"il primo pittore italiano a essere sensibile ai mutevoli stati dell'animo" (Bernard Barenson, che riscoprì l'artista rinascimentale nel 1894 collocandolo fra i grandi maestri).
Non conoscevo il Lotto, così oggi sono andato alle Scuderie, che sono un posto pazzesco con una visione dal Quirinale nelle finestre che illuminano l'uscita da lasciare senza fiato, e me lo sono gustato per circa tre ore. Atipico personaggio del suo tempo, inquieto, solitario, errante, ansioso, misterioso, concluse la sua vita da oblato nella "Santa casa di Loreto" (1556 - la sua data di nascita è sconosciuta ma le fonti storiche l'attestano attorno al 1480).
Quello che colpisce, in special modo nelle opere al piano terreno, tutte di carattere religioso, è l'uso spregiudicato dei colori, violenti a tratti; i suoi rossi ed i suoi azzurri ti incantano e rapiscono (per far brillare la tonalità, usava mescolare i pigmenti con vetri macinati), e non ti lasciano andare via facilmente. Seppur non appasionato dell'arte devozionale (sopratutto per l'esasperato simbolismo), le opere esposte al piano terreno mi hanno profondamente colpito, per i colori, appunto, la grandezza (le pale arrivano ad essere alte 4 metri e mezzo) e per la sua libertà di espressione, carica di inventiva. Meno attraente il secondo piano, dove sono esposti i ritratti. Magnifico è il "Triplice ritratto di orefice", ma nel complesso, non amando neanche la ritrattistica, non ho ricevuto le medesime sensazioni dei dipinti religiosi.
Da non perdere questa copiosa mostra, unica nel suo genere, dove non è dipinto il "trionfo dell'uomo ma gente che chiede consolazione alla religione", perché "i viaggi l'avevano messo in contatto con le miserie d'Italia" (Barenson).
Un'immersione spirituale, Il Cristo deposto nel sepolcro a mia sensazione ne è l'apice, un fecondo trasporto in un arte di un pittore famosissimo al suo tempo e poi dimenticato, che ora, anche grazie alle Scuderie ritrova la sua giusta collocazione fra i grandi di tutti i tempi.
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