’unica che apre orizzonti mentre altri tracciano confini”. Vedere lo
straordinario nell’apparente ordinario. Questa è la sfida e la novità di questa
pagina: una rilettura della discografia Jazz, attraverso il cuore e lo sguardo
di chi ascolta, piuttosto che come trama storico-tecnico-musicale dei giganti
che hanno reso grande e affascinante questa musica. La rivelazione della nostra
ordinaria straordinarietà attraverso l'ascolto di questa musica straordinaria.
3 Quattro
pagine facebook ed oltre 50.000 followers: il tuo grande impegno nella ricerca
di temi ed argomenti da proporre è molto apprezzato: nella tua sfera cosa vedi
nel prossimo futuro?
Pier
Paolo Pasolini fu un grande critico del consumismo. Precursore di grande
intelligenza ed intuito, capì come “l’edonismo della società consumistica”
stesse appiattendo ogni cosa: persone ed idee. Il mio impegno nel Social-web
nel gestire (da solo) le mie pagine è tutt’altro che semplice. Ricerca continua
di testi, immagini, musica. Un fiore nel deserto, al cui profumo non rinuncio.
Almeno per ora. Credo che la risposta all’edonismo vorace, arrogante,
massificante, sia la via della Bellezza. In senso poetico, letterario,
social-divulgativo, musicale, filosofico, teologico. Di certo questa “ricerca”
fa bene a me. Mi consente di “resistere” al processo in atto di impoverimento
dell'anima che pensa, riflette, si interroga, ama. Le mie pagine sono il
successivo tentativo di condividere questo percorso. Se serve anche solo ad una
persona, delle tante che seguono le pagine, ad aprire una finestra nel proprio
cuore e moltiplicare così questa con-divisione, allora ne è valsa la pena. Del
futuro non so. Ho qualche idea ma.. la scopriremo solo vivendo.
Non smette mai di sorprendermi Piero da quando lo conosco, dal lontano, oramai, 1995. La sua cifra culturale è cresciuta di pari passo con il tempo trascorso ed al suo impegno nel cercare di diffonderla nel contesto nel quale vive, Umbria, prima Assisi e poi Perugia, non tralasciando i circa 10 anni vissuti a Varese, dove ci siamo conosciuti ed abbiamo iniziato a frequentarci. Gli devo molto, perché è lui che mi ha inoculato il virus della scrittura durante le nostre interminabili discussioni sull'arte, la musica, la letteratura, la pittura ... su ciò, in definitiva, che chiamiamo cultura. Nell'attuale società, definita liquida da Bauman, Piero si erige quale monolite solido ed incrollabile di divulgatore culturale; averlo ospite sul mio piccolo blog è per me qualcosa di veramente speciale ...
1 commento:
Sono felice e onorato di essere parte del tuo mondo. La nostra condivisione ha radici profonde. Il nostro comune resistere al mortificante appiattimento di cuori e coscienze ci avvicina sempre più nel nostro fraterno abbraccio ed in questa comune identità: quella d'eesere come alberi dalle forti radici piantate in terra ma con i rami protesi verso il cielo. Piero
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