Mi affanno a percorrere la mia strada avendo sempre un obietto davanti da cercare di raggiungere. Mi sveglio, al mattino, e mentre cerco di rendermi presentabile per affrontare quello che resta della mia vita sociale il mio dovere già mi attanaglia, perfido e voluttuoso, imperativo, cogente, ineludibile.
Mi immergo nel traffico e vorrei essere altrove mentre la radio gracchia qualcosa che non ascolto più da tempo oramai; sbraito contro qualcuno che non conosco pur se mio prossimo e parente di dna, poi timbro un cartellino che mi assicura un pasto, un vestito, una vacanza e tutto quello che posso acquistare perso nella spirale del consumo ad oltranza, del bisogno di possedere, del nuovo ora, cercando di sublimare un vuoto silente.
Infine torno, sempre affranto, compenetrato e vinto dall'insostenibile convinzione che ci debba per forza essere qualcosa di migliore di questa frenesia che mi corrode, seppur patologica in questo secolo, confuso e abbattuto fra bollette, assicurazione, pay per view, scadenze improrogabili, necessità varie, pranzi di lavoro e cene con amici, aperitivi solitari, mostre impedibili e spettacoli da prenotare, macchina da cambiare, moto da aggiustare ...
Ieri sera, dopo aver cenato nel mio posto preferito sono rientrato a casa e immerso in un silenzio irreale mi sono messo alla finestra fissando il buio della notte ... ed ho iniziato a cercare il suo volto in quell'indefinito spazio etereo dove brillano stelle ... ed ho preso ad immaginare un suo sguardo compiacente, una sua carezza detergente ... nell'istante esoterico ed incantato nel quale i suoi occhi hanno incrociato i miei nel ristorante tutto è sembrato meno oscuro ... divenendo infine chiaro nella trasfigurazione dell'alba dietro i vetri ... cosa mi resta se non l'amore ...