L’attacco a qualsiasi forma di “aggregazione sociale”
attraverso la negazione di tutte quelle libertà, ritenute ormai acquisite e
quindi consolidate, la repressione che
il potere, attraverso i vari livelli istituzionali, sta esercitando nel nostro
Paese sembra davvero non conoscere limiti.
L’attacco alle libertà sindacali vedi diritto allo
sciopero, la ghettizzazione delle persone migranti e dei poveri, la
cancellazione del diritto non solo all’abitare ma alla cittadinanza attraverso
leggi anticostituzionali (vedi art.5 decreto Lupi), la minaccia di chiusura di
tutti gli spazi sociali nei quali l’aggregazione rappresenta il comun denominatore, la demolizione
sistematica della scuola pubblica, il luogo dove nasce l’humus dell’idea e del
pensiero, una informazione la cui funzione è rimasta soltanto nel nome visto
che il vero esercizio della stessa è
quello non solo di disinformare, ma soprattutto di manipolare la realtà.
Insomma
un’azione repressiva a 360 gradi che parte da lontano, praticata in luoghi e
situazioni insospettabili, come una sorta di prova generale che, spesso, ci ha
visto distratti o comunque poco attenti rispetto a quei segnali che avrebbero
dovuto metterci quanto meno in pre-allarme.
Già da qualche anno negli Stadi italiani, infatti, si
sono svolte quelle prove generali di cui
sopra, si sono attuate pratiche che poi abbiamo visto espandersi in tutti i settori aggregativi e sociali. Una
omogeneità di pensiero delle classi dominanti è dimostrata dal sistema
securitario inaugurato dal Ministro Minniti e portato oggi a compimento da Salvini
(tutti sulla stessa barca o barcone …).
Il cambio di rotta da parte delle Istituzioni rispetto
al luogo di aggregazione per antonomasia e più antico in assoluto, spesso usato
dal potere per foraggiare il popolo e distrarlo dai problemi sociali, ha
rappresentato l’apripista, il modello comportamentale da applicare in qualsiasi
momento e in qualsiasi spazio di aggregazione della società civile, perché è
chiaro che tutto ciò che rappresenta ancora qualcosa di autenticamente
“popolare” fa paura e deve essere represso.
Cambia dunque la gestione del cittadino/tifoso/lavoratore, controllato e
oppresso in ogni spazio sociale: il
tifoso chiuso nelle quattro mura di casa a foraggiare il buissness delle pay tv;
l’utente dei mezzi pubblici perso nei meandri
del proprio telefonino incapace di comunicare con chi gli sta intorno; il
lavoratore precarizzato che vede nel prossimo solo il potenziale ladro del
proprio incerto posto di lavoro e il lavoratore a tempo indeterminato che,
grazie al concetto di “meritocrazia”, è attore più o meno consapevole della
guerra tra lavoratori ormai in atto.
Lo stadio, lo spazio sociale e il
posto di lavoro sono luoghi di raduno di
persone di diverse età, diverse estrazioni sociali, diversi orientamenti
politici, luoghi che se vissuti con un comune
denominatore, creano aggregazione, solidarietà e soprattutto confronto, scambio
di idee e di punti di vista.
La comunicazione, l’aggregazione, il
confronto e anche lo scontro potrebbero generare conflitto sociale e dunque
ogni luogo potenzialmente “eversivo” da questo punto di vista deve essere
abbattuto, ostacolato, arginato o chiuso.
Cercare
di scardinare, di dividere fisicamente il popolo è la manifestazione inquietante dell’
esercizio repressivo da parte del potere, divisione che viene esercitata con un
raggio di azione totale, se pensiamo appunto al Daspo cittadino quindi
all’impossibilità di aggregarsi anche soltanto per puro divertimento: solo
pochi giorni fà a Roma zona Trastevere nelle ore serali a qualche ragazzo che
passeggiava chiacchierando è stato intimato da Carabinieri a piedi (ormai
costantemente presenti nelle vie delle zone centrali) di “abbassare” la voce …
Se sei dunque “lavoratore” devi
considerare nemici i tuoi colleghi, se sei tifoso non devi “osare” di usare il
tuo ruolo appunto da tifoso per pensare ad altre questioni sociali (pensiamo
agli striscioni su Cucchi e Aldovrandi sistematicamente sequestrati), se sei
studente non puoi avere l’ardire di uscire la sera e divertirti e, se lo fai,
solo a bassa voce …
La tentazione di aprirsi ad un conflitto sociale è
sistematicamente repressa attraverso i
tipici strumenti che hanno la funzione di spostare l’attenzione: “sicurezza
e legalità”.
Oltre quindi alla “paura” , vecchio ma sempre efficace
spauracchio per tenere chiusa in casa la gente, questa volta l’aggravante è
costituita dalla cosiddetta “garanzia di legalità”…
Uno strano modo di esercitare la
legalità, una sorta di doppio binario attraverso il quale per esempio, sempre
rimanendo a Roma, non si scioglie una Giunta Comunale inquinata (neanche dopo l’arresto di De Vito) ma si
chiude una curva di uno stadio all’interno del quale non si verificano da
tempo episodi di violenza .
Una strana legalità quella di un
Paese dove occupare una casa è diventato reato ed il falso in bilancio è, invece,
prova di abilità e competenza professionale;
dove cambiare posto allo stadio prevede sanzioni pesanti ma dove la
lotta all’evasione fiscale di fatto non c’è.
Una ancor più strana legalità che con il Decreto
sicurezza di Salvini raggiunge il suo apice laddove si istituisce di fatto il reato di
“protesta”, visto che per presidi di lavoratori non autorizzati si rischia dai
2 ai 7 anni quando per i reati dei
colletti bianchi il massimo della coercizione è l’arresto domiciliare.
In questo, solo apparentemente
confusionario modello di società, in realtà appare evidente la determinazione a
sradicare anche l’appartenenza che ognuno di noi sente verso una “classe
sociale”.
Infatti
si tende a delineare la figura del brutto e cattivo che osa ribellarsi al
sistema avulsa dal suo essere comunque
anche cittadino quindi studente o lavoratore o piuttosto pensionato se non
disoccupato, e dunque contro chi lotta si possono fare leggi speciali,
anti-costituzionali e fasciste relegando “chi dissente” e le classi subalterne in
un ghetto ben preciso.
E forse qui si chiude il cerchio del disegno sociale
che si va delineando: una società che tende all’esclusione sociale, con pochi ricchi i quali sicuramente non
frequentano le curve degli stadi ma forse solo le tribune, che senz’altro non
hanno la necessità di occupare case ma quella di essere il più possibile
tutelati per eventuali “reati tributari”; gente che non ha bisogno del sussidio
di disoccupazione o di migliori condizioni di lavoro ma piuttosto di essere
assolti per disastri ambientali.
D’altra parte il “dividi et impera” ha sempre
funzionato e se costruire una gabbia che chiuda l’individuo in tutti i suoi
“ruoli sociali” potrebbe essere piuttosto complicato, scippare ad ogni singolo
individuo la sua trasversalità di
cittadino e confinarlo in un unico profilo per poi annichilirlo, diventa
un’azione repressiva a cui ci si dedica con metodo. Non c’è niente di
occasionale nell’azione delle forze che oggi dominano la scena politica.
E forse la risposta potrebbe stare proprio all’interno
di questa contraddizione, le nostre provocazioni e le nostre proposte
dovrebbero essere trasversali alle classi sociali, dovremmo affrontare temi
spiazzanti da questo punto di vista per essere di nuovo convincenti ed
inclusivi … se il potere chiude e relega in spazi angusti, non solo fisici ma
anche e soprattutto mentali, noi dovremmo essere e praticare altro.
Tonino e Alessandra
Osservatorio Represione