La sala era malinconicamente vuota mentre l'attraversavo distratto ... i quadri appesi alla parete non erano mai stati così privi di interesse per me ... vuoti ... incapaci di comunicare ... disidratati di appeal. L'esegesi della poetica dell'autrice appesa alla parete iniziale era ancora, se possibile, più malinconica delle opere medesime, tutte dipinte in un chiaroscuro indefinito che a mio modo di vedere non aveva saputo in nulla cogliere la luce che forse voleva essere proposta mentre venivano tratteggiati; oppure forse ero io a trovarmi nella mia parte oscura e non ne sapevo cogliere lo splendore; comunque siano state in effetti le cose, mi trovavo da solo in questa esposizione a Palazzo Braschi ed era la cosa che più di tutte attirava la mia attenzione.
Mi sedetti su di una panca nel mezzo della sala ad uso contemplazione della proposta, ed iniziai a cercare una spiegazione al fatto del perché mi ritrovassi da solo li dentro; rimuginai a lungo senza arrivare ad una qualunque conclusione razionale e terminai per affibbiarla miseramente al fato.
Così mi alzai e a testa bassa e feci per avviarmi verso l'uscita; dopo due passi una domanda che prorompeva da una voce femminile ruppe il silenzio nel quale mi sembrava di essere immerso: "non ti piacciono?".
Mi voltai, sulla soglia di una porta laterale alla sala ora aperta c'era una donna minuta, con lunghi capelli neri, occhiali tondi da vista, un lungo, e terribile, vestito color arancio e ciabatte infradito ai piedi; se avesse avuto una pelle scura anziché diafana l'avrei presa per una santona proveniente dall'India devota ad un qualche Dio di quel sub continente.
"No, in effetti ora no. Ma forse non era questo il giorno giusto per venire a vederli", risposi quasi imbarazzato.
"Mi sembra una buona frase per essere cortese con chi li ha dipinti ...", rispose in un filo di voce abbassando contemporaneamente lo sguardo a terra, come per nascondere una emergente timidezza.
"Sono tuoi vero?", riuscii a dire in un incredibile imbarazzo che mi avvampò accendendo sul mio viso una tonalità rossa da far invidia ad un tramonto da cartolina.
"Si", sussurrò trovando il coraggio di guardarmi negli occhi stavolta.
"Mi dispiace, non volevo ... cioè credo davvero di non essere in un momento da poter esprimere un qualunque giudizio ...", dissi cercando un improbabile recupero della conversazione, che in effetti si chiuse al termine della mia frase assieme alla porta dove sostava per parlarmi.
Uscii fuori, e feci per allontanarmi da quel posto, in cui tutto ciò che mi era accaduto sembrava fosse così irreale da non esserlo nella realtà.
Dopo alcuni passi nel chiaroscuro della luce di un tramonto surreale, incredibilmente le opere viste mi tornarono in visione palesandomi ciò che in effetti volevano comunicare; era la medesima luce e chi era stato capace di coglierla doveva senz'altro avere una sensibilità fuori dal comune, pensai.
Mi voltai per tornare dietro, feci alcuni passi e da un bar uscì un ragazzo indiano con una rosa in mano; me la offrì ed io la comprai.
Pagai di nuovo il biglietto di ingresso. Attraversai di nuovo la sala distratto. Arrivai alla porta. Bussai. Misi la rosa dietro la schiena. La porta si aprì. Uscì di nuovo quell'eterea presenza. Abbassò di nuovo lo sguardo a terra. Con la mano sinistra gli alzai il mento. Con la destra gli offrii il fiore. Sorrise, infine. La sala sembrò improvvisamente capovolgersi.
"Sei brava Bianca, e sei anche bella ..." sono le ultime parole che ricordo di aver detto in un giorno che cambiò per sempre la mia vita ...
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