mercoledì 3 aprile 2019

REPRESSIONE E DINTORNI


 L’attacco a qualsiasi forma di “aggregazione sociale” attraverso la negazione di tutte quelle libertà, ritenute ormai acquisite e quindi consolidate,  la repressione che il potere, attraverso i vari livelli istituzionali, sta esercitando nel nostro Paese sembra davvero non conoscere limiti.
L’attacco alle libertà sindacali vedi diritto allo sciopero, la ghettizzazione delle persone migranti e dei poveri, la cancellazione del diritto non solo all’abitare ma alla cittadinanza attraverso leggi anticostituzionali (vedi art.5 decreto Lupi), la minaccia di chiusura di tutti gli spazi sociali nei quali l’aggregazione rappresenta  il comun denominatore, la demolizione sistematica della scuola pubblica, il luogo dove nasce l’humus dell’idea e del pensiero, una informazione la cui funzione è rimasta soltanto nel nome visto che  il vero esercizio della stessa è quello non solo di disinformare, ma soprattutto di manipolare la realtà.
 Insomma un’azione repressiva a 360 gradi che parte da lontano, praticata in luoghi e situazioni insospettabili, come una sorta di prova generale che, spesso, ci ha visto distratti o comunque poco attenti rispetto a quei segnali che avrebbero dovuto metterci quanto meno in pre-allarme.
Già da qualche anno negli Stadi italiani, infatti, si sono svolte quelle  prove generali di cui sopra, si sono attuate pratiche che poi abbiamo visto espandersi  in tutti i settori aggregativi e sociali. Una omogeneità di pensiero delle classi dominanti è dimostrata dal sistema securitario inaugurato dal Ministro Minniti e portato oggi a compimento da Salvini (tutti sulla stessa barca o barcone …).
Il cambio di rotta da parte delle Istituzioni rispetto al luogo di aggregazione per antonomasia e più antico in assoluto, spesso usato dal potere per foraggiare il popolo e distrarlo dai problemi sociali, ha rappresentato l’apripista, il modello comportamentale da applicare in qualsiasi momento e in qualsiasi spazio di aggregazione della società civile, perché è chiaro che tutto ciò che rappresenta ancora qualcosa di autenticamente “popolare” fa paura e deve essere represso.
Cambia dunque la gestione del  cittadino/tifoso/lavoratore, controllato e oppresso  in ogni spazio sociale: il tifoso chiuso nelle quattro mura di casa a foraggiare il buissness delle pay tv; l’utente dei mezzi pubblici  perso nei meandri del proprio telefonino incapace di comunicare con chi gli sta intorno; il lavoratore precarizzato che vede nel prossimo solo il potenziale ladro del proprio incerto posto di lavoro e il lavoratore a tempo indeterminato che, grazie al concetto di “meritocrazia”, è attore più o meno consapevole della guerra tra lavoratori  ormai in atto.
            Lo stadio, lo spazio sociale e il posto di lavoro sono luoghi  di raduno di persone di diverse età, diverse estrazioni sociali, diversi orientamenti politici, luoghi che se vissuti con  un comune denominatore, creano aggregazione, solidarietà e soprattutto confronto, scambio di idee e di punti di vista.
            La comunicazione, l’aggregazione, il confronto e anche lo scontro potrebbero generare conflitto sociale e dunque ogni luogo potenzialmente “eversivo” da questo punto di vista deve essere abbattuto, ostacolato, arginato o chiuso.
           Cercare di scardinare, di dividere fisicamente il popolo  è la manifestazione inquietante dell’ esercizio repressivo da parte del potere, divisione che viene esercitata con un raggio di azione totale, se pensiamo appunto al Daspo cittadino quindi all’impossibilità di aggregarsi anche soltanto per puro divertimento: solo pochi giorni fà a Roma zona Trastevere nelle ore serali a qualche ragazzo che passeggiava chiacchierando è stato intimato da Carabinieri a piedi (ormai costantemente presenti nelle vie delle zone centrali) di “abbassare” la voce …
            Se sei dunque “lavoratore” devi considerare nemici i tuoi colleghi, se sei tifoso non devi “osare” di usare il tuo ruolo appunto da tifoso per pensare ad altre questioni sociali (pensiamo agli striscioni su Cucchi e Aldovrandi sistematicamente sequestrati), se sei studente non puoi avere l’ardire di uscire la sera e divertirti e, se lo fai, solo a bassa voce …
La tentazione di aprirsi ad un conflitto sociale è sistematicamente repressa attraverso i  tipici strumenti che hanno la funzione di spostare l’attenzione: “sicurezza e legalità”.
Oltre quindi alla “paura” , vecchio ma sempre efficace spauracchio per tenere chiusa in casa la gente, questa volta l’aggravante è costituita dalla cosiddetta “garanzia di legalità”…
            Uno strano modo di esercitare la legalità, una sorta di doppio binario attraverso il quale per esempio, sempre rimanendo a Roma, non si scioglie una Giunta Comunale inquinata  (neanche dopo l’arresto di De Vito) ma si chiude una curva di uno stadio all’interno del quale non si verificano da tempo  episodi di violenza .
            Una strana legalità quella di un Paese dove occupare una casa è diventato reato ed il falso in bilancio è, invece, prova di abilità e competenza professionale;  dove cambiare posto allo stadio prevede sanzioni pesanti ma dove la lotta all’evasione fiscale di fatto non c’è.
Una ancor più strana legalità che con il Decreto sicurezza di Salvini raggiunge il suo apice  laddove si istituisce di fatto il reato di “protesta”, visto che per presidi di lavoratori non autorizzati si rischia dai 2 ai 7 anni  quando per i reati dei colletti bianchi il massimo della coercizione è l’arresto domiciliare.
            In questo, solo apparentemente confusionario modello di società, in realtà appare evidente la determinazione a sradicare anche l’appartenenza che ognuno di noi sente verso una “classe sociale”.
            Infatti si tende a delineare la figura del brutto e cattivo che osa ribellarsi al sistema  avulsa dal suo essere comunque anche cittadino quindi studente o lavoratore o piuttosto pensionato se non disoccupato, e dunque contro chi lotta si possono fare leggi speciali, anti-costituzionali e fasciste relegando “chi dissente” e le classi subalterne in un ghetto ben preciso.
E forse qui si chiude il cerchio del disegno sociale che si va delineando: una società che tende all’esclusione sociale, con pochi ricchi i quali sicuramente non frequentano le curve degli stadi ma forse solo le tribune, che senz’altro non hanno la necessità di occupare case ma quella di essere il più possibile tutelati per eventuali “reati tributari”; gente che non ha bisogno del sussidio di disoccupazione o di migliori condizioni di lavoro ma piuttosto di essere assolti per disastri ambientali.
D’altra parte il “dividi et impera” ha sempre funzionato e se costruire una gabbia che chiuda l’individuo in tutti i suoi “ruoli sociali” potrebbe essere piuttosto complicato, scippare ad ogni singolo individuo la sua  trasversalità di cittadino  e confinarlo in un unico  profilo per poi annichilirlo, diventa un’azione repressiva a cui ci si dedica con metodo. Non c’è niente di occasionale nell’azione delle forze che oggi dominano la scena politica.
E forse la risposta potrebbe stare proprio all’interno di questa contraddizione, le nostre provocazioni e le nostre proposte dovrebbero essere trasversali alle classi sociali, dovremmo affrontare temi spiazzanti da questo punto di vista per essere di nuovo convincenti ed inclusivi … se il potere chiude e relega in spazi angusti, non solo fisici ma anche e soprattutto mentali, noi dovremmo essere e praticare altro.
   Tonino e Alessandra
     Osservatorio Represione 

                                                               














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