sabato 19 febbraio 2011

LA DIMORA DELL'ANIMA

[...] ma io sono troppo grande e troppo superiore è il destino per cui sono nato, perché io possa rimanere schiavo del mio corpo. Esso, ai miei occhi, non è altro che una catena che avvince la mia libertà. Perciò oppongo il mio corpo ai colpi della fortuna, perché si arrestino contro di esso; ma non permetto che, attraverso di esso, giungano a ferirmi. Questo corpo è tutto ciò in me può ricevere danno. In questa dimora esposta ai pericoli abita un animo libero. Giammai codesta carne mi spingerà a sentimenti di paura, o alla finzione, indegna di un uomo onesto; giammai mentirò, in omaggio a questo misero corpo. Quando mi sembrerà giusto, romperò ogni rapporto con esso. Ma anche ora, che siamo legati insieme, non siamo soci in parti uguali: l'animo rivendicherà a se ogni diritto. La sua vera libertà è il disprezzo del corpo [...]  (SENECA - LETTERE A LUCILIO)
Rileggendo questo passo della lettera n. 65 mi sono soffermato un momento a riflettere  sul significato che queste parole oggi hanno in rapporto alla nostra società dell'Immagine, dove il Corpo è il Totem della perfezione e delle possibilità. Il corpo non più come contenitore dell'animo umano ma come rappresentazione dello stesso. Una metamorfosi costitutiva dell'essere, che appare, quindi è. Un corpo perfetto, da rendere immune allo scorrere del tempo, per rappresentare quello che si è. Modificabile, modellabile, deturpabile, in omaggio alla bellezza. Il bello non più come concetto astratto ma pratico. Il corpo come mezzo per un fine, come appagamento dell'esistenza.  Forse è vero che corriamo velocemente incontro all'apogèo della nostra civiltà, il punto di non ritorno. Forse è vero che ci stiamo rendendo schiavi di un materialismo corrotto, dove il bene non è più comune, ma individuale e monetizzabile. Forse è vero che la voglia di possedere ci ossessiona più di ogni altra cosa. Forse è anche vero che finisce tutto qua, e questo non è un passaggio intermedio. Ma fermarsi comunque per un istante a considerare che la vera libertà è il disprezzo del corpo e che un destino superiore possa attenderci non può farci male, anzi. Un disprezzo filosofico, concettuale... un distacco. Io sono, esisto, e per farlo utilizzo il mio corpo, che mi è stato dato per percorrere un cammino. Occorre volergli bene, certo. Accudirlo, tenerlo al riparo, controllarlo, soddisfarlo. Ma tutto questo passa per il nostro spirito, che è la causa per il fine della vita. Il corpo è materia, che seppur modellabile tale resta. La nostra immagine dovrebbe sempre passare per quello che noi siamo e non per quello che visualizziamo, perché, in fondo, tutti gli esseri umani hanno la stessa medesima composizione.
Non siamo soci in parti uguali; pensiamoci.

martedì 15 febbraio 2011

a TAL AL MALLOUHI

L'uomo è perituro. Può essere, ma periamo resistendo, e se il nulla ci è riservato non facciamo che sia giustizia. Facciamo, anzi, che sia ingiustizia.
Agiamo in modo da meritare ai nostri occhi e a quelli altrui l'eternità, e contro il timore che tutto alla fine si annienti, timore cui la più robusta fede non può impedire di insinuarsi nell'animo, lottiamo con tutte le forze della disperazione, agiamo in modo da renderci insostituibili, imprimiamo agli altri il nostro suggello e la nostra cifra, nella sola maniera in cui ciò è possibile, cioè dandoci all'universo.
Ognuno sia in tutti e tutti saranno in lui. Vivere veramente è darsi. Chi si da si perpetua. Mescoliamo il nostro spirito agli altri spiriti, alimentiamo con nostro il loro dolore, risvegliamo con la nostra le loro inquietitudini perché si destinino al dolore, alla coscienza della vita, perché più soffrano e, più soffrendo, salgano a più alta e luminosa coscienza, a più pura e intensa vita.
Se morendo usciamo per sempre dalla nostra vita, usciamone non dimissionari, ma destituiti. (SENANCOUR)
Ho voluto riportare queste bellissime parole di Senancour per dedicarle a Tal al Mallouhi, una studentessa di diciannove anni, e anche un blogger, che è detenuta del 27 dicembre 2009 in una prigione dei servizi segreti siriani, e che è stata definitamente condannata a 5 anni di carcere per "cooperazione con un paese straniero". Lo ha reso noto il Syrian Observatory for Human Rights, con sede in Gran Bretagna, secondo il quale la Corte Suprema siriana è un tribunale speciale che non offre garanzie processuali. L'accusa è quella di aver trasmesso informazioni all'Ambasciata USA al Cairo. Secondo, invece, le organizzazioni per i diritti umani, la ragazza sul suo blog criticava solo alcune restrizioni alla libertà di espressione attravesro le sue poesie e, sembra, che sostenesse la causa palestinese. Dal giorno dell'arresto, dopo una persquisione nella sua casa con tanto di sequestro di materiale (libri, dvd, telefono cellulare), i suoi genitori e amici non hanno avuto più alcun contatto con lei.
In Siria l'evento non è stato isolato, anche altri giovani sono stati arrestati per aver parlato di libertà e democrazia su blog e o forum.
In Siria, dal 1963, è al potere il partito Baath, che vieta ogni opposizione politica, in quanto considerata illegale (compresa, ovviamente, la critica).
Tal al Mallouhi non leggerà mai queste parole, ma possiamo farlo noi. E possiamo fare in modo che il messaggio di libertà trovi sempre uno spiraglio per tramandarsi e resistere nei posti nei quali le più elementari forme del vivere civile vengono oppresse e sistematicamente represse con la violenza. 
 "Se morendo usciamo per sempre dalla nostra vita, usciamone non dimissionari, ma destituiti"  è un invito a tenere sempre viva la nostra coscienza, lavorando giornalmente, con il nostro piccolo esempio, affinché chi ha voce la possa usare quando è necessario far conoscere. Senza urlare, senza dover necessariamente replicare alla violenza con la violenza. Un messaggio che rechi con sé la consapevolezza di "essere" e non di "dover essere".
Un augurio. Una speranza. Un invito.