giovedì 20 luglio 2017

AL TRAMONTO


nell’eutanasia del giorno mi ritrovo in coda sul grande raccordo anulare. la giornata al lavoro mi ha sfinito. nonostante due pasticche antidolorifiche per il mal di testa e gli unguenti morali delle mie due compagne non sono riuscito a farlo assorbire pienamente. e adesso questa sigaretta mi provoca solo nausea. basta bere la sere quando al mattino devo andare al lavoro. oggi non sono riuscito a combinare un bel nulla. per fortuna i miei due angeli che rispondono al nome di patrizia ed eleonora hanno faticato anche sulle mie carte. e per questo mi sento in colpa. è da qualche tempo che il mio rendimento è scadente. prima o poi qualcuno se ne accorgerà. anche se loro farebbero di tutto affinché questo non accada. poi il trillo del cellulare mi riporta nel mondo sensoriale terreno.
- sei in fila eh ... e sei depresso ... e alla radio ...
... passano solo canzoni di merda! 
eleonora è telepatica. mi raggiunge in ogni angolo delle mie emozioni e le fissa in frasi che sono istantanee, che mi permeano e rivitalizzano in momenti come questi.
- sai sempre cosa faccio e penso. non sarai mica una fattucchiera?
- mi dici sempre questa cosa ... diventi monotono a volte diego.
- non è stata granché come giornata.
- lo so bene. ho dovuto rifare due volte i conti dei contratti ... ti prego torna in te! lo sai che questo lavoro non mi piace, poi se devo mettermi anche a fare il tuo ... finisce che mi deprimo anche io.
- tu ti deprimi? non ci credo neanche se lo vedo.
- e già, io che cado in depressione ... mica sono umana io.
- no, tu vieni da un altro mondo.
- parallelo!
- parallelo! brava! mi sto avvicinando a passo di palombaro alla mia uscita ...
- io sono quasi a casa.
- beh, allora buona serata.
- a te, diego. un bacio.
- bacio.
 e la linea torna silente. mi accompagna solo il fruscio soffuso del condizionatore dell’aria nella mia micromacchina. la moto è in riparazione. speriamo di riaverla presto. il sole volge al tramonto. dentro di me è già buio. ho ancora nella testa dolorante il ricordo di gino. non riesco a by-passarlo. mi occorrerà del tempo forse chiederò alcuni giorni di ferie e me ne starò chiuso in casa. o forse no. è meglio lavorare.
domani, a mente fresca prenderò una decisione migliore e più razionale. forse era meglio se andavo a casa sua. in compagnia avrei avuto migliori chance di rilassarmi. oppure no.
 la fila svanisce d’incanto ad un semaforo insieme al mio corrosivo pensiero. il verde mi apre la strada. ingrano la marcia e affondo il piede sul gas. lascio dietro di me questa giornata. anche se so perfettamente che domani ne inizierà un’altra. ma sarà un altro giorno. e vedremo cosa ci porterà. ma sarà un nuovo giorno. e chissà che ...
spero che esista davvero un posto migliore di questo. te lo auguro con tutto il cuore caro amico mio.

 

OGGI C'E' IL SOLE

la corrente nell’acqua è visibile. la guardo e riguardo nel suo scorrere. maggio colora la primavera e l’acqua cheta del lago albano a castel gandolfo è percorsa da quel brivido ininterrotto come un moto continuo uniforme.
mi accordo sulla melodia che vibra dalle voci della natura e ogni tanto un refolo di vento attraversa i miei capelli, facendomi socchiudere gli occhi e rendendo i miei pensieri alieni imperscrutabili.
ne godo, immerso in questo paradiso seppur violato da immondizia lasciata da turisti (turisti?), occasionali visitatori, bagnanti, passeggiatori e da chiunque passi per una qualche ragione di qua. mi verrebbe voglia di raccoglierla. ma non lo faccio. e solo dio sa perché. quindi resto immobile e sognatore, rimuginando su fatti accaduti, ipotesi future, obiettivi, risorse, inclinazioni naturali e ogni altra cosa che viaggia nel tempospazio delle mie cellule cerebrali, noncurante di dipanarsi della vita dietro di me.
 non sono andato a lavorare. non ne avevo voglia. ho preso un giorno di ferie con una semplice telefonata ed una scusa. il mio datore di lavoro si è innervosito ma di fronte ad un lutto, seppur di un amico, non ha opposto molta resistenza. domani mi farà una ramanzina, elaborerà una lettera con la quale porterà a conoscenza dei dipendenti di alcune necessarie, nonché ineludibili, modifiche al regolamento aziendale interno e la collocherà in bella vista nella bacheca all’ingresso dove si vista, tramite badge, l’entrata e l’uscita dal lavoro. dopodiché riceverà il comitato interno dei sindacalisti, nascerà una accesa discussione e la lettera verrà tolta e sostituita con un altra pressoché identica nella sua parte focale ma diversa nella frase iniziale e in quella finale. seguirà una piccola assemblea per le comunicazioni di rito e per porre in evidenza l’insostituibile ruolo delle sigle a tutela dei lavoratori quando il padrone (padrone?) cerca di assumere taluni atteggiamenti “nocivi all’interesse generale e mortificanti nei confronti dei lavoratori”. qualcuno alla fine se la prenderà con me. altri mi sosterranno. dopo due giorni sarà tutto un ricordo e alla prossima occasione qualcun altro farà di nuovo una telefonata per assentarsi. e il gioco inizierà daccapo.
 ma oggi c’è il sole. è maggio. fa caldo. una caro amico se ne andato, suo malgrado. ed io non ho voglia di niente. se non stare qua. in silenzio. a guardare l’acqua e lo scintillio del sole sopra di essa.
ma oggi c’è il sole. ed io sono più solo. avverto una lacrima prorompere dai miei occhi lucidi e scendere lentamente sul mio viso, fin sul labbro superiore.
ma oggi c’è il sole.
e nonostante questo non mi sembra un buon giorno per morire.









mercoledì 19 luglio 2017

LA SOLITA STORIA

il funerale mi è sembrato eterno. la chiesa era gremita. morire giovani, quarantaquattroanni, profonde un ulteriore effetto lacerante nei partecipanti alle esequie. i volti degli amici erano tirati. distratti da pensieri che sicuramente volavano ai momenti trascorsi assieme a lui, prima apparente vincitore e poi sconfitto dall’alieno, per dirla come oriana fallaci, intrufolatosi nel suo corpo.
sono rimasto in fondo alla chiesa, negli ultimi banchi. non ho voluto incrociare gli sguardi dei familiari. non ne avevo la forza, né la dignità. ho ascoltato in silenzio le parole del prelato, cercandone un conforto che non ho trovato. poi sono uscito e non ho seguito il corteo funebre al cimitero per la tumulazione. non ci sono riuscito.
ho preso la moto e mi sono diretto ad un bar che ha in dote una splendida terrazza con vista sul lago albano. e li, solitario, ho bevuto alla sua salute. un drink dietro l’altro. fino allo sfinimento. con gli occhi fissi sullo specchio lacustre. ripercorrendo anni giovanili fatti di calci ad un pallone, poi gli anni della maturità ... fino a ridurmi ad una forma indefinita metaforizzabile surrealisticamente in uno straccio da pavimenti, ma inservibile.
hanno dovuto chiamare un taxi per farmi riportare a casa. non avevo neanche più i soldi per pagarli i drinks. ma sono un cliente. e poi ho lasciato la moto dinanzi all’entrata del locale, come pegno.
ora sono alla mia scrivania, con la testa in confusione e maledettamente ronzante. ho faticato ad alzarmi ma non potevo assentarmi di nuovo, avrei messo a repentaglio il mio posto di lavoro. e oggi, questo, non è altamente consigliabile, specie se hai assunto impegni importanti con una banca.
patrizia, la mia bionda collega, mi guarda con compassione e mi chiede se ho voglia di un caffé. eleonora, l’altra componente del terzetto, mi sorride affettuosa e mi elargisce una carezza sul viso. abbiamo un rapporto molto forte noi tre, che esula dal fatto che siamo colleghi.
- è dura diego, è dura. ma non avrai bevuto troppo, comunque? patrizia emana le parole come fossero un dolce soffio di vento, rinfrancandomi e avendo cura di me nello stesso momento.
- certo che ha bevuto troppo, non vedi che straccio che è?  eleonora, come sempre, è più pragmatica e avvezza a tali situazioni, che ben conosce per averle assiduamente frequentate nel suo passato da pankettona (il bere dico). ride di me e poi mi accarezza di nuovo.
- andiamo a prenderci un caffè, pronunciato non sono bene da chi, ci mette in moto come automi, o almeno a me così pare, che camminano verso la macchinetta posta al piano terra.
- hai creato un bel casino ieri, sapevi bene che siamo nel periodo di chiusura di quella grossa commessa, non potevi venire e prendere poi un permesso per il funerale?  abbaia mentre lo incrociamo sul corridoio matteo, un rappresentante sindacale che ha invano cercato di ottenere la mia iscrizione nella sua organizzazione.
- hai messo in difficoltà tutto il personale, ora ci tocca rimediare ...  continua alzando la voce affinché venga sentito da chi vuole lui.
- senti stronzo, non mi sei mai stato simpatico, e ora lo sei anche meno. se hai qualcosa da dirmi dimmela in privato se hai le palle. altrimenti resta in silenzio o la prossima volta ...
- mi stai minacciando?
- e tu?
- diego, per favore. e tu matteo falla finita!  patrizia, come sempre, prende in mano la situazione e dall’alto della sua grandissima capacità di auto controllo cerca di tenere a bada due cani che cercano di azzannarsi.
- diego è in un momento delicato, non è opportuno ora fare queste considerazioni. ci sarà tempo e modo per approfondire e comunque senza per questo doversi insultare. siamo persone civili e con una certa istruzione ...
- noi, lui non mi sembra ...
- diego! falla finita!  patrizia adesso assume il tono del comando, conferendo alla sua voce quella autorità che caratterizza il suo carisma.
- matteo, ti prego. possiamo parlarne domani? convoca una assembla e ne discuteremo insieme, civilmente, ci vi l me n te, vero diego?
- certo patrizia ...  boffonchio riprendendo il mio cammino ancora obnubilato dall'alcol in eccesso che circola nel mio sistema nervoso.
- va bene, ne riparliamo in assemblea. ma se non cambia tono ...
- adesso basta matteo. l’incidente è chiuso. torniamo al lavoro. ti prego. e non lo farò ancora per molto.
- va bene patrizia. ciao eleonora.
- ciao stronzo, sussurra eleonora, ben attenta a che non si sentita mentre gli finta un sorriso cordiale.
riprendiamo a camminare. arriviamo alla macchina del caffé in silenzio. aspettiamo che sia pronto per tutti.
- diego, devi risolvere i tuoi problemi con le rappresentanze. patrizia non riesce ad attendere oltre e inizia a farmi la sua solita ramanzina, fissandomi dritta negli occhi, accecandomi.
- non puoi e non devi essere sempre contro solo perché non li ritieni all’altezza del loro compito.
- non é che non li ritengo all’altezza del loro compito. o meglio. non è solo quello. sai bene quello che penso.
- lo penso anche io. sono d’accordo totalmente con diego. eleonora assume, come ogni volta ce ne sia bisogno, le mie difese facendo irritare ancora di più patrizia. e questo la diverte.
- tu zitta! sei come lui. siete due incoscienti idealisti e combinate solo casini!
- si ma siamo forti, vero diego?
- siamo fortissimi!
- si come ... oddio devo fare quella telefonata! torniamo in stanza.
- ecco, il dovere, il dovere ... eleonora sorride e getta il bicchiere nel bidone porta immondizie e altre cose accanto alla macchinetta del caffè.
noi facciamo altrettanto.
l’aria torna serena.
la vita continua.
addio caro amico.
che la pace sia con te.

 

 

 

 

 

martedì 18 luglio 2017

NOTTE SULL'AVENTINO

kouros ancora aleggia nell’abitacolo della mia toyota aygo color argento quando la fermo sotto casa di patrizia. ho fatto una doccia, ho messo su jeans, camicia a maniche lunghe e scarpette da ginnastica puma, rigorosamente total black, e mi sono gratificato in una cascata di profumo.
ora sono qua. scendo. ho lasciato i capelli liberi di fluttuare nella notte, liberi e leggeri. suono. mi apre. in un attimo sono al secondo piano. lei è li, sulla porta, in uno splendido versace rosso e i capelli raccolti in una coda che lascia cadere sulla spalla sinistra. un filo violetto sulle labbra le prolunga leggermente il dolce sorriso con cui mi accoglie. io non dico nulla, meravigliato e vinto dalla bellezza che riesce a sprigionare ogni volta che lo desidera. le sfioro la bocca in un bacio lascivo, di grazie per l’accoglienza, ed entro, mentre lei richiude la porta dolcemente, accompagnandola delicatamente con entrambi le mani sino al clik metallico di chiusura. 
- era ora ... mi sospira, sorridendomi enigmatica come una novella gioconda.
- sei un incanto.
- grazie. anche tu non sei niente male, risponde in un filo di voce, suadente e colmo di carica erotica.
- ceniamo fuori, in terrazzo, vero?  la faccio la domanda, pur conoscendo perfettamente la risposta.
- certo! e dove ...
- altrimenti? finisco io la frase che mi ripete ogni qualvolta dico qualcosa di scontato su di un luogo che ama particolarmente.
la terrazza affaccia sulla roma notturna, avvampata di caldo in questo inizio luglio 2008, vista dall’aventino. ha una splendida casa, patrizia, frutto di un regalo dei suoi genitori. viene da una buona famiglia partenopea, che ha trovato la sua culla nella città eterna e qui ha proliferato, raggiungendo una buona posizione nella scala sociale. ma questo, adesso non mi interessa. è lei che ha ogni mia attenzione.
il tavolino è illuminato da due splendide candele aurelia bianche, della chelsea after dark, a forma di arancia, aperte in alto con un taglio netto traversale e con il dorso striato, alla fragranza di orchidea; al centro troneggia, rigorosamente in fresco, il colli albani superiore donnardea.
la sua attenzione per i particolari mi manda fuori di testa. è tutto così organico al momento quello che propone, tutto così rigorosamente ricercato e pieno di attenzioni da enuclearti da qualsiasi altro pensiero possa attraversare la tua testa, catturandoti ed esaltandoti ogni volta in momenti continui e confluenti. ci sono anche due flute per il prosecco di aperitivo.li prendo; ne passo uno a lei, e nel chiaroscuro del terrazzo brindiamo a noi, a questa notte, a tutto quello che verrà.
- certe volte mi chiedo se merito tutto questo.
- non lo so, ma sicuramente me lo merito io.
patrizia sorride appoggiandosi con la testa contro la mia spalla, in un momento di lieve imbarazzo e in cerca di un contatto fisico. le tocco i capelli e poi la mano mi scivola sulla sua coda bionda legata da un vistoso fiocco nero. scendo, ancora, lentamente, sulla sua schiena, avvinghiandola infine a me in un abbraccio vigoroso, seppur con il solo braccio sinistro. il suo viso adesso è a meno di un millimetro dal mio e ascolto il suo tenue ansimare. un lungo momento di occhi negli occhi anticipa il bacio che sgorga veemente e fragile dalle nostre anime intorpidite e perse nell’esaltazione della nostra attrazione che viola i confini della corporeità esondando nella galassia imperscrutabile del divino.
- sediamoci.
- certo.
- arrivo in un momento.
il suo esile posteriore si allontana da me volteggiando su un paio di decolletées trasgressive con plateau e tacco alto nere, sparendo momentaneamente alla mia vista. torna in un baleno, sorridente e con un vassoio di frutti freschi di mare nelle mani. si scusa e sparisce di nuovo, per tornare ancora con un altro vassoio, contenente stavolta una "et voilà, caprese con mozzarella di bufala"; rido di gusto al gesto che fa per mostrarmi la pietanza. si siede anche lei. ora ogni cosa è al suo posto. come volutamente programmato in ogni minimo dettaglio.
- vedo che stai meglio, inizi a fartene una ragione.
- direi che sto metabolizzando l’accaduto, ma per favore, parliamo d’altro, sussurro mentre verso del vino ad entrambi e ne assaporo un sorso.
- meraviglioso!
- allora di cosa vuoi parlare?  è delicata mentre porta alla bocca la forchetta con appesa una parte di caprese.
- quello che vuoi basta che non sia gino l’argomento.
- bene. lavoro?
- stai scherzando, vero?
- certo che scherzo, cherì, declama in un filo di voce mentre sorride guardandomi caritatevolmente.
- direi più un argomento ludico, che s’intoni con la serata.
- bene, proponi.
bevo un’altro sorso di vino.
- la scelta di proporre la lascerei a te, oggi ...
e la notte procede, nei leggiadri e incantevoli refoli caldi che ci attraversano mentre ridiamo e scherziamo parlando di amenità varie. guardandoci e spogliandoci con gli occhi, giocando in ammiccamenti, in carezze e furtive frasi sibilline sul futuro prossimo che ci verrà incontro. la grappa barrique chiude la notte al tavolino, mentre un soffio leggero spegne le candele e una mano mi invita a seguirla. mi lascia dinanzi alla camera da letto. "torno in un momento" è la frase magica  che la fa sparire e riapparire in un non tempo esoterico , mentre il cd che ho scelto, jazz a mezzanotte, s’incunea nella piastra che lo riceve e lo fagocita richiudendosi, attivandosi, infine, per farcelo ascoltare. è nuda. ha lasciato solo le scarpe. la porta si richiude. la luce si spegne. i faretti alle pareti emanano un flebile, prestigioso e caldo chiarore soffuso. la notte è alle porte. sarà lunga ed entusiasmante ...

 

venerdì 14 luglio 2017

BACK TO THE FUTURE

 
... e se tutto quello che conosciamo oggi fosse stato già conosciuto nei tempi remoti che definiamo "preistorici" o addirittura ancora prima di questi?
Se veramente la conoscenza arrivasse ad un punto sommo oltre il quale non fosse possibile andare e se questo causasse l'annientamento della civiltà che l'ha raggiunta provocando la sua estinzione, cosa resterebbe a chi viene dopo se "non ricominciare"?
Se fosse che il "tempo ciclico" caro ai Maya che, di certo, ne sapevano molto più di noi su come quello che appelliamo come "universo" sia regolato, non sia altro che un continuo temporale di inizio-fine?
D'altronde nel sistema universo tutto nasce e muore senza soluzione di continuità, ovvero non sembra sussistere un benché minimo concetto riconducibile alla staticità di un persempre immoto se non esulando dalla razionalità per entrare del misterioso ed inesplorato concetto della trascendenza.
Fin dove è possibile accumulare conoscenza? E fin dove una qualsiasi forma vivente biologica razionale può spingersi nel tentativo di dare una spiegazione scientifica a un qualcosa che a tutti gli effetti appare come "infinito"?
Nel momento in cui la nostra stella si spegnerà, per restare ancorati al tempo terrestre, e ammettendo anche che l'uomo potrebbe essere in grado di spostarsi su di un altro pianeta, sarà possibile trasportare tutta la conoscenza fin lì acquista ovvero anche i materiali, nonché le persone, per tenerla in vita oppure sarà costretto a fare comunque delle scelte che necessariamente ridimensioneranno le possibilità di sviluppo ulteriore di progresso e quindi, in sostanza, dover, per forza di cose, approcciarsi ad un nuovo inizio?
Se tutto quello che viviamo fosse già accaduto? ovvero riaccadrà ciclicamente? E se così non fosse, ammettendo per paradosso che una specie possa accumulare conoscenza all'infinito, non arriverebbe comunque ad un punto tale in cui tutto è conosciuto? E sempre che questo fosse possibile, non renderebbe quella specie qualcosa simile a ciò che chiamiamo Dio?
La domanda mi sembra pertinente, ma non credo che possa avere una risposta. O no? Già, tutto sommato il back to the future fa apparire il tutto molto più razionale, sempre ammesso che quella che chiamiamo razionalità esista ...
 
 
 
 
 


sabato 8 luglio 2017

TRA IL DIRE E IL FARE

... ci sei di mezzo tu ... e niente altro ... per quanto tutto quello che è riconducibile alla locuzione "altro" potrebbe essere qualificato come scusa per non aver fatto ciò che ci si era proposti.
In questa lunga pausa di riflessione che mi sono preso sull'onda di aver raggiunto il traguardo dei cinquanta anni di vita non faccio altro, per l'appunto, che prendere nota dei miei fallimenti, che sono così tanti da riempire, ad oggi, troppe pagine del mio diario.
Nel mentre la vita segue il suo corso, frenetico nel mio caso, raramente ci si ferma a registrare quanti dei propositi con i quali l'abbiamo affrontata sono stati portati a compimento, in quanto risulta molto più facile rimodularli in corso d'opera che constatarne il mancato raggiungimento; ma arriva pure il momento in cui, volenti o nolenti, occorre prenderne atto.
Quel momento per me si è manifestato al compimento del mezzo secolo di vita, che detto così sembra una cosa enorme, ma che, in effetti, non è che sia un periodo così lungo come siamo portati a credere.
Pur tuttavia, per quanto la presa di coscienza mi abbia profondamente ferito e non mi lasci indifferente, non riesco a farmene una colpa, intesa come sforzo compiuto per aver tentato di tagliare alcuni dei traguardi che mi ero riproposto di raggiungere; probabilmente le mie qualità non erano, sono, tali da poterlo fare.
Aver compreso ciò mi porta a credere di aver comunque sviluppato un notevole senso critico su quello che riguarda la mia persona e questo calmiera senza dubbio la mia frustrazione per tutto quello che non sono riuscito a portare a termine.
Si, non c'è alcun dubbio che tra il dire ed il fare ci sia di mezzo tu ...