lunedì 17 novembre 2014

CINQUE DOMANDE A: ANTONIO ADORNATO

 





Antonio Adornato
nato a Roma il 22/11/1961
Componente esecutivo nazionale Agenzie Fiscali RdB/CUB
(Rappresentanze sindacali di base USB Unione Sindacati di Base) - Esecutivo Nazionale Pubblico Impiego
Attività Sindacale dal 1994 al 2010


 
Cosa è oggi il sindacato?
Il Sindacato nasce quale organismo di tutela dei diritti dei lavoratori e tale scopo non deve e non può conoscere limiti temporali.
Il raggiungimento di tale scopo si ottiene attraverso il conflitto, unica modalità possibile e praticabile che il Sindacato deve, a mio parere, intraprendere. Attualmente, però,  la maggior parte delle OO.SS. ha preferito intraprendere  altri percorsi tant’è che la Concertazione è ad oggi l’istituto principe   che regola i rapporti sindacali.
La concertazione, che spesso degenera in una vera e propria cogestione con la controparte, ha determinato la distorsione del conflitto stesso, perché si base sull’idea comune delle due parti di arrivare ad un accordo che le favorisca entrambi. Ciò è la prova provata che il sindacato per l’esercizio della sua funzione non può prescindere dal conflitto.
Una sigla unitaria, che raggruppasse tutte quelle esistenti, non sarebbe auspicabile? In sostanza un pensiero univoco…
In Europa il sindacato unitario non esiste ad ogni “sigla” corrisponde una propria politica del lavoro. Anche qui assistiamo alla esasperazione di questo concetto per il quale “alcune sigle” immemori della vera mission portano avanti una politica sindacale annacquata, finalizzata al mantenimento della propria struttura organizzativa che guarda più agli interessi specifici dei propri iscritti dimenticando il ruolo di tutela dei diritti di TUTTI i lavoratori, iscritti e non. Tale modus operandi è consentito dalla mancanza di una legge seria sulla rappresentanza, edulcorata da accordi quadro specifici per il Pubblico e per il Privato, la cui degenerazione consiste in elezioni per la rappresentanza all’interno di alcune categorie, dove è garantito uno zoccolo duro alle sigle storiche le quali si sentono legittimate alla cogestione dell’azienda piuttosto che della fabbrica. La democrazia necessita di più voci affinché la tutela sia a 360°. In Italia, oggi, abbiamo bisogno di una nuova legge sulla rappresentanza che dia la possibilità ad ogni lavoratore di scegliere liberamente da chi essere tutelato e rappresentato, anche perché siamo arrivati al paradosso per il quale, così come nel mondo politico, i vertici sindacali sono completamente scollati dalla base.
Marini e Bertinotti presidenti delle Camere nel medesimo Governo, esempi massimi della commistione, oramai acclarata, del sindacato con la politica; trovo profondamente scorretto che sindacalisti (anche con l’ex davanti) ricoprano cariche sociali di vario tipo …
L’alterazione delle politiche sindacali alla quale abbiamo assistito ha generato una commistione anche dei ruoli ricoperti. D’altra parte chi ha avuto un ruolo all’interno del tipo di Sindacato di cui sopra, è in grado tranquillamente di ricoprire un ruolo all’interno dei Partiti e quindi anche una carica istituzionale. Il problema è a monte: il sindacato è diventato un carrozzone autoreferenziale svuotato del nobile contenuto per il quale è nato, così come la politica ha dimenticato il suo vero ruolo. 
Cosa  è possibile leggere nel domani della rappresentanza dei lavoratori? La tutela del lavoro, nelle varie forme nelle quali si esprime oggi e che, probabilmente, saranno ancora più varie nel futuro, sarà ancora possibile sulla base dell’ideologia in corso?
La debolezza dei partiti e la carenza di dialettica politica relativamente soprattutto alle politiche sociali, ha “costretto” il Sindacato a farsi carico di problematiche che dovrebbero, viceversa, essere affrontate dalla politica in senso stretto. Se pensiamo a quanto la politica sia latitante nei confronti delle problematiche veramente sociali quali l’immigrazione, la disoccupazione, i problemi abitativi, carovita capiamo perché oggi il sindacato, soprattutto quello lontano dalle logiche di cui sopra, è stato chiamato dalla società stessa a coprire questi spazi. E dunque il sindacato non rappresenta più soltanto i lavoratori in senso stretto,  ma tutte le classi sociali a vario titolo sofferenti.
Dall’altra parte il mondo del lavoro non si è evoluto nel senso di conquista di maggiori diritti ma si è modificato, anzi è stato modificato in modo tale che non ci fossero gli spazi preposti all’esercizio del ruolo sindacale. La precarizzazione attraverso la miriade di contratti cosiddetti flessibili trancia di netto la possibilità di “avere diritti” da parte di lavoratori che sono riconosciuti tali dalla legge solo nella parte che riguarda i doveri. La politica qui sì ha giocato un ruolo determinante perché non solo ha stravolto le regole del gioco ma ha scientemente scelto di schierarsi da una parte sola, quella del datore di lavoro: facendo leva sul senso di responsabilità dei cittadini e sulla crisi, ha istituito contratti di lavoro a senso unico, guardandosene bene di legiferare relativamente alle tutele. Questo tipo di  lavoratore è stato isolato, lasciato completamente solo, in balìa di pseudo-contratti che definire “punitivi” è comunque poco. Parallelamente, poi, nel mondo del lavoro cosiddetto tradizionale, assistiamo ad un arretramento sostanziale dei diritti acquisiti è per questo che tutto il mondo del lavoro oggi chiede a gran voce una nuova legge (forse il job act?) che finalmente ridetermini le regole del gioco, riconoscendo al Sindacato il ruolo che gli compete. Le lotte dei lavoratori degli anni 60 portarono alla legge 370/69, una legge quale tutela di TUTTI i lavoratori dipendenti, una legge che codificava anche la funzione del Sindacato. Oggi abbiamo bisogno di una nuova legge che abbracci tutto il mondo del lavoro. 
La tua esperienza … gioie e dolori … lo rifaresti?
Lo rifarei, l’esperienza è positiva …
I dolori più grandi: il vedere spesso che l’interesse personale vincesse su quello generale cosi come il sentirmi “inadeguato” visto che sovente sui tavoli di trattativa non erano presenti rappresentanti dalla “mente libera”.
Gioie tante, risultati importanti e la consapevolezza che alcune iniziative furono importanti e portarono giovamento ai lavoratori TUTTI (salario accessorio in busta paga).
Anche il rispetto dimostratomi dalla controparte fa parte, in un certo senso, delle soddisfazioni ...
Lo rifarei sempre però con la consapevolezza che il mio tempo era finito lì anche se dopo quattro anni i nomi dei sindacalisti sono rimasti gli stessi, eccetto il sottoscritto.
Ho conosciuto Antonio poco tempo fa ... ed un giorno gli ho proposto questa intervista. E' passato ancora qualche tempo prima che mi desse le risposte alle domande che gli avevo posto. E il motivo del tempo trascorso è tutto nelle risposte che mi ha dato.
Antonio è una mente lucida, che vive nel reale problematico di tutti noi. La mia idiosincrasia ai sindacati è nota, come è nota la mia ferrea volontà nel difendere quello che resta dei diritti di chi lavora; ho voluto ascoltare, quindi, cosa aveva da dirmi il Sindacato in proposito e ho avuto dietro le risposte che cercavo.
Ho ascoltato un Sindacalista vero, al di là degli stereotipi ideologici nei quali siamo caduti, ed un uomo vero, il cui credo può concentrarsi nella risposta all'ultima domanda ... ho pensato e ripensato a quello che mi ha detto e, sinceramente, devo dire che non ho trovato nulla che non sia condivisibile ...

mercoledì 12 novembre 2014

l'onore, la gloria, la solitudine


ho inseguito per tutta la mia vita qualcosa che non ho mai conosciuto, cavalcando un desiderio di cui non ho mai goduto.
ho appreso, consumando pagine di libri, gomiti, occhi, tempo, cellule celebrali ... fagocitando me stesso nel mio delirio di onniscienza, spegnendomi lentamente, distaccandomi dal reale.
ho creduto di poter un giorno sapere, espandendo la mia ram per ospitare più giga, in una trance ipnotica di mascherata trascendenza.
ho parlato con me stesso, percorrendo strade sterrate nei boschi che ho usato come rifugio per nascondermi, mimetizzarmi, evaporare inghiottito da un rutilante silenzio.
ho pensato, disteso sul letto nel buio di una stanza, angusta come una prigione, immensa come lo spazio siderale, vuota come una città bombardata, rigogliosa come il giardino dell'eden.
ho pianto, come un bambino privato dei giochi, dell'affetto, dell'amore.
ho inseguito il mio fantasma, rincorrendolo in  vicoli stretti, piazze immense, autostrade senza uscita, non riuscendolo a prendere mai.
ho sorriso della mia pazzia, corrosiva come una malattia, fantastica come una bugia, desolante come l'apatia.
ho guardato dentro uno specchio, vedendo il mio viso invecchiare, il mio sguardo cadere, la mia anima cedere.
ho tentato di cercare sollievo nel proibito, cancellando quello che ero con un bicchiere pieno di nulla, rovesciando quello che non ero nella tazza del cesso.
ho continuato, in una catarsi autodistruttiva, a cercare di demolire quello che pazientemente ho provato ad erigere.
ho pregato, che il mio cuore cessasse di battere mettendo fine alla mia follia.
ho amato, senza comprenderne il vero significato, ammaliato dal possibile, vinto dall'impossibile, cullato dal vento che non ha origine ma solo una destinazione.
infine ho aperto gli occhi, scoprendomi nudo nell'alba dell'uomo, incapace di esprimere un senso compiuto nella solitudine dell'ignoranza.
cammino ora in un qualcosa che non m'appartiene, distante e distaccato da me stesso, come un corpo alleggerito dello spirito, naufrago nell'isola più lontana del mondo conosciuto.
senza più parole, privato dei sensi, obnubilato nella ragione, avanzo in compagnia di una bambola voodoo nella quale  conficco spilli per provocarmi dolore.
un dolore che non può più essere lenito, perché resto incapace di donare una carezza, perché resto incapace, più di ogni altra cosa, di riceverla ...

domenica 26 ottobre 2014

CONSIDERAZIONI ALEATORIE SULL'AMORE


(estratto da "SETTE VOLTE L'AMORE)
 

Arriva un momento, nella vita, nel quale tutto diviene chiaro, manifestandosi in una luce abbagliante; un momento nel quale tutto cambia, e nulla resterà com'è.
Può apparire incomprensibile mentre germoglia, ma diviene ineluttabile allo sbocciare.
E occorre prenderne atto, anche, a volte, contro l'istinto di conservazione che permea la vita dell'uomo.
Quando arrivi il momento, o a cosa conduca, è imprevedibile; in piena sintonia con il mistero stesso che ci permette di vivere.
Azioni e reazioni  rappresentano il quotidiano, quello che siamo, che vogliamo; interagire con gli altri lo scopo stesso dell'essere. L'animale sociale si è strutturato, si è dato delle regole, codici comportamentali, e in ragione di ciò nutre aspettative dal suo prossimo, cercando un equilibrio che gli garantisca una certa stabilità.
E in questa presunta stabilità egli muove, intrecciando rapporti che gli consentano di promuovere se stesso, affermandosi come persona, nella dimensione societaria nel quale è attivo.
L'interagire è concludente, conduce, o dovrebbe condurre, ad un risultato.
Nel dipanarsi del quotidiano egli crea e distrugge, molte volte inconsapevolmente; parole, silenzi, gesti, moti facciali, lo rappresentano e lo definiscono.
Ma tutto viene diluito dallo scorrere del tempo e gran parte di quello che accade sembra apparentemente fine a se stesso, fagocitato dalla voracità stessa del vivere, che cannibalizza istanti, frantumandoli in sfumature che il più delle volte vengono smarrite nell'incomprensibile archivio del suo cervello.
Vive, come crede debba farlo, in ragione di quello che ha appreso; per convinzione, per imitazione, per senso di appartenenza, per paura.
Il suo mondo, confinante con gli altri, ad un certo punto non gli basta più. Non ha l'autosufficienza necessaria a continuare, avverte la necessità di espanderlo.  
In ragione di ciò, fra gli umani si stabiliscono relazioni  particolari, che nascono e si nutrono del sentimento chiamato amore; due persone si incontrano e qualcosa di irrazionale li attrae, gli fa perdere il controllo di se stessi e li unisce.
L'innamoramento produce una sorta di oasi, un incredibile stato di felicità, una nuvola estatica impossibile da definire; uno stato alterato della realtà, una magia.
Cosa sia o da cosa tragga origine non è dato saperlo, nonostante i fiumi di parole spesi per definirlo; tutto quello detto ha un senso seppur deficitario di un qualcosa che non comprendiamo; perché lei o perché lui non è chiaro, semmai volessimo saperlo.
L'amore è la poesia dell'uomo per eccellenza; ciba il suo ego, lo soddisfa, lo conduce nel paradiso terrestre circondato da meraviglie che non poteva mai credere di vedere ...

domenica 5 ottobre 2014

ABOUT ME

... e così, senza neanche accorgermene sono arrivato alla mia terza pubblicazione ... dopo "Una vita perfetta" e "In dodici ore circa", il primo ottobre ho pubblicato anche "Sette volte l'amore".
Ognuna di esse ha un approccio diverso di scrittura: dal classico romanzo di una vita perfetta, alla sceneggiatura romanzata di in dodici ore circa, per arrivare ai dialoghi corrosivi di sette volte l'amore.
Non avendo, inoltre, mai presentato un libro stavolta per questo ultimo lavoro ho deciso di fare promozione con un video, visibile su questo blog e su you tube, con l'aiuto di Andrea Vona, che ha composto la musica e montato le immagini.
Mi sembra che il risultato sia stato soddisfacente; per noi, comunque, lo è.
E condividere questa esperienza è stato molto costruttivo; lavorare assieme è stato coinvolgente e molto, molto gratificante.
Il lavoro completo mi ha preso quasi due anni di tempo fra il progettarlo e vederlo, infine, pubblicato. Ho optato per il self publishing, con l'hub Frenico, dopo le prime due esperienze con editori classici, ovvero la stampa del prodotto e l'acquisto in libreria, soprattutto perché così l'opera è facilmente reperibile (basta scaricare un lettore tipo Kindle sul supporto che si ha in uso) ed ha costi molto, molto contenuti (il prezzo di acquisto è di Euro 3, 99).
... Arriva una momento, nella vita, nel quale tutto diviene chiaro ... un momento nel quale tutto cambia, e nulla resterà com'è ... e nel complicato rapporto tra uomo e donna quel tutto può assumere contorni indecifrabili ...
In questa brevissima sinossi dell'opera ho cercato di racchiuderne l'idea, il senso non più ottuso ma acuto di quel momento nel  rapporto d'amore; rapporto contestualizzato nel frenetico modello sociale che viviamo, dove, a mio modo di vedere, la causalità continua  degli eventi ed il loro continuo intrecciarsi, abbinati alla profonda crisi comunicativa esistente,  ne hanno radicalmente cambiato il significato.
Il nostro modo di vivere non è più lo stesso, pur nell'apparente staticità e stabilità che forse vogliamo, per forza di cose, affibbiargli.
Emerge un senso di solitudine, seppur non di abbandono; riaffiora, di contro, una volontà di recuperare valori apparentemente sopiti, facendoli uscire da una visuale egocentrica, per radicarli in un contesto sociale più vivibile e meno affettato, nel quale non fare o dire la cosa corretta ma la cosa giusta, da dire o da fare.
La scelta del dialogo per arrivare a "fare" nasce dalla mia profonda inquietudine per l'imposizione coatta e silenziosa delle scelte, molte delle quali derivanti da costruzioni mentali deviate dai flussi mediatici che inondano il nostro quotidiano, nei quali fluttuiamo più o meno consapevolmente.
A volte la decisione più rapida potrebbe essere quella socialmente più condivisibile, ma non è detto che sia quella che ci porti più sollievo o beneficio. A volte la decisione più sofferta ma non aderente al modello che viviamo può tradursi in un futuro più sereno e felice.
Non lo so. Non conosco verità, vivo perennemente nel dubbio. E nel dubbio mi pongo domande, ma queste domande vorrei farle e non subirle solo su me stesso, cercando risposte che il più delle volte non ho.
Parlare, affrontare l'altro senza remore in un incontro produttivo, fondato non sulla "paura" di dire, ma sulla libertà di farlo. Sentirmi libero nel rispetto della libertà altrui, non nascondendomi nel politicamente corretto che è stato la stella polare sociale dell'ultimo decennio e più.
L'amore, inteso come rapporto uomo donna, può rappresentare il simbolo, per me, di questa nuova età dell'oro che dovremmo cercare di vivere, non assuefandoci a regole imperative non scritte ma, di fatto, imposte dalla sovrastruttura che regola la nostra società.
La società siamo noi, e le regole per viverla dovremmo imporle noi. Con il dialogo, positivo e non urlato, perché non c'è bisogno di alzare i toni per affermare un pensiero, se il pensiero che vogliamo proporre ha un fondamento ...
 

martedì 23 settembre 2014

SS (Sindacati Stantii)


Incastonati nell'apogeo del loro successo che li ha visti protagonisti attivi della politica italiana fra la fine degli anni '70 e gli anni '90, pietrificati dentro il loro sistema anacronistico, abbarbicati alla gestione di varie forme di potere, inespressivi come gli uomini senza volto di Magritte, i Sindacati Stantii italiani rappresentano oggi le SS del lavoro che non c'è.
Ululanti nel deserto occupazionale come iene in cerca di cibo, affondano i loro denti nei cadaveri putrefatti dei lavoratori italiani ancora attivi in cerca di brandelli di autostima, fagocitando pagine di giornali e servizi televisivi brandendo l'unica arma che abbiano mai saputo usare, la scure dello sciopero, scevra ormai di capacità tagliente.
Hanno un colpevole per tutto ed una soluzione per tutti; illustrano a menadito la filosofia marxiana della Sovrastruttura e spiegano come applicarla ai tempi moderni ricollocando il Capitale dalla fine dell'800 nel XXI secolo, profondendo oralmente teorie economiche all'avanguardia.
Profeti del futuro, tutelano in maniera impeccabile quello che non c'é assicurando che un giorno ci sarà, elevando così spiritualmente schiere di giovani depressi in cerca di occupazione.
Chiedono democrazia, pur vivendo al loro interno il sistema più antidemocratico che c'è; eleggono i loro capi con il sistema feudale della spada sulla spalla, ovvero trasmissione ereditaria di potere.
Chiedono trasparenza, ma tutto quello che riguarda le loro organizzazioni è criptato, a tutela del messaggio massonico di conoscenza del quale sono depositari e guardiani.
Chiedono, chiedono e non danno; non un posto di lavoro retribuito, non un gesto benefico di solidarietà economica verso gli esodati: reclamano si, ma quello che conta è che sia tu a darlo.
Nel dramma politico ed economico che stringe l'Italia in una morsa che potrebbe essere fatale, i Sindacati Stantii interpretano la farsa; SS in cerca di autore, SS in cerca di un motivo per esistere, SS che hanno avuto un ruolo primario nella conduzione del nostro Paese a questa commedia che non fa ridere più nessuno.

mercoledì 17 settembre 2014

SS (Selfie&Suv)


Le forze dominanti della società odierna sono le nuove SS, Selfie&Suv.
Se non ti selfie e non possiedi un suv non appartieni ad una razza superiore, non domini , non ti elevi, non sei socialmente inserito; non esisti.
Le nuove SS dettano legge, rimuovendo ogni ostacolo sul proprio cammino. Impongono moda e riti, occupano spazi comuni, creano  ingorghi, postano l'elegia dell'appartenenza.
Possiedono l'eleganza francese, la nobiltà inglese, l'efficienza tedesca e l'agilità di un pachiderma. Sono estemporanee, seppur gerarchicamente organizzate e strutturate come solidali camerati, invadenti, come Strurmtruppen, ma discrete, come James Bond all'aperitivo.
Prolificano nell'Agorà contemporaneo dei social; puoi vederle fuori le scuole nel defilé mattutino e pre-pranzo; nei parcheggi delle palestre cool; nella pagine rotocalco dei quotidiani nazionali.
Hanno sempre qualcosa da dire; qualcosa da mostrare; qualcosa da voler fare imitare.
Profondono saggezza e stile; epurano l'impresentabile, occupano posti riservati salendo sui marciapiedi (my Tank can ...), parcheggiano in doppia fila lasciando scie profumate.
Conoscono quello che c'è di necessario conoscere; pensano quello che è necessario pensare; dicono quello che è necessario dire.
Sorridono sovente, elargendoli ai carneadi ...
Selfie&Suv, ergo sum ...

martedì 16 settembre 2014

5 DOMANDE A: SIMONA ROSATELLI


Simona Rosatelli (Marino, 1970)
Educatrice di asilo nido.
Poetessa.
A dicembre 2012 ha pubblicato la raccolta di poesie "Datemi ancora una parola".

La poesia con la rima cadenzata utilizzando il metro canonico ... sembra di fare un viaggio nel tempo leggendo i tuoi versi;  invece così attuali ... come nascono?
 
I miei versi nascono in modo spontaneo, nei momenti più toccanti del mio vivere. Ritengo che questa sia cosa comune ad ogni poeta. Scrittori lo si può diventare (e in questo tu hai di che insegnare), ma poeti no. La poesia nasce dall'anima, è frutto di dolore, passione o gioia. E' per questo che tra una mia poesia e un'altra intercorre a volte un lungo spazio temporale, perché in esse non vi sono forzature: l'ispirazione quando viene, viene. Quanto alla rima cadenzata, sebbene ritengo sia un dono per la naturalezza con cui mi sorge dal cuore, credo tuttavia che abbia avuto modo di radicarsi in me così profondamente a seguito dei miei studi liceali, dove ho avuto i primi approcci con i poeti classici (come Leopardi, Carducci ecc.) e con i più moderni (quali ad esempio Montale).

Da "Datemi ancora una parola" a "Quel che manca è una parola" ...  l'hai trovata "quella" parola?

"Datemi ancora una parola per dire ciò che penso o la mia vita tacendo non avrà più senso".

La libertà di espressione è un Diritto di ogni essere umano e un Dovere di tutti garantirla. Stante il fatto che la libertà di ognuno finisca laddove inizia la libertà degli altri, tutti dovremmo avere spazio e diritto di esprimerci in ogni luogo. Ma i miei versi vogliono esprimere oltre che un diritto un bisogno di comunicare, in una società dove c'è sempre più incomunicabilità, in una società individualista, priva di valori e sentimenti veri. Da ragazza ho vissuto con difficoltà questa voglia di esprimermi per dire ciò che pensavo: ho ricevuto un'educazione molto rigida ed ho faticato a trovare ed esprimere il mio vero essere. Oggi ritengo di averla trovata quella parola e ne ho trovate tante altre, che mi hanno permesso di esprimermi pienamente come donna e come persona.
"Vorrei quel tempo di semplicità per non perdermi nelle futilità"; "Tempo irreale, inconsistente, sei tutto e non sei niente" ...  questi due versi (da "Vorrei" - 1991 e da "Tempo perduto" - 1992) li hai scritti da giovanissima, ma sembrerebbero appartenere a considerazioni di una età più matura. Cosa ti sfugge del "tempo"?
In virtù, come ti dicevo, di una educazione piuttosto rigida, ma anche delle forti esperienze personali che già da bambina mi hanno segnata, hai ragione nell'affermare che le mie a 21/22 anni fossero considerazioni di chi al tempo era cresciuto più in fretta. Non ho avuto spazio, né libertà di vivere a pieno la mia adolescenza o di fare le esperienze e gli errori che competono quel periodo nella vita di ognuno. All'epoca già sentivo il peso della vita e non avvertivo lo stesso senso di leggerezza di alcuni miei coetanei. Percepivo già una carenza di valori, l'inconsistenza e l'irrealtà del tempo che scorreva frenetico senza lasciarmi spazio per recuperare le tappe che avevo saltato. Oggi, da adulta, credo che il passare del tempo non rappresenti più un limite per me. Dopo che due anni e mezzo fa ho avuto il cancro, vivo giorno per giorno non guardando più al futuro come a qualcosa che è troppo in là. Il mio futuro è adesso, è oggi ... e cerco di vivere a pieno la vita, amandola e rispettandola. Nell'ultimo anno insieme alla mia famiglia ho fatto anche una scelta di alimentazione vegetariana (sia per motivi di salute sia per motivi etici). Non mi perdo o almeno cerco di non perdermi nelle futilità, perché ho imparato che nella vita a contare di più sono le persone e non le "cose", mentre oggi tutti si affannano per ottenere e raggiungere "cose" o uccidono per toglierle agli altri.

La vigorosa prefazione di Aldo Onorati alla tua silloge è stata una sorpresa per me ... per te un 
onore, credo ...

La prefazione di Aldo Onorati, carissimo amico di famiglia, è un vero onore, in quanto gli avevo proposto la lettura della mia silloge con un certo timore. Lui è un professore, uno scrittore e un poeta illustre, pertanto il mio sentirmi "niente" rispetto alla sua persona, mi aveva messo in crisi da principio nell'avergli proposto di leggere i miei versi. Oggi ne vado fiera e lo ringrazio di cuore per i consigli che mi ha dato in privato e per le parole con cui si è espresso riguardo il mio modo di scrivere.
 
Infine, per chiudere, una riflessione sul tuo ruolo sociale. Essere oggi un educatrice cosa comporta?

 Essere un'educatrice oggi per me oltre che una vocazione rappresenta una missione. Viviamo in una società che fa veramente schifo, consentimi questo termine. Siamo come un rudere diroccato e a breve cadremo a pezzi del tutto. La contraddizione è il nostro leitmotiv. Cerchiamo di costruire il futuro, la carriera, la casa, la famiglia, ma poi distruggiamo il nostro pianeta giorno per giorno, minuto per minuto. Non c'è più rispetto per l'infanzia, perché i bambini vengono sempre più lesi da violenza o indifferenza. Ecco io credo che nei bambini sia riposto il nostro vero futuro, per questo dobbiamo prendere seriamente in considerazione che educarli non è un gioco. Dobbiamo educarli "rieducandoci". Non si educa solo a parole, ma soprattutto con l'esempio. Dobbiamo insegnare loro il rispetto per ogni essere vivente e dunque per tutto il pianeta (rispetto che noi adulti non abbiamo). E' nostro compito trasmettere loro il messaggio che il futuro dipenda dalla loro capacità di amare e rispettare se stessi e gli altri. Tanto più ameremo i nostri bambini, tanto più essi ameranno gli altri e li rispetteranno e tanto più ci sarà civiltà e il nostro pianeta vivrà più a lungo. Ma rispettare i bambini ed amarli non significa lasciarli crescere come un fiume senza argini. Bisogna educarli e contenerli nelle regole, ma sempre con amore, essendo autorevoli piuttosto che autoritari.
 
ANGELI SENZA ALI (2012)

Angeli senza ali,
distillati di bontà senza uguali:
vigilanti anime sofferenti,
gladiatori feriti senza paramenti.
Camici bianchi macchiati dal dolore,
anime afflitte dal sorriso di chi muore.
In lotta per la vita che giovane si spezza,
senza raggiungere la sua interezza,
o che vecchia, affaticata,
si spegne sconsolata.

Angeli con la maschera del sorriso,
precipitati lenti dal Paradiso.
Angeli dalla tristezza repressa,
echi di voci nella gente oppressa.
Eroi silenziosi senza gloria
che lasciano il segno
nella mia storia.
 
Il mondo di Simona è un mondo complesso nella sua semplicità apparente, un mondo che l'ha vista adulta già nella sua adolescenza. I suoi versi navigano agitati in questa profonda inquietudine, cercando forse un approdo sicuro nella loro stessa scrittura. Una ricerca non ossessiva ma continua, nello scorrere del tempo che non può essere drenato, ma che oggi può essere accompagnato ("Vorrei farmi compagnia/ e senza fatica/ essere ancora amica mia" - da FEBBRAIO 2003"). E in questo vortice le sue parole ti lasciano sempre uno spazio di riflessione su quella che, a volte,  sembra l'inerzia della vita ("Sembrava 'n giorno come tanti/ quella domenica d'agosto:/ er corso tale e quale/ i negozi ar solito posto" - da 14 AGOSTO 1989). Appropriate e concludenti mi appaiono, quindi, ora le parole usate da Aldo Onorati nella sua prefazione: "Simona ha un pensiero sotteso alla sua scelta metrica, una visione della vita amara, dolorosa, che ella porge con la massima sinecura dell'intreccio poetico, raggiungendolo, invece, proprio là dove meno se lo aspetta lei stessa ...".







 
 
 
 
 

sabato 13 settembre 2014

RIFLESSIONE SULLA LIBERTA'

... E così sei tornato, farabutto, ficcanaso che non sei altro? Vuoi tornare ad affliggerci e tormentarci, desideri ancora esporre i nostri corpi ai pericoli e costringere i nostri cuori a prendere nuove decisioni? Com'ero felice; potevo sguazzare nel fango e crogiolarmi al sole; potevo trangugiare e ingozzarmi, grugnire e stridere, ed ero libero da pensieri e dubbi: "che devo fare, questo o quello?". Perché sei tornato? Per rigettarmi nell'odiosa vita che facevo prima?
 
Così il marinaio Elpenoro si rivolge ad Ulisse nell'Odissea dopo che questo l'ha riportato nella sua condizione naturale di uomo che aveva dovuto lasciare per l'incantesimo subito dalla maga Circe, che l'aveva tramutato in scrofa (come gli altri suoi compagni, tutti poi fuggiti alla vista dell'eroe omerico che voleva aiutarli).
 
I marinai avevano lasciato la loro vita umana, ma erano oltremodo soddisfatti di vivere quella nuova, da animale ... si sentivano più liberi, meno condizionati, affrancati da responsabilità e sgravati dal dover prendere decisioni; erano inoperosi e si beatificano del sole splendente ...
 
Si sentivano liberi ... perché?
 
La nostra libertà è vera? Esiste? E se si, in che cosa consiste? La rigidità che comporta il quotidiano, scandito da orari improrogabili, da impegni imperdibili, dall'ossessione del guadagno, dalla necessità del possesso, di avere relazioni consolidate, di gratificarci, di cercare sempre e comunque qualcosa che manca, anche se non si sa bene cosa, è veramente libertà?
 
Vivere immersi in regole, in una struttura societaria colma di obblighi e straripante di divieti, alcuni veramente ossessivi, che pianifica, volutamente, la nostra vita conducendoci per mano dalla nascita alla morte, è veramente una condizione libertaria?
 
Le nostre decisioni, volontà, non sono comunque costrette dai nostri vincoli morali insiti nel patto sociale che abbiamo tacitamente sottoscritto?
 
E se si, dove è che la nostra libertà si manifesta?
 
Se viviamo in quest'ansia del dover rispettare norme che stabilizzano la nostra socialità a pena di esclusione da questo apparente eden metaforico costruito su misura per l'uomo, siamo veramente liberi?
 
Se la trasgressione alle regole, alla quale facciamo appello per respirare un "momento" veramente libero dalla conformità appiattita sulla quale viviamo è vista, appunto, come tale, ovvero off rules, l'appartenere al sistema condiviso è una prigione?
 
E se si, è questo quello per cui l'uomo si è battuto dalla notte dei tempi?
 
Essere liberi è ormai un paradosso metaforico,  che sublimiamo nel nostro intimo enucleandoci virtualmente dalla struttura societaria precostituita?
 
Se si, perché?
 
 
 
 

venerdì 12 settembre 2014

LA PAURA DI PERDERE LA PROTEZIONE DELLO STATO SOCIALE



di ROBERT CASSEL (sociologo francese )

 http://adieuxarobertcastel.tumblr.com/post/

brano tratto da "IL DEMONE DELLA PAURA" di Zygmunt Bauman

... E' all'inizio degli anni 70 che si è iniziato a parlare di crisi, che poi si è dimostrata ben più di una turbolenza passeggera; e in effetti si trattava del cambiamento del modello di capitalismo, l'uscita dal capitalismo industriale e il passaggio a un nuovo regime di capitalismo più aggressivo che gioca orami la concorrenza più esacerbata a livello planetario. Questo nuovo modello di capitalismo danneggia gli equilibri e i regolamenti che erano stati creati prima e la cui chiave di volta era lo Stato sociale.
Si può dunque parlare, a mio avviso, di crisi attuale dello Stato sociale come rimessa in discussione di ciò che è stato definito "compromesso sociale" degli anni 60-70, vale a dire, di alcuni equilibri tra gli interessi di mercato, giocati in termini di competitività, di efficacia delle imprese e gli interessi del mondo del lavoro misurati in termini di sicurezza e di protezione dei lavoratori.
Questo equilibrio era certamente fragile e un po' acrobatico, ma garantiva di gran lunga la protezione alla maggior parte dei cittadini dell'Europa occidentale e fondamentalmente aveva permesso di procedere negli anni che hanno seguito la Seconda guerra mondiale di pari passo tra uno sviluppo economico notevole e il progresso sociale continuo in termini di diritti sociali, diritti del lavoro. Schematizzando, si può affermare che la crisi di questa forma di Stato sociale può essere interpretata come la ridefinizione, la contestazione dei due pilastri principali sui quali poggiava lo Stato sociale e cioè, innanzitutto, il suo carattere nazionale.
Lo Stato sociale si è, infatti, costruito nel quadro degli Stati-nazione come Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia e la sua forza partiva dal fatto che questi Stati-nazione disponevano di un margine di autonomia alquanto importante per definire e finanziare le proprie politiche economiche e sociali. Evidentemente, nell'era dell'europeizzazione e della globalizzazione la base su cui poggiava la costruzione dello Stato sociale si trova ad essere quanto meno più fragile ed erosa.
In secondo luogo, questo Stato sociale si è sviluppato sotto l'impulso dello sviluppo economico e della pressoché piena occupazione che ha seguito la Seconda guerra mondiale e supponeva condizioni di lavoro  stabili in una situazione salariale solida. Le trasformazioni importanti che hanno riguardato il mercato dell'occupazione si traducono ora in disoccupazione di massa o precarizzazione delle condizioni di lavoro, cassa integrazione del mondo del lavoro, che lacera profondamente questo modello sociale al quale erano collegate le principali garanzie del diritto del lavoro e della previdenza sociale ...
Ma quali sono le ragioni principali della crisi dello Stato sociale?
La prima è la perdita di potere degli Stati-nazione. Lo Stato sociale è uno Stato nazional-sociale. Questa espressione, che non ha chiaramente niente a che vedere con il nazional-socialismo, sottolinea la caratteristica che ha lo Stato sociale di essersi sviluppato in un quadro nazionale; più esattamente nel perimetro di alcuni Stati-nazione dell'Europa occidentale che avevano una posizione dominante nell'economia del mondo. Ciò significa che Paesi come l'Italia e la Francia avevano il potere di controllare i principali parametri del loro sviluppo economico e sociale e di dispiegare allo stesso tempo politiche sociali ambiziose sulla base di questo rapporto di forza in un'economia dei cambi  ineguali.
La globalizzazione degli scambi e la libera circolazione di merci e capitali fa in modo che questi Stati-nazione non abbiano più autonomia sufficiente per attuare loro stessi le proprie politiche economiche e sociali ...
Sul piano europeo sorge la questione di un'Europa sociale e, a livello mondiale, l'esigenza di istituzioni internazionali dotate di poteri reali per controllare effettivamente il mercato. Ma allo stesso tempo credo che sia sufficiente enunciare queste esigenze per vedere quanto siamo lontani dalla meta ...

mercoledì 10 settembre 2014

COEFFICIENTE DI DIFFICOLTA'


a volte mi trovo a riflettere sul coefficiente di difficoltà, inteso come conseguenze reali di un’azione ipotetica che ho in mente, in relazione agli sviluppi possibili del tentare un qualcosa che appare “realmente” difficile da realizzare;  e quali potrebbero essere le reazioni della persona o persone interessate dall’evento.
in sostanza sperimentare una idealizzazione che si è fatta strada in me e che reputo possibile, teoricamente, ma complessa da attuare e che, soprattutto, vede coinvolti elementi terzi.
le idee nascono nei momenti di abbandono, così lascivi e terapeutici. quando tutto è ipotizzabile e tutto, proprio tutto, è sotto controllo.
si dipanano teneramente e costruiscono megastrutture di pensiero sulle sabbie mobili degli istinti primordiali.
le accarezzi, le lasci lievitare, gli doni la giusta dose degli elementi che le compongono, il “quanto basta”, che è il segreto di cucina di ogni cuoco che si rispetti.
e poi attendi. che il pensiero voli via e la realtà prenda di nuovo il sopravvento.
coefficiente di difficoltà.
ah, se potessi condurle verso un unico desiderio, che sento appartiene al nostro insieme, seppur ancora sommerso e imberbe.
ma il rischio è altissimo. sono in gioco troppi fattori. personalità distanti. con orbite diverse e forze di gravità eterogenee. i calcoli sono complicati. le reazioni possibili numericamente incontrollabili. l’animo umano è imperscrutabile. quando tutto sembra andare verso una direzione improvvisamente vira, e tende, deciso, verso un altro approdo, in modo particolare quello delle donne. così emotivamente instabili, ed ancorate alle certezze che le hanno condotte fino a dove sono arrivate. soprattutto “quelle due donne" che adesso vorticano nelle correnti ascensionali dei miei pensieri.
coefficiente di difficoltà.
ma se non rischi, che vivi a fare?  
potrebbe essere ancora più semplice di quello che penso. oppure estremamente più complesso. no, no. non è il caso di addentrarmi in cunicoli privi di luce e irti di pericoli a me sconosciuti. dopotutto sono un essere razionale. dotato di buon senso. fragile si, ma ancora stabile e ben piantato nella realtà.
no, no. non è il caso. quello che verrà, se verrà, nascerà d’improvviso al diradarsi delle nebbie che oggi ostacolano la nostra vista e inibiscono i nostri sensi. almeno i miei. occorre fiducia, non programmazione. istinto, non freddo calcolo. cuore, non formule matematiche.
coefficiente di difficoltà.
e se per aggirarlo fosse sufficiente solo attendere? si, è questo quello che farò. resterò in attesa, acquattato, come un predatore. fin quando l’istinto non mi darà il segnale che attendo.
e sono sicuro che non tarderà …

domenica 7 settembre 2014

FRAMMENTI DI FILE - SURREALISMO


- nulla accomuna i surrealisti e altri generi …
- nulla?
- potremmo avvicinarli al movimento dada, forse ...
- dada?
- perché parlo con te?
- perché sono qua, adesso, con te. nuda sul divano. che bevo jack daniel's e sto ascoltando le tue derive mentali che naufragano sulla mia spiaggia deserta e assolata, dove hai cercato riparo dopo il tuo arenamento.
- non sono un naufrago.
- lo sei sempre dopo ...
- il movimento dada presupponeva una tabula rasa totale di tutto quello che era conosciuto al momento in riferimento alla realtà.
- e i surrealisti?
- i  surrealisti proponevano … anzi ancora oggi propongono una realtà che è interiore, una visione intima della realtà, che prorompe dall’anima. è  quello che ognuno vede della realtà. la propria di realtà … io vedo un fiore e lo dipingo come lo “vedo nel mio interno”, nella mia visione, un travisamento onirico delle cose come appaiono nella loro nuda crudità, un …
- ho capito!
- non hai capito nulla!
- cosa vedi di me adesso?
- vedo … vedo … vedo una statua di marmo distesa sul sagrato di una chiesa. una statua senza volto, senza anima, senza il dono della parola.
- surrealista …
 - siii!
- sei  da sempre un surrealista … sei dalì.
- dalì non appartiene al movimento, ne è stato estromesso!
- perché lo era più di tutti …
- perché in effetti …
- non citarmi  cose lette sui libri di arte, sarebbe riduttivo. per te dalì è sempre stato il massimo esponente del movimento surrealista …
- ma quanto mi conosci?
- abbastanza per saperlo.
 - abbastanza per …
-perché non mi scopi di nuovo?
- togheter … one more time …
 - one more time baby.
- e così sia!
 - moon of alabama
 - moon of alabama

e i corpi divennero di nuovo uno solo, in un crescendo di vibrazioni accordate sull’unica nota che aveva un senso al momento …  quella dell’amore ...

(Appunto preso nella sua cucina mentre cerco un bicchiere d’acqua che mi quieti l’arsura del jack e dello sforzo fatto per farle raggiungere l’orgasmo. Anzi meglio. Per raggiungerlo io l’orgasmo. Ma tanto, alla fine, che sia il mio o il suo, non è importante solo che ci sia stato?)

venerdì 5 settembre 2014

FRAMMENTI DI FILE - BACKUP


fuori piove. e dalla finestra della mia stanza al lavoro sembra piovere ancora più forte. è una pioggia fitta, che occulta la vista. semmai io abbia voglia davvero di “vedere”. cosa è in realtà che avrei voglia di vedere?

il cielo mi appare grigio, di un grigio intenso, corposo, come un buon vino rosso che ti lascia lo stomaco acido, se non abbastanza rodato al suo gusto. ed è proprio così che sento il mio stomaco, annodato. come al terzo bicchiere di rosso, che oramai non tollero più. l’effetto è il medesimo. acido. e virante al disgusto. le gocce d’acqua sono così fitte che sembrano fili interminabili che vanno dall’asfalto al cielo e viceversa. ma esiste il cielo? cos’è, in realtà, che ci circonda? atmosfera? biosfera? ionosfera? e stasera?

continuo a guardare e a non vedere nulla. alberi sfumati, colori appassiti di quelle che mi sembrano macchine, edifici privi di contorni, non c’è più skyline. non ci sono più io. eppure attorno a me avverto movimento, frenesia, telefoni squillanti, voci ultracorporee. appuntamenti, fatture, date, money:

 - che fai stasera?
  - e a te che cazzo te ne frega?

 polimeri colorati, videopresentazioni preregistrate su powerpoint:

- perché powerpoint? potere del punto? punto al potere? o chissà che?

ma continuo a guardare. ma continuo a “sentire vibrazioni” dietro di me. la vita non smette mai di riprodursi. mai. ma tutto questo, una volta, una cazzo di volta, avrà smesso di copulare? non avrà mai avvertito un senso di stanchezza? io l’avverto. stanchezza. mollezza. voglia di mollare. di sedermi. metaforicamente, certo, ma di sedermi. girare sull’off:

 - ma perché non spento?

c’è talmente tanta frenesia e mancanza di tempo che adesso vanno di moda gli “audiolibri”. ma che cazzata è? dovrei comprare qualcuno che legge per me? magari mentre sono in macchina e vado al lavoro? “l’estate era noiosa dove sono cresciuto. Passavo lunghi pomeriggi a passeggiare sognando la grande città … mentre il parroco in bicicletta pedalava trafelato per raggiungere in tempo il campetto dell’oratorio, dove, di lì a poco un pallone avrebbe preso a rotolare nella polvere che avrebbe cambiato colore alle scarpe e alle magliette dei partecipanti all’evento in scena”, e tutte queste parole intrise di ricordi, sgorganti dalla voce dell’attore in voga al momento, mentre sei in fila sul grande raccordo anulare e ti scappa una bestemmia?

- ed il piacere di rileggere una frase che ti ha, magari, emozionato?
 - rewind!
 - e se volessi sottolinearla?
- non puoi!
 - ma vaffanculo!
 
e continuo a guardare. immerso nella placida follia di creare un momento iniziatico e magico solo per me:

- e che te ne fai?

già che me ne faccio se non l’accordo sul roteare impazzito delle lancette dell’orologio? se mi fermo non sono forse perduto? non vengo assalito da una cancrena parassitaria di inutilità? non mi faccio schifo?

love me two timeI’m gona away

jim morrison non ha precorso forse i tempi?
organo, solo nella mia testa. solo per me. e musica e sogni e chitarra e love me two time girl

no. non voglio smettere di guardare la pioggia. nel frastuono perverso dell’ufficio che coagula vite spente e ingenerose verso il miracolo che le ha messe nel vorticoso mondo che vivono. non voglio smettere.  voglio essere anarchico. uscire dalle leggi della fisica. voglio migrare nella metafisica. essere mefistofelico. bruciare e non morire. semplicemente rinascere. riappropriarmi dell’evento iniziale, piangendo a dirotto, con la pelle bluastra, avvizzita, stremata dallo sforzo di valicare la porta vaginale che mi immette nel mondo dei vivi. ma non ero già vivo? dipende dalle correnti di pensiero. se aderisci al pensiero scientifico o teologico. se  hai voglia di discuterne in parlamento. votare a favore o contro. se non fai incazzare il papa. basta una legge a definirti un “essere vivente”? o la parola di dio? o tutte e due insieme? chiedere la tua opinione? tempo sprecato. oggi della tua opinione non frega un cazzo a nessuno. del resto siamo una democrazia adulta. perché fino a ieri era minorenne? fanciulla? incapace e inabile? no, no. non ci siamo. adesso vado e dico la mia. anzi meglio. apro un blog e la scrivo la mia e vediamo come va a finire. se non la cambio la testa a questa massa adiposa e scivolosa che non ha più riferimenti. take me spanish caravanyes i know you can … se parliamo e scriviamo in troppi non è come se non lo facesse nessuno? non abbiamo tempo. ecco l’idea: l’audioblog. da sentire in macchina, mentre vai al lavoro:

- e se quella frase mi piace? mi procura vibrazioni positive?>
 - rewind!
 - e se volessi stamparla e attaccarla in camera da letto?
 - non puoi!
 - e se volessi  copiarla e mettermela come sfondo sul desktop?
 - non puoi!
- ma vaffanculo!

la pioggia scema.
io sono scemo.
la vita dietro di me continua imperterrita. fax, email, giroconti bancari:

- che fai stasera?
- e a te che cazzo te ne frega?
until the end.

Pomeriggio al lavoro, in una pioggia che si inocula nella primavera segnata già da dieci giorni sul calendario dell’anno …
di quale anno?
e che importanza ha?

giovedì 4 settembre 2014

ASSOLO


 

chiedimi  perché. adesso.

in questo lurido momento, mentre piangi lacrime di coccodrillo. che colano dalle tue pupille livide e splendenti, luccicanti, bagnate. splendida e coriacea, colpevole, guilty. rabbrividendo nella corrente endogena che spira vorticosa nella tua spiritualità infranta delle tue regole autodeterminate, e, per questo, ancora più cogenti. invalicabili.  profondamente realiste. almeno fino ad oggi.

chiedimi perché adesso.

mentre tiri su la sottana di seta nera a ricoprire il  tuo corpo esaltato ed esultante fino ad un attimo fa. sedotto e vinto nell’orgia terapeutica sgorgata d’incanto nel battere di ciglia che hanno serrato dolcemente occhi in idolatrico abbandono.

chiedimi perché, adesso, in questo lurido momento.

mentre ti siedi in fondo al letto e cerchi d’innalzare di nuovo lo sguardo, perso nel fondo dei tuoi pensieri non più incantati ma di nuovo alla ricerca della logica che comanda la tua ragione, sempre bilanciata e tesa all’equilibrio universale, con moti e tempi scanditi da regole divine, verso di noi.

chiedimi perché.
mentre le lacrime versate hanno reso arida la fonte da dove provengono; e asciughi quelle che ancora rigano il tuo viso con il dorso della tua mano, gentile quando la stringo.

chiedimi perché.

ma non ti risponderò.

coagulerò i nostri sentimenti così diversi in questo momento. è questo quello che farò; e li assorbirò, centrifugandoli, per farne colare fuori uno unico. indivisibile. fruttato. dionisiaco. un frullato che berremmo assieme. tutti e tre. come una pozione. come un’emozione. come una visione. come una perversione.

si, è questo quello che farò.

ma non ti risponderò.

tu, però, chiedimi perché.

martedì 2 settembre 2014

CERTE NOTTI

Certe notti, quando il dolore fisico derivante dall'alterazione dei tuoi valori biologici standard diviene insopportabile resti lì, inerte, nella luce artificiale della tua stanza da letto, nel silenzio che è simile ad un ronzio nella tua testa, nell'incapacità di sopraffare le fitte malefiche che attraversano il tuo corpo, nella metastati degenerativa che senti diramarsi in ogni singolo centimetro della tua pelle.
E vorresti non essere più umano ... Vorresti avere la capacitá di sapere non ascoltare il dolore ... Isolando la mente ... Purifucando i lamenti in un mantra positivo ...
E mentre l'orologio segna il tempo, le dieci, le undici, mezzanote, l'una, le due ... Ti rendi conto che nella malattia tutto assume un contorno diverso, soffice, lancinante, lento ...
Ti alzi, cammini, bevi, torni a letto, accendi una sigaretta, penetri in pensieri profondi, come una trance ... E poi ricominci ... In un vellutato isolamento, in un dolore che sale e scende come se fossi su di una giostra in un folle luna park privato.
La testa fra le mani, le smorfie di dolore, l'andirivieni dal bagno ... Di nuovo le fitte ... Una pausa ... Un mite sollievo ... Di nuovo una smorfia ...
Cerchi non sai bene cosa ... Ti sdrai ancora sul letto ... Dura un momento, forse un ora, forse meno, chissà ... Speri che qualcosa di trascendente accada, o più semplicemente che i farmaci assunti abbiano un cazzo di effetto sul tuo fisico debilitato, inerte, passivo.
E prendi coscienza della tua vulnerabilità di essere vivente temporaneo, sedotto dalla vita e solo nel dolore ... Massaggi il tuo corpo ferito sperando di cadere in un sonno comatoso che allontani almeno momentaneamente il malessere da te ... Distaccandolo, come l'anima che abbandona il corpo nel momento finale ...
Finchè, stremato, ti abbandoni all'inevitabile ... Aspettare ...
Certe notti sono infinite ... Certe notti non vorresti averle mai vissute ... Certe notti, pur nella vetta di un dolore lancinante, ti fanno comunque apprezzare maggiormente la vita ...

martedì 12 agosto 2014

TRIBUTO A ROBIN WILLIAMS

GOODBYE VIETNAM ...
ieri la mia amica Annalisa ha postato questo ideale epitaffio per Robin Williams e mi è piaciuto molto, tanto ... Forse è il miglior saluto che si poteva concepire per uno degli artisti più significativi del nostro tempo.

Good morning vietnam, 1987- Golden Globe, L'attimo fuggente, 1989, Cadillac man, 1990, Risvegli, 1990, Hook Capitan Uncino, 1991, la legenda del re pescatore, 1991- golden globe, Toys, 1992, Mts Doubtfire, 1993, Jumanji, 1995, Piume di struzzo, 1996, Will Hunting genio ribelle, 1997 - premio oscar miglior attore non protagonista, l'uomo bicentenario, 1999 ...

Oltre 50 film in carriera, di cui quelli sopra citati per me i migliori in assoluto ...
ci ha fatto ridere Robin, da quando in bianco e nero vedevamo MORK e MINDY in piccoli televisori in cucina alle sette e venti prima di cena ..
Ci ha fatto piangere Robin, quando si spegne nella scena finale dell'uomo bicentenario ...
Ci ha fatto pensare Robin, quando veste il ruolo del professore ne l'attimo fuggente ...
Un attore straordinario, una persona eccezionale ( pagò tutte le costosissime cure di Christopher Reeve, alias Superman, quando rimase paralizzato cadendo da cavallo e non aveva più i mezzi per farlo) ...
A volte la vita reale non è così sfavillante come può far sembrare il red carpet ... Anche le persone con un immenso talento sono fragili esseri umani, e come tali vivono ...
ma non serve stare qua ora a fare retorica ...
ringrazio idealmente Robin Williams per avermi regalato emozioni guardandolo sullo schermo e per aver sempre proposto un messaggio di buoni sentimenti e amore per il prossimo ...
Ed è così che continuerò a guardare i suoi film ... Ridendo e piangendo ... Riflettendo sul senso della vita ...
GOODBYE MR VIETNAM ... NANO NANO ...

sabato 9 agosto 2014

MIXOFOBIA

La "mixofobia" è una reazione altamente prevedibile e diffusa alla stupefacente, terrificante e snervante varietà di tipi umani e di stili di vita che si incontrano e vengono a contatto fianco a fianco nelle strade delle città contemporanee, non solo in quelle zone ufficialmente proclamate (e per questo motivo evitate) "quartieri violenti" o "strade malfamate" , ma anche nelle "normali" (leggi: non protette da " spazi di interdizione") aree di residenza.

ZYGMUNT BAUMAN - il demone della paura

NORMODOTATI

Ogni tanto mi capita di guardarmi attorno ...
Ogni tanto mi capita anche di pensare ...
E ogni volta c'è qualcosa che non mi torna ...
Viviamo in un apparente organizzazione societaria di cosidetti normodotati, considerando tutti gli altri eccezzioni che confermano la regola.
Eppure mi capita sempre più spesso di riflettere sul fatto che queste paventate eccezioni sono, invece, le uniche capaci di cose eccezionali, fuori norma direi.
Così che i presunti normodotati sembrano essere quelli che secondo la nostra strumentale considerazione dovrebbero non esserlo.
Apparentemente vivere una dimensione di normalità sembra escludere la possibilità che chi c'è dentro possa approcciare a qualcosa di eccezionale.
Essere normodotati sembra equivalere a camminare su di una retta che congiunge due punti essenziali: nascere e morire.
Sembra equivalere ad una vita senza scosse, priva della scintilla che crea l'illuminazione che cambia il corso delle cose.
Il normodotato, così, si appiattisce sulla sua presunta normalità e appiattito vive, aspettando.
Cosa, non sembra dato sapere.
Il non normodotato invece cerca; si ingegna; fatica; prova; fallisce; ritenta; sperimenta; vive nella frustrazione dell'insuccesso; gioisce nell'euforia del successo; percorre strade mai battute prima; arranca, ma non demorde; lotta, con tutte le sue forze.
Il normodotato si lascia scivolare sulle melliflue acque della vita; il non normodotato cerca di cambiare il corso definito delle medesime acque, mai chete dal suo punto di vista.
Persone senza gambe corrono i cento metri più velocemente di qualsiasi normodotato apparente; persone capaci di guardare oltre il muro scindono cellule ristrutturando l'entità biologica umana.
Le prime, sperimentando sulla loro pelle, permettono a migliaia di altre persone di tornare a camminare vivendo una vita normale.
Le seconde combattono malattie e guardano ad un futuro senza di esse.
E potremmo continuare ...
Eppure il portatore di handicapp e il genio sono comunque un eccezione nella scala di valori che struttura il nostro mondo sociale ...
Dov'è l'errore?
Non sarà che sono loro, invece, i normodotati ... ?

sabato 12 luglio 2014

della presunta superiorità intellettuale ...

C'hanno tanto menato i testicoli per più di quarant'anni co' la storia della supremazia intellettuale " der popolo de sinistra italico" sul resto del globo che qualcuno c'ha pure creduto a sta' storiella, vergata ad arte per i cervelli da riporto che vagano come zombies sul suolo peninsulare che hanno chiamato Italia.
Dunque, questa specie unta da un qualche spirito divino (ah, guai a dirlo...), questa specie eletta quale guida intellettuale dell'homo italicus, sottospecie e figlia, evidentemente, di un dio minore, si è arrogata per mezzo secolo circa il titolo di suprema intelligenza abitante il pianeta.
Appuntatasi da sola i gradi di generale istruttore s'è messa sotto a guidare moralmente un paese che a loro modo di vedere aveva, ha, capacità intelletive più prossime alle amebe che all'essere umano.
Sotto la stella polare della sapienza ha prodotto una sistematico indottrinamento della specie, un assedio morale ininterrotto, un profluvio di parole, scritte e urlate, una cascata di ordini perentori sul "come" "quando" e "perchè".
Una agitazione perenne sui pericoli indotti dal popolo bue, incapace di intendere e volere e dunque pericoloso in ogni tipo di manifestazione che voglia assuregere a " democratica".
Un carosello, un girotondo, un convegno, un'adunata continua sotto il segno della Grande Conoscenza sconosciuta a tutto il resto della popolazione.
Insoddisfatta dei confini limitati della pur bella penisola, hanno poi allargato i confini, con la pretesa di insegnare ai gretti abitanti dell'occidente del pianeta la Via Giusta.
E così via.
Per fare questo, ovviamente, hanno dovuto occupare tutti i posti di rilievo della giovane democrazia italiana, imberbe e quindi inabile a sostenersi con le gambe proprie.
Ecco, dunque, nascere la Corporazione Sinistroide, una galassia composta, oltre che dal Partito, dai giornali, riviste, spazi televisi, scuole, teatri ed oggi, internet, summa del teorema libertario/egualitario su cui si basa tutto il Pensiero Incriticabile.
Pochi eletti, autoincesatesi del titoli di Migliori hanno posto le basi per creare una formidabile Società Democratica che vivesse libera e felice sotto le Loro Regole.
Nel frattempo, nel Partito, alcuni hanno iniziato ad avere dei dubbi sulle qualità dei compagni e sulle loro idee, mai abbastanza rivoluzionare.
E visto che i posti da sedere erano pochi, hanno scomposto la galassia in sottogalassie, ognuna con un credo leggermente diverso, ma, beninteso, sempre Supremo rispetto alla brodaglia popolare incosciente.
La Grande Esplosione ha prodotto una guerra fra le intelligenze supreme, che si è combattuta a forza di slogan, idee partorite in brain storming fuori poratata dei più, in avveniristiche location e basate su ricchi menù per rifocillare lavori di straordinaria fatica.
Le battaglie, che verranno celebrate nei futuri libri di Storia contemporanea, non hanno avuto tregua: al grido di " ne resterà soltanto uno", le mitiche menti hanno mietuto vittime illustri lungo il cammino per celebrare il Migliore fra i Migliori.
...
L'Itaglia di oggi è il frutto delle perseveranza dei supremi nel cercare di affermare, in maniera inenequivocabile, il loro Pensiero: il Nulla.
Il Pantheon delle meraviglie è composto da nomi altisonanti, di cui si sono lette le gesta su tutti i giornali/ telegiornali/programmi tv guida ... Inutile elencarli ... Sono sulla bocca di tutti ...
Le Supreme Intelligenze sono liete ora di mostrare al popolo bue il risultato del loro pensiero guida: una stratificazione desertica di valori, un ceto politico incompetente, dirigenti apocalittici, una scuola distrutta, un economia asfittica da un lato e dall'altro in mano ai grandi fondi di imvestimento stranieri, un plumbeo cielo all'orizonte.
Grazie, per aver illuminato poveri dementi in cerca di se stessi.
Grazie, per aver lastricato strade fatte di polvere.
Grazie, per aver indicato la via estera alle nostre, quelle si, migliori menti.
Grazie, per aver denigrato per tanti anni un popolo, dandogli continuamente dell'idiota.
Grazie, per aver dato certezze ai nostri figli.
Grazie, infine, per aver fatto sprondare il Bel Paese, nella sabbie mobili tedesche.
Supremazia ideologica, la più grande balla del secolo ...