venerdì 24 novembre 2017

ANA - NON DIRE NULLA


(SERIE ANA - EPISODIO UNDICI)

Qué es poesia?,
dices mientres clavas
en mi pupila tu pupila azul;
Qué es poesia!
Y tù me lo preguntas?
Poesia ... eres tu

Alla sua domanda rispondo così, con questi versi che mi tornano in mente d'improvviso, letti in una raccolta di poeti di lingua spagnola, credo, anche se non ho la minima idea di chi li abbia scritti; altro non ricordo.
Mi guarda con una dolcezza infinita, poi mi accarezza nel cuore di questa notte che sembra perfetta per noi due, posando infine le sue labbra sulle mie in un tocco leggero, quasi impercettibile; mi sorride, chiude gli occhi, li riapre, sembra prendere fiato per dire quello che vuole dire, anche se è perfettamente conscia che lo so anche io quello che sta per dirmi.
Se due rette parallele si incontrano in un punto chiamato infinito quel luogo ipotetico può essere solo rappresentato dall'amore, su questo non ho più il minimo dubbio; che l'incontro generi un nuovo teorema non posso dimostrarlo, né credo sia possibile.
La strada è deserta, le flebili luci dei lampioni sembrano bagnarla, gli alberi ai suoi fianchi le fanno da cornice, mentre le macchine parcheggiate conferiscono profondità a ciò che vediamo: un De Chirico sconosciuto da battere all'asta per milioni di euro.
Mi guarda di nuovo dopo la sua apnea; una lacrima percorre il suo viso; posso ascoltare il suo cuore in tumulto.
- non dire nulla, ti prego. vai e non voltarti, segui il tuo destino. non voglio che tu mi veda piangere. ti amo, ti amo come non ho mai creduto fosse possibile, come ho sempre sognato. vai e non voltarti. quando quella notte i nostri occhi si sono incontrati ho avuto subito chiara la sofferenza cui andavo incontro rivolgendoti la parola, ma non potevo non farlo. ti amo e ti amerò per sempre, anche se è così difficile da spiegare: sei la mia droga, il mio credo, la mia fonte di vita, sei ragione e sentimento, passione e ideale, l’altra metà del mondo, il sorriso che mi ha riportato in vita. vai e non voltarti, non voglio che tu mi veda piangere. ti ho aspettata e ti ho incontrata e ogni minuto che ho passato con te è stato così denso e vivo da ripagarmi. è stato fantastico. ma ora vai, non trattengo più le lacrime. se c'è un prezzo da pagare per aver avuto il privilegio di vivere tutto questo accetto di pagarlo, i soldi li ho. ti faccio dono il mio amore Ana, di tutto l'amore che mai credevo di poter essere capace di provare. fanne tesoro. ora va, ti prego, senza dire nulla. si, sto piangendo, sono solo un uomo Ana, solo un uomo che ama una donna ...


giovedì 23 novembre 2017

ANA - DELIRIO & SPIRITUALITA'


(SERIE ANA - EPISODIO DIECI)


Ana mi telefona e mi dice che ha mollato il ragazzo e che vuole vedermi; io le dico "mi dispiace", ma sappiamo entrambi che sto spudoratamente mentendo. Mi da un appuntamento assurdo, all'una di notte devo andare a prenderla in un posto ancora più assurdo dell'orario, al Serpentone del Nuovo Corviale alla Portuense, noto per il palazzo lungo un chilometro, emblema e delirio di un certo tipo di architettura contemporanea (credo sia degli inizi anni 70) tesa all'agglomerazione delle più disparate individualità fluttuanti dell'enorme e desolata periferia romana; è li ad una festa, dice, pur se fatico a immaginarla in un qualunque appartamento di quel posto, ma essendo curioso per natura e non essendoci mai stato per nulla al mondo mi perderò questa opportunità.
Sono le undici ed un quarto, non conoscendo la strada per arrivare in quel posto remoto accendo subito il pc per cercarla; studio la cartina, la memorizzo ed esco. Opto per arrivarci dal GRA, ma confondo l'uscita e mi perdo; percorro così una strada illuminata ma deserta, finché non mi imbatto in un tipo fermo accanto ad una macchina sulla strada; mi fermo e gli chiedo se ha la minima idea di come arrivare dove devo andare: in un raro colpo di culo mi dice che sono molto vicino e mi indica la strada più breve e sicura per arrivare. Bene, gli dei sono con me, è di sicuro una serata propizia penso mentre mentalmente annoto tutto quello che mi sta dicendo il loro portavoce sul pianeta terra.
Quando dalla strada mi si appalesa il serpentone cado subito preda di uno stato ansiogeno, dovuto al buio, all'ora, al deserto che percorro, all'allucinante struttura che sfila alla sinistra del finestrino della mia macchina. Mi fermo in un piccolo spazio a ridosso di quello che sembra un marciapiede e la chiamo; è l'una di mattina meno dieci minuti. Mi dice che è in strada, più avanti; riparto in una specie di catalessi protettiva e dopo due minuti che sono sembrate due ore la vedo che mi cammina incontro: sembra tranquilla mentre agita la mano per farsi notare, come se ce ne fosse bisogno visto che non c'è l'ombra di un essere umano, o qualcosa che gli si avvicini, in giro. Entra in macchina sorridendo, per prendersi gioco di me, credo, visto che sa benissimo quanto possa essere agitato nel trovarmi lì, nel posto più lontano dalla mie fantasie sul dove rivederla dopo tutto questo tempo.
Mi dice di andare a casa sua, che è stanca, che la festa era una palla, c'erano solo gay amici del suo amico gay, cioè lei era l'unica donna biologica ed è stata ignorata per tutto il tempo che è restata la; non so perché ma la cosa non mi sorprende.
Dopo circa quaranta minuti trascorsi in macchina in una specie di trance emotiva derivante dal non sapere cosa dirci arriviamo sotto casa sua. Spengo la macchina ed accendo una sigaretta, mi stringo nel giubbotto per il freddo e poi la stringo a me. Lei appoggia la testa sulla mia spalla e ce ne restiamo lì, abbracciati, muti, con pensieri diversi.
Ana sta correndo incontro al suo destino, indecisa sul da farsi, ma volenterosa, Ana sa fare tante cose,  ma secondo me non ne sa  fare una  veramente bene. Giochicchia con le sue capacità, si trastulla, sperimenta, ma non riesco a vedere nelle cose che fa un tocco di  genialità, di estroversione.
Non sembra capace di rendere unico quello che crea, forse è troppo proiettata su di  lei, forse dovrebbe  aprirsi di più con  il mondo che la circonda, o forse più semplicemente la sua visione è proiettata in una dimensione che non  riesco a  percepire, come se fosse occultata da una nube sempre sul momento di schiarirsi; ma riuscirà nel suo intento, ne sono sicuro.
E' comunque in questi inspiegabili momenti che sono veramente felice, averla vicina e lontana nello stesso folle momento, sull'onda del soffio leggero che percorre il mio cuore quando la stringo a me, caduco e saldo senza soluzione di continuità pur se apparentemente immortale.
- sono proprio felice di vederti. I suoi grandi occhi neri esaltano  il suo viso bianco, vampiresco.
- sai non è stato un gran ché con lui. ero certa che mi avrebbe coinvolta di più. mi piaceva molto. I suoi capelli sembrano come impazziti sulla sua testa, sembra una medusa, una nera medusa andalusa.
 - abbiamo passato bei momenti ma la situazione non decollava. Le sue braccia scoperte sembrano quelle di  un lottatore.
 - poi persa nell' eremo in cui mi sono cacciata mi sono ancora più depressa. Le dita di entrambi le sue mani calzano anelli d'argento.
- e volevo vederti. parlarti. sentire la tua risata. passare qualche ora con te. ora lavoro, in un locale nuovo. faccio quattro serate a settimana. mi servono soldi. Le sue gambe che escono dalla gonna corta  che indossa mi ricordano donne di altri tempi. Sono robuste, volitive.
- e tu?




lunedì 20 novembre 2017

ANA - APPUNTI SUL MIO DIARIO


(SERIE ANA - EPISODIO NOVE)
           

Tutto sembra muoversi e restare fermo nello stesso tempo con Ana; è una considerazione banale, me ne rendo conto, ma per quanto mi sforzi non riesco a farne una migliore ora. Gli accadimenti della vita vanno accettati per come vengono, cercare di modificarli forzando le situazioni mi è sempre apparso un inutile quanto vanitoso sforzo; ognuno di noi su questa terra deve compiere un suo percorso prestabilito, e quando le strade da percorrere non sono più parallele non resta che prenderne atto.
Certo, per quanto mi riguarda mi rode il culo, ma sinceramente tutto ciò è anche abbastanza divertente: la vedo una volta ogni tanto e ogni tanto ci facciamo delle magnifiche scopate; quello che resta è buono per riempire le mie giornate vuote o le depressioni post notti alcoliche.
Provare un sentimento per qualcuno resta a volte una necessità non sempre procrastinabile all'infinito, anche a costo di soffrirne; può essere sufficiente del resto anche solo idealizzarlo, facendo finta di aver incontrato la donna che hai sempre desiderato, per perdersi nel fuoco fatuo della magnificenza di quello che potrebbe essere. Adularsi nella sontuosità di un rapporto ineguagliabile, perdersi nell'estasi catatonica del tutto per lei: si penso che l'amo, ma poi, nella realtà dei fatti, me ne dimentico spesso. Poi mi ritorna in mente, ma subito dopo torno a sentirmi solo; poi sto bene con lei, poi che cazzo dai, poi quell'insieme di cose che non si riescono mai a spiegare, poi che cazzo si crede di essere, e poi, e poi, e poi ... Credere sempre di avere un'altra possibilità, questo è realmente importante; se per sopravvivere agli tsunami che ciclicamente scuotono la tua anima già irrequieta di suo ti aggrappi al primo legno che trovi sparso nell'oceano del tuo piccolo mondo, beh è umano, no? Ora intanto per me è importante, quindi devo cercare di tenerla vicino, quando finirà e avrò bisogno di un'altro legno per tenermi a galla il fato me lo farà avvistare fra le onde alte e fredde; quello che conta è non lasciarmi annegare.
Un'altra possibilità, sempre e comunque, fino al giorno che  il mio culo brucerà all'inferno, pur se anche là potrei avere la mia possibilità; questo non devo dimenticarlo mai.
...

Ana è depressa, vuole stare sola, quando la sento al telefono è intrattabile, penso che live sarebbe anche più virulenta, infettiva se mai ciò fosse possibile. Mi racconta di essere insoddisfatta, di non piacersi più; un altro giorno mi dice che forse parte, un altro ancora che forse ha bisogno di una relazione stabile con. Ieri mi ha propinato la storiella che forse si isola troppo, che forse dovrebbe cambiare; sembra che quando mi parla dia voce ai miei pensieri piuttosto che ai suoi. Forse siamo troppo simili, per questo non può funzionare: lei sembra la versione femminile di me, e questa cosa mi destabilizza in un modo che non riesco nemmeno a descrivere, anzi a volte sinceramente mi terrorizza.
...

Oggi mi ha chiamato per dirmi che ha conosciuto un tipo e che lo sta frequentando da qualche tempo. Volevo dirgli "pensi che non lo sapevo?", ma me ne sono astenuto, la conversazione sarebbe divenuta gargantuesca, impossibile da gestire telefonicamente, se non altro per i costi dei nostri rispettivi gestori telefonici. Mi ha raccontato di lui, ma questa parte voglio subito dimenticarla, quindi non me la scrivo, sperando che quando rileggerò questa pagina non ne avrò il minimo ricordo. Mi ha anche detto che vorrebbe vedermi, per parlarmene; io gli ho risposto che in questo momento la mia agenda è molto fitta (chissà perché ho usato questa frase così formale, mah ...), ed ho chiuso la telefonata assicurandogli che troverò un paio d'ore per vederci; lei mi ha salutato facendomi le fusa e dicendomi di volermi bene, per quello che vuol dire a questo punto della nostra storia.
Ora sono qua che rimugino indisturbato sugli ultimi accadimenti della mia vita, cercando di rimescolare le carte predittive del mio futuro, appeso alla sottile speranza di lasciarmi alle spalle le scorie radioattive di questo ultimo periodo, né felice né infelice: transitorio, ripetitivo, noioso ed evanescente.
I will survive ...
           


venerdì 17 novembre 2017

ANA - CERTI GIORNI NON FINISCONO MAI


(SERIE ANA - EPISODIO OTTO)
           
Dopo due mesi di conversazioni telefoniche nel cuore della notte, fissiamo un appuntamento per andare a pranzo da qualche parte; giugno è alle porte e preannuncia un estate con temperature insopportabili.  
Alle undici sono da lei, a Porta Metronia, quartiere San Giovanni, parcheggiato di lato dove è posteggiata la sua auto, così le manterrò il posto per quando torneremo, altrimenti rischiamo di dover girare un ora per cercare un parcheggio.
Scende dopo una ventina di minuti che sono li, e seppur questa cosa di dover aspettare mi fa incazzare molto oggi mi lascia del tutto indifferente; mi saluta radiosa, deve aver dormito almeno quattro ore penso, ed io ricambio accordandomi sulla sua stessa nota emozionale.
Partiamo senza una meta precisa con lei alla guida (mai e poi mai mi lascerebbe guidare il suo gioiello) e fra amenità varie finiamo in un posto nell'alto Lazio, al confine con la Toscana; mentre cerchiamo di comprendere dove siamo un cartello con la scritta "agriturismo" ci libera della necessità di prendere una decisione su dove dirigerci per mangiare.
Dopo un paio di chilometri di strada sterrata percorsa a passo d'uomo per non compromettere l'assetto già di per se instabile della sua triumph finiamo in un grande spiazzale circondato da alberi che proiettano sulla strada bianca lunghe ombre; ne scegliamo uno per parcheggiarci sotto, quello più lontano dall'entrata di quella che probabilmente era una fattoria ora riconvertita, appunto, in agriturismo, anche se non c'è nessun'altra macchina. Mi dice di andare a chiedere se possiamo mangiare, mentre si accende una sigaretta appoggiandosi allo sportello della macchina togliendosi, nel contempo, il piumone tenuto nel viaggio percorso senza capotte.
Entro, chiedo, ottengo un tavolo e sono di nuovi fuori; mentre mi dirigo verso di lei un brivido di eccitazione inizia a farmi vibrare come una corda di chitarra da flamenco; ed eccola li, superba, estatica, invitante.
Un lungo  bacio le da la risposta che cercava, poi le sue mani iniziano a profanare i bottoni dei miei 501 neri mentre le mie accarezzano le sua cosce nude; poi le alzo il vestito, lei si gira senza dire nulla e in una frazione di eterno è a gambe larghe, piegata in avanti con le braccia tese sul cofano della macchina. Inizio a prenderla da dietro, con colpi regolari, ritmici; ho la testa all'indietro. Di fronte a noi c'è un grande prato, nel mezzo di due colline,  con tanti alberi intorno; sarà mezzogiorno, abbiamo un tavolo prenotato in questa parte di mondo e ora stiamo prendendo un aperitivo all'aperto. Adesso mi accompagna nel movimento, si lascia cadere verso il cofano, si rialza,  si volta a guardarmi, cerco di aumentare il ritmo aggrappandomi ai suoi fianchi,  i colpi diventano feroci, affamati, violenti, fermati alla fine dall'eclissi solare che oscura i miei occhi placando l'adrenalina in circolo nelle mie vene, conducendoci nell'eden terrestre di cui solo Adamo ed Eva hanno avuto il privilegio di godere, come la Sacra Bibbia ci insegna.
Nell'etero silenzio che all'improvviso avvolge il luogo mistico nel quale ci troviamo si alza, si abbassa il vestito ed infine si volta, mi bacia, mi abbraccia e come attratta da un angelo sospeso sopra di noi inizia a fissare l'azzurro denso del cielo, tappezzato da rade nuvole, bianche, come anime pure.
 Dentro Ana mangia con una certa voracità, mentre io la guardo sorseggiando un ottimo vino rosso d'annata; ha una pelle bianca, candida; i capelli sono arruffati e le cadono davanti gli occhi, che guardano in alto mentre rumina la carne favolosa che abbiamo ordinato per secondo.
Brilla di  una luce propria, particolare, morbida, ed io assorbo ogni singola goccia di questo giorno, partito bene dal risveglio, dell'ottimo umore di entrambi, disponibili, carichi, generosi, a briglia sciolta.
Dopo, nel giardino dietro la fattoria, ci teniamo per mano passeggiando, parlando a voce bassa ammiriamo estatici l'infinito gustando fino all'ultima goccia di quest'incantesimo che siamo riusciti a creare.  
Al ritorno le luci della città ci appaiono all'improvviso come un set cinematografico in cui stanno battendo l'ultimo ciak.
Un bacio lussurioso mi invita a salire al primo piano.
Certi giorni, per fortuna, non finiscono mai.


giovedì 16 novembre 2017

ANA - UNA DIVINA COMMEDIA

(SERIE ANA - EPISODIO SETTE)

Non stiamo insieme, ci frequentiamo, se così si può dire, quando abbiamo tempo, quando ne abbiamo voglia, quando il nostro istinto ci conduce nel medesimo posto, quando i nostri ormoni diffondono il loro richiamo, quando la voglia di vederci estirpa da noi il tarlo della razionalità.
Presi dalle nostre abitudini, dalle nostre imprese, dalla brevità dei nostri giorni, dal lavoro, dal bisogno di riposo, dalla caducità dei nostri sentimenti, da quel che passa per le nostre sinapsi deteriorate,  dalla necessità primordiale di dover resistere per poter vivere un altro giorno ancora, magari solo un'altra ora.
Avvizziti dalle nostre fobie, dalle allucinazioni momentanee,  da sogni assurti a ragione di vita; destabilizzati dai nostri lunghi silenzi, dal troppo ridere, dalla scarsità di soldi; esasperati dai nostri film, dalla nostra colonna sonora, dalla solitudine da praticare come religione; emozionati e vinti dai tramonti ammirati alla finestra, dalla pioggia che batte sul finestrino della macchina; zavorrati dal nostro orgoglio, dalle nostre certezze, da quello che vogliamo; avvinghiati come ad un salvagente al mangiare, al bere, al fottere, al dormire.
Vivi, o credendo di esserlo, perché in fondo chi può dirlo di "essere vivo"?
Proiettati al raggiungimento della perfezione, o forse dell'imperfezione, assertori della bellezza come perfezione e dell'imperfezione in quanto umani; egocentrici, maniaci, depravati, dissoluti, indisponibili al compromesso, al servilismo come mezzo di utilità, nauseati da ogni forma di potere, estranei ad ogni tipo di ortodossia precostituita, passiamo qualche ora insieme, per lo più la notte, la nostra vera ed unica casa.
Ossidati dai miei interminabili e futili monologhi,  devastati dalle sue distorsioni della realtà, resi instabili dai troppi drink,  profondamente incerti sul numero dei suoi anelli, estenuati dalle discussioni sui suoi capelli neri che non capisco come pettina, se mai li pettina, sulle sue magliette una sopra all'altra, sulle sue sigarette, sulle sue braccia muscolose, sull'adrenalina che mi scatena quando le sono vicino.
Enigmatici, esoterici, messianici, apocrifi, medium inconsapevoli, quantistici in realtà parallele, superstiti dell'epopea sumera, afflitti dai nostri innumerevoli conflitti, morti e risorti ogni maledetta notte ... vivi, o credendo di esserlo, perché in fondo chi di noi può effettivamente dirlo di "essere vivo"?

martedì 14 novembre 2017

ANA - TI AMO


(SERIA ANA - EPISODIO SEI)

Mi telefona un giovedì sera, è estremamente loquace, piacevole. Poi mi tira un'esca, mi parla di una certa festa che si svolgerà domani dalle sue parti, un centinaio di km dalla cittàeterna, Terni per la precisione.
Mi dice che è una cosa fica; io rispondo che si, potrebbe essere una cosa interessante. Mi dice anche che però effettivamente è lontano da Roma, e che forse è meglio se ci vediamo in un altro momento. Non la vedo da un paio di settimane, esattamente da dopo la nefasta ed allucinogena domenica pomeriggio ad Ostia, così, come mi appare ovvio, le rispondo che no, per me non c'è un problema, che si, si può fare, dai, cento chilometri per vederla mica poi sono dodici ore in miniera ...
Riesco a vedere il ghigno sul suo volto dall'altra parte del telefono, come se una forza misteriosa mi avesse teletrasportato fino a dove si trova in questo esatto momento: e in effetti è lì, bella, satanicamente bella. Gli dico "dai, ci sentiamo domani" e chiudo la conversazione trasfigurando il suo medesimo ghigno sul mio viso; avendo soddisfatto l'appetito del mio bulimico ego attacco alle spalle "a sud di nessun nord", esagerate pagine adatte all'ios appagato del momento.
Il giorno dopo è contrassegnato dall'esasperata frenesia di vedere trascorrere velocemente le ore che mi dividono da lei, ma il tempo, così come lo concepiamo noi, procede indipendentemente dalla nostra volontà di accelerarlo o rallentarlo, pur, se, tuttavia quell'alieno di Einstein ha teorizzato una certa relatività ristretta. Comunque la sera arriva, e verso le nove e trenta, dopo una interminabile doccia e una accurata scelta della camicia, come sempre rigorosamente nera come i jeans e gli stivali, in total black cioè, alzo le vele verso Terni, anche se mai e poi mai avrei immaginato di andare a trascorrere un venerdì sera in quella città, ma tant'é. Come compagno di viaggio ho scelto Vasco: ho dietro cinque cd. Accendo una sigaretta e lascio scivolare il disco dentro l'hifi: quanti anni hai stasera? quanti me ne dai bambina? Lascio che la notte copra i miei sentimenti, pur se non voglio che li soffochi;  è dolce, e così lascio il finestrino aperto per metà; lascio dietro i miei dubbi; lascio dietro le mie incertezze; lascio la frizione e il viaggio ha inizio.
La chiamo quando svolto a destra dove un cartello indica "centro", e così finisco in un isola pedonale, mi dice di non muovermi, che arriva; e poco dopo eccola manifestarsi sulla sua decappottabile bianca che sorride: l'amo, si, mi sembra chiaro che l'amo. Mi abbraccia e mi bacia, e io mi sento in forma, mi sento bello, anche leggermente più alto; seguo la sua Triumph con gli interni neri e ruota di scorta sul bagagliaio, percorriamo un paio di chilometri, poi mi indica di parcheggiare, lì abitano i suoi. Lascio la mia macchina senza appeal e salgo sulla sua intrisa di carica erotica e filiamo nel posto nel quale si sta svolgendo la festa per la quale ho ricevuto il suo invito.
Il party nella realtà è una festa del cazzo, e io precipito subito nel buco nero della noia; lei, nel frattempo, ha già salutato centoventi persone, gente, credo, che non vede da un qualche tempo, e comunque sono cazzi  suoi.
Poi, al terzo negroni, fortunatamente, inizio a rimettermi a piombo; inizio a sciogliermi, così in quella lucidità artificiale che mi procura l'alcol inizio a contemplare l'ipotesi che potrei anche provare a cercare di comunicare con qualcuno. Per una qualche imprevedibile traiettoria del disegno divino che sto percorrendo mi ritrovo a parlare con la sorella, si insomma, la sorella di Ana. Mi sembra di capire che studia ingegneria, e la sua conversazione convenzionale procede, così, fra alti e bassi, più bassi che alti in realtà; allora in un lampo di furbizia trovo una scusa che mi permette di licenziarmi con garbo da quell'inutile spreco di tempo e vado di nuovo al bar.
Mentre porto alle labbra il mio quarto negroni inizia a balenarmi l'idea che forse è meglio che me ne vado. Torno velocemente al posto dove ero seduto cercando di incrociare la stronza ed inizio a scrutare la sala dove sono ammassate tutte quelle inutili persone, finché non mi accorgo che è seduta dietro di me. Avvicina la sua testa alle mie orecchie intorpidite dalla musica e dal tasso alcolico e furbescamente si scusa per il party estremamente deludente, prima che io dilaghi in uno dei miei famosi e famigerati sproloqui che recito quando le cose non vanno come io nella realtà desideri; resto dunque nella la mia parte di presunto fidanzato e le dico che non importa, che la festa era una buona scusa per vederla.
Mi chiede se vogliamo andare, ed io annuisco docile. Le tengo la mano mentre ci dirigiamo finalmente verso l'uscita di questa paradossale follia che da questi parti chiamano party. Fuori la bacio, saliamo nella sua macchina; in un dionisiaco silenzio mi conduce su di una collina appena fuori città. Sotto di noi si apre una meravigliosa valle illuminata dalla discreta luce della luna, mentre un gelido ma docile vento leggero  inizia a spirare sui nostri pensieri. Sulla strada due fogli di carta si rincorrono, e quando il buio li inghiotte incrocio i suoi occhi che come lame mi penetrano; mi avvicino alle sue labbra e le sfioro con il palmo della mano, poi dolcemente l'accompagno verso me finché le nostre labbra si toccano, lasciandosi andare ad un interminabile bacio, tenero, smaliziato, avido, generoso: un bacio d'amore.
            E restiamo lì a raccontarci le nostre storie, abbracciati, scaldandoci dal freddo sempre più pungente; ridiamo, ci scambiamo carezze, complimenti, sguardi, e poi ci baciamodi nuovo, cogliendo il nostro attimo fuggente, il nostro momento, la parte che ci spetta.
            Mentre percorro l'autostrada al ritorno sorrido a me stesso come un idiota; scelgo un cd e parte "c'e chi dice no":  guarda. guarda là. guarda, la città. quante cose che ... 
            La mattina sta spegnendo la sveglia mentre  corro veloce sulla strada deserta, molto, molto agitato. Ormai lo so: l'amo davvero. 
Ritrovo questa sensazione dopo tanto tempo, e  mi inebria, mi scuote, mi attraversa l'intestino e mi esplode in testa, e poi ricomincia. E' un brivido piacevole, sessuale, sensuale, etereo. E' un lama tagliente che affetta il passato. E' il mio futuro.


lunedì 13 novembre 2017

ANA - UNA DOMENICA NEFASTA



(SERIA ANA - EPISODIO CINQUE)

E' domenica pomeriggio, e siamo in viaggio sulla via che da Roma porta al mare. Domenica pomeriggio, mah ...  E' mezz'ora che siamo in macchina, suoniamo Cerimony dei Cult e non diciamo una parola che sia una.
Il mio sguardo è pietrificato, fisso sulla strada; guardo nervoso le altre macchine, e mi chiedo perché sono qui; domenica pomeriggio, mah ... 
Ana credo che ancora dorma dietro gli occhiali scuri, è immobile; indossa un vestitino allegro, ma il suo umore è pessimo. Incrociamo semafori rossi senza soluzione di continuità, come un presagio di sventura mentre il mare  si avvicina.  Arriviamo comunque alla meta prefissata, Ostia, pur avvolti in un alone di depressione cosmica e riesco, finanche, nell'incredibile performance di parcheggiare immediatamente (mentre cerco parcheggio penso sempre ad una persona fortunata che conosco e qualche volta ho culo anch'io); scendiamo dalla macchina piuttosto avviliti direi.
Mi ha chiamato alle tre di pomeriggio e per una incredibile ed irripetibile coincidenza ho lasciato il portatile acceso; non riuscivo a dormire, diciamo che sonnecchiavo. Mi strofinavo sul letto cercando la posizione più giusta visto che per tutta la notte mi era parso di stare su una tavola piena di bozzi; ero praticamente livido, e lei sicuramente non in condizione di intendere e di volere. Le tre di pomeriggio. di domenica,  mah ...
La telefonata mi si era palesata come un positivo segno  del fato, pur se apparentemente incomprensibile, visto che era domenica, giorno di riposo degli dei. Così educatamente ho inghiottito la parolaccia che avrei dovuto biascicare come rifiuto ed gli ho detto  assurdamente di si. 
Idiota ... sei un idiota. Mentre  in macchina l'andavo a prendere me lo ripetevo come un mantra per cercare di riportare positività nei miei pensieri ancora obnubilati dall'alcol assunto nella notte trascorsa in un cazzo di posto nel quartiere Testaccio, simbolo, chissà perché, della così detta movida romana.
Ma, onestamente, darmi per tutto il tragitto dell'idiota non mi ha portato alcun beneficio spirituale, e ora che siamo qui seduti su di un muretto a guardare il mare gonfio e color cenere me ne rendo perfettamente conto.
Le nuvole basse sull'acqua sono leggermente più chiare, scaldate dall'ultimo sole che oggi i  nostri occhi vedranno, nell'assurdo silenzio che emana dalle nostre labbra che sono immobili da almeno due ore.
Dietro di noi passeggiano imperterriti replicanti, immersi nell'atavico bisogno di santificare ogni festa, che il tempo è poco, che domenica prossima chissà; e noi ci siamo finiti in mezzo. Sono centinaia, forse migliaia; e camminano ... camminano camminano ... e forse lo fanno ancora quando la lascio sotto casa. 
Litighiamo per tutto il viaggio di ritorno, vomitando il  putridume vissuto, giustamente espulso fuori da intestini intrisi dal troppo alcol della notte e dalla violenza di questa assurda e nefasta domenica, che svilisce nella penombra del giorno che sta fuggendo, per fortuna, da noi
Mentre torno mestamente a casa, nel buio che improvvisamente è calato fuori e 
dentro di me continuo nel patetico mantra di darmi dell'idiota ... 

sabato 11 novembre 2017

ANA - E COSI' SIA


(SERIA ANA - EPISODIO QUATTRO)

Riesco, non so bene come, ad ottenere un altro appuntamento con ventiquattroannidiculoeditette, Ana per la precisione.
Un secondo appuntamento,  un invito a cena; non male come idea anche se per niente originale, ma tant'è.  Certo, potevo provare a noleggiare un charter e portarla a bere un aperitivo a Parigi, per poi portarla a ballare nella calda notte di Barcellona? Certo,  poteva essere una grande e bella idea; magari la prossima volta cerco di organizzarmi meglio.
            Sono sotto casa che l'aspetto, ed eccola! cazzo! sono senza fiato ... è così bella, ma fuori dal finestrino sembra guardarmi con un aria che non so se sia completamente stupida o solo terribilmente agitata. Sale comunque in macchina, mi saluta con un bacio sulla guancia ed un languido "ciao", poi, per rompere il ghiaccio credo, inizia freneticamente a descrivermi cosa fa nella vita; anzi cerca di farlo, perché io sinceramente non è che capisca molto di quello che sta dicendo, abbagliato ed inebetito dalla sua presenza che in quel momento trascende come impalpabile e divina.
            Mentre rotoliamo a passo d'uomo in una Roma velata da una dolce notte mi sembra di capire che dovrebbe frequentare una specie di scuola superiore d'arte, ma s'incasina più di una volta nell'intercedere nel parlare, o forse m'incasino io nella ricezione delle sue parole, così alla fine credo di aver capito che non conclude in concreto un bel niente; quando glielo dico mi guarda inferocita, si inferocita è il termine giusto, ma fortunatamente la sua reazione mi fa sbottare in una grassa risata che riconduce le nostre anime in una tranquilla e rilassante ansa temporale.
               Decidiamo così di dirigerci verso San Lorenzo per cenare; come in un ulteriore segno di trascendenza trovo parcheggio fuori dal posto che lei mi ha indicato per mangiare. In un attimo ci ritroviamo seduti in un tavolo in fondo al locale, dove ci ha accompagnato una deliziosa inserviente con un forte accento campano, probabilmente una studentessa universitaria che si guadagna qualcosa lavorando la sera.
         Ordiniamo una "Cacio e Pepe" accompagnata da un vino rosso locale, che si rivela subito molto scadente ma che riesce comunque a detergere l'ansia strisciante che ci ha accompagnato fino a quel momento liberando finalmente parole non più prigioniere della formalità che le aveva ingessate nel pur breve tempo intercorso fra il ciao e l'ordine alla cameriera, permettendomi, così, di perdermi  nei suoi grandi  occhi neri, di essere rapito dal suo sorriso, dal  candore della sua pelle, dal suo gesticolare e dalla sua voce, assurta a una dolce melodia che mi permea estasiandomi.
            Mi ritrovo d'un tratto completamente nelle sue mani, come ipnotizzato; può prendermi a calci e io la lascerei fare; mentre mi parla riesco solo a visualizzarla sorridente sotto una cascata d'acqua nella più verde delle oasi che ride e gioca con me, che mi abbraccia, trascinandomi, infine, in un bacio delicato e vorace, senza fine.
            E poi, ancora, appesi ad un ramo nel verde lago sotto la cascata, e  in quel liquido primordiale vengo inghiottito da lei completamente e diveniamo un tutt'uno; in un infinita e impavida leggerezza il mondo sembra rinascere di nuovo, fra baci, carezze e corpi fusi, ansimanti, violenti e teneri, infernali peccatori in un eden dimenticato, unici, indivisibili, in un orgasmo che sta per esplodere soffocato nei gemiti di un abbraccio che ci lega, noi, io e lei ...
              Per secondo?
            La pur suadente voce della cameriera mi riporta bruscamente alla realtà: la guardo  come guarderei un'anatra parlante e pur sorridendo muovo l'indice da destra a sinistra declinando l'offerta, usando tutta la delicatezza che quell'interruzione non apprezzata al momento mi consente. 
             Ana ordina invece della carne, che mangia con ancora discreto appetito non appena gli viene servita; finiamo poi il vino, finiamo la sigaretta accesa dopo un amaro rigenerativo,  pagando al termine il conto e ci ritroviamo in strada, per finire in un altro posto dove servono drink.
            La nostra conversazione procede spedita come i miei ormoni in subbuglio nella mia pancia, tanto che credo che mentre le parlo io abbia un'aria da maniaco sessuale perché penso alle sue tette, al suo culo, alla sua bocca e chissà che cazzo sto dicendo. Infatti non passa molto che mi chiede di andare via. 
           Usciamo e le dico di guidare, un po’ perché non ne ho voglia, un po' perché sbaglio sempre strada in questa città  e così, pur se controvoglia si mette al volante.
            Mentre guida le guardo le mani, poi guardo fuori, poi ancora le mani, poi fuori e poi ancora le mani, che mi appaiono grandissime, enormi, tanto che sembrano avvolgere tutto il volante della macchina. Ho un sussulto, ma faccio finta di niente. Forse è un effetto collaterale dell'alcol, ad un certo punto vedi le cose giganti. Per una qualche ragione o come per uno strano ed irrazionale riflesso condizionato per un momento decido di guardarmi tra le gambe così per una volta potrei paragonarmi che ne so' a quell'attore  di porno molto famoso, di cui adesso non ricordo il nome, e che ha un attrezzo di lavoro spropositato, ma fortunatamente ritorno lucido e mi accorgo che siamo sotto casa sua e quindi sarà per la prossima volta.
            Saliamo?
            S A L I A M O?
       Neanche nella mia più ottimistica visione della serata ero riuscito a convincermi che mi avrebbe chiesto di salire a casa sua nel dopo cena, ma poi perché no?
           E certo che saliamo!
          L'allineamento dei pianeti che gravitano attorno alla mia stella in questa serata sembrano il più promettente segno astrale che potessi mai ricevere nella mia vita,  ma dopo un promettente inizio di riscaldamento, fatto di tutte le cose fatte al momento giusto, nel momento in cui avrei dovuto celebrare la divinità pagana cui mi stavo appellando da tutta la sera mi chiede di mettermi il preservativo. Nel silenzio che sembra calare all'improvviso dal soffitto mi rendo conto di non possedere un preservativo, e, oltre a ciò, se mai non fosse già abbastanza, non so neanche dove cazzo andarlo a prendere un preservativo; come colpito da un ictus mi lascio cadere sul letto, obnubilato dal ritmo sincopato del mio respirare mentre mi do del minchione per non aver pensato a dotarmene prima di avventurarmi nella notte con lei.

silenzio.

           Poi lei si alza, si china sul comodino di fianco al letto,  vi fruga dentro e poi la vedo voltarsi verso di me sorridendo: sul palmo aperto della stessa mano appare, come in un gioco di prestigio, un condom.

silenzio.

             Deglutisco nella sorpresa, sorrido anche io e ora tutto sembro tornato in una apparente normalità, ma, per l'appunto sembra; non avendolo mai usato prima nel tentativo di indossarlo mi manifesto come un avatar di un adolescente alla sua prima volta. Così dopo un paio di tentativi desisto e abbasso lo sguardo, inghiottito dalla tremenda figura di testa di cazzo che sto facendo, umiliante, deprimente, inenarrabile.            
            Ana mi guarda perplessa, ma nell'incantesimo che sto vivendo i suoi grandi occhi sembrano consolare i miei, appassiti e vitrei; forse mi sta solo prendendo per il culo, già forse; ma poi mi abbraccia, mi bacia, mi stende sul letto e sale a cavalcioni su di me. Inizia molto lentamente, ha gli occhi fissi nei miei. Lentamente le sue mani scorrono sul mio corpo, e io mi unisco al suo movimento, accompagnandolo, lentamente. Poi chiude gli occhi,  riaprendoli subito in una smorfia di dolore e piacere, aumentando la danza che balla su di me, senza frenesia, sciogliendo le briglie che sembrano legarci; inarca la schiena, si abbassa, mi bacia, si alza di nuovo, il ritmo adesso è una danza tribale che sprigiona adrenalina ad ogni sussulto, che si tramuta in sudore che imperla il suo viso ora angelico, lasciandosi, infine, cadere sul letto. Ora sono io sopra di lei, un bacio, due tre, e nel sussulto dei nostri corpi a contatto spingo dentro di lei tutto me stesso, mi sollevo ancorandomi alle sue mani, la guardo,  il nostro ballo ora è cadenzato, regolare; sprofondo nuovamente nella sua bocca, che  sembra inghiottirmi, sento i seni, li tocco, li mordo, li lecco e li mordo di nuovo, torno a muovermi lentamente, gli accarezzo i fianchi, poi le sue gambe si alzano, le ho davanti a me, e il mio movimento diviene violento, gira la testa, la gira di nuovo, e fradici di sudore anneghiamo alla fine nell'eruzione dei nostri fluidi corporali ...