sabato 11 aprile 2015

Cosa mi resta se non l'amore

Mi affanno a percorrere la mia strada avendo sempre un obietto davanti da cercare di raggiungere. Mi sveglio, al mattino, e mentre cerco di rendermi presentabile per affrontare quello che resta della mia vita sociale il mio dovere già mi attanaglia, perfido e voluttuoso, imperativo, cogente, ineludibile.
Mi immergo nel traffico e vorrei essere altrove mentre la radio gracchia qualcosa che non ascolto più da tempo oramai; sbraito contro qualcuno che non conosco pur se mio prossimo e parente di dna, poi timbro un cartellino che mi assicura un pasto, un vestito, una vacanza e tutto quello che posso acquistare perso nella spirale del consumo ad oltranza, del bisogno di possedere, del nuovo ora, cercando di sublimare un vuoto silente.
Infine torno, sempre affranto, compenetrato e vinto dall'insostenibile convinzione che ci debba per forza essere qualcosa di migliore di questa frenesia che mi corrode, seppur patologica in questo secolo, confuso e abbattuto fra bollette, assicurazione, pay per view, scadenze improrogabili,  necessità varie, pranzi di lavoro e cene con amici, aperitivi solitari, mostre impedibili e spettacoli da prenotare, macchina da cambiare, moto da aggiustare ... 
Ieri sera, dopo aver cenato nel mio posto preferito sono rientrato a casa e immerso in un silenzio irreale mi sono messo alla finestra fissando il buio della notte ... ed ho iniziato a cercare il suo volto in quell'indefinito spazio etereo dove brillano stelle ... ed ho preso ad  immaginare un suo sguardo compiacente, una sua carezza detergente ... nell'istante esoterico ed incantato nel quale i suoi occhi hanno incrociato i miei nel ristorante tutto è sembrato meno oscuro ... divenendo infine chiaro nella trasfigurazione dell'alba dietro i vetri ...  cosa mi resta se non l'amore ...

martedì 7 aprile 2015

Libertà di espressione

Sono rimasto molto colpito dalla polemica che si è innestata dopo lo striscione esposto allo stadio Olimpico il giorno della partita Roma-Napoli, nonchè, oggi, dalla chiusura della curva sud per una giornata per quello stesso striscione.
Che questo fosse un paese dove si manifesta ogni forma di idiozia è cosa oramai consolidata; che questa degenerazione delle capacità razionali avesse oramai raggiunto tutti i gagli della presunta società italiana mi giunge comunque come una sorpresa.
Quello striscione, fatto entrare per la per essere precisi nonostante lo stuolo di forze armate che presidia gli stadi italiani dove si dovrebbe manifestare uno spettacolo, non arrecava nessuna offesa, semmai una considerazione.
Discutibile, questo senza dubbio, ma pur sempre un pensiero su un comportamento, nulla di più e nulla di meno. Non una parolaccia, non un ingiuria, nè, tantomeno, la tanto discussa e vituperata, nonchè subito dimenticata, discriminazione territoriale.
È, senza ombra di dubbio, inelegante esprimere un giudizio su come una madre affronta il dolore della scomparsa del proprio figlio, su come cerca di sublimarla, di renderla, per quanto possibile, meno dolorosa.
Ė, senza ombra di dubbio, inopportuno giuducare il prossimo tuo in un contesto così intimo, così intenso, così fragile.
Ma resta pur sempre un giudizio.
Esporlo in un contesto di stadio nè fa questo un reato?
Tutte le penne di questo paese in confusione totale si sono prese la briga di commentare e giudicare; persino il presidente della FGCI, certo sig. Tavecchio, ha espresso il suo dolore per i quanto accaduto.
Oggi, puntuale, "pe nun sapè nè legge e nè scrive" come si dice da questa parti hanno chiuso la curva, così il pensiero dei pochi che hanno scritto lo striscione è divenuto il pensiero di tutta Roma.
Quindi, se ne deduce, che la libertà di espressione non è più accettata in questo strambo paese. I soloni della chimera del "giusto" hanno sentenziato: Vilipendio!
Mi viene da ridere.
La Signora che ha perduto il proprio figlio merita rispetto, ma tutto questo baccano non l'ha rispettata affatto, nè, tantomeno, chiudere metaforicamente la bocca a qualcuno gielo farà recuperare.
Scendiamo ogni giorno un gradino nel rispetto di noi stessi accettando che pochi determinino cosa possono dire o non dire molti.
I signori giornalisti, le presunte autorità intervenute, questi "capitani" della morale pretendono di imporre il proprio pensiero, nella presunta libertà di espressione sancita dalla nostra costituzione.
L'equilibrio che dovrebbe regnare in queste occasioni non appartiene più alla nostra società, oramai incapace di difendere diritti acquisiti e sacrosanti.
Ognuno di noi ha avuto un pensiero su questo fatto; bè, questo pensiero non è gradito se non conforme ai giudici di cui sopra.
Domani, quando vorreste esprimere un giudizio su di un fatto, guradatevi attorno prima ... Ci poterbbe essere nelle vicinanze un capitano della morale che potrebbe sanzionarvi ...
Buona giornata ...