venerdì 24 agosto 2018

CABALA

cabala (cà·ba·la)

Dottrina ebraica diretta all'interpretazione simbolica del senso intimo e segreto della Bibbia, quale è stato trasmesso per tradizione, attraverso una catena ininterrotta d'iniziatori.


Aleister Crowley, esoterista, scrittore ed alpinista britannico, è l'esponente più noto della Magia Ermetica[27] o "Magick" come preferiva chiamarla; per Crowley La Cabala è: 

1. Un linguaggio atto a descrivere certe categorie di fenomeni e a esprimere certi tipi di idee che sfuggono alla normale fraseologia. Puoi paragonarla alla terminologia scientifica della chimica. 

2. Una terminologia multiforme ed elastica mediante la quale è possibile mettere a confronto processi mentali che appaiono diversi a causa delle costrizioni imposte dalle peculiarità delle varie espressioni letterarie. Puoi paragonarla a un lessico, o ad un trattato di religione comparata. 

3. Un simbolismo che consente a chi pensa di formulare le proprie idee con assoluta precisione e uno strumento per interpretare simboli, il cui significato è divenuto oscuro, è stato dimenticato, o è mal compreso, stabilendo le necessarie connessioni fra l'essenza delle forme, i suoni, le idee semplici (come i numeri) ed i loro equivalenti spirituali, morali o intellettuali. Puoi paragonarla all'interpretazione delle arti antiche mediante considerazioni estetiche determinate da fatti fisiologici. 

4. Un sistema di classificazione di idee multiformi, che rende in grado la mente di aumentare il suo vocabolario di pensieri e di fatti mediante la loro organizzazione e correlazione. Puoi paragonarla alla tavola pitagorica

5. Un sistema per procedere dal noto all'ignoto mediante principi simili a quelli della matematica. Puoi paragonarla all'uso della radice quadrata di meno uno, o del numero « e », eccetera. 

6. Un criterio sistematico mediante il quale l'esattezza delle corrispondenze può essere verificata grazie all'esame delle scoperte nuove alla luce della loro coerenza con l'intero corpo della dottrina. Puoi paragonarla all'esame del carattere e della posizione di un individuo in base alle convenzioni educative e sociali. 

(Fonte: Wikipedia) 

Eliphas Levi (Parigi 1810-1875), più famoso occultista e studioso dell'occultismo dell'800, nel suo scritto "Fables et symboles" del 1863, suggerisce al perfetto cabalista i comandamenti a cui deve rigorosamente attenersi. Tra gli imperativi più interessanti vi sono quelli di cercare l'infinito solo nel campo intellettuale e morale; di non ragionare mai sull'essenza di Dio; rispettare la coscienza degli altri, astenendosi dall'imporre le proprie convinzioni, anche la stessa verità; di non spezzare il giogo degli schiavi, se essi amano il giogo cui sono sottoposti (Giuseppe Gangi - Misteri Esoterici - pagg. 240-241).






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Il nostro pensiero che definiamo razionale, lo è veramente? La Cabala è un linguaggio "sorgente" a tutti gli effetti? Una matrice? Cosa conoscevano i precursori dell'attuale umanità che a noi è ignoto? Cosa spinge uomini di elevato intelletto ad approcciare all'ignoto? E questo è veramente tale? Perché se in tempi remoti qualcuno era depositario di una qualunque verità afferente l'umanità ha cercato di tramettere la sua conoscenza non in maniera palese ma occulta? Cos'è che ci sfugge? E in ultimo, perché se mai esiste una qualunque verità su ciò che in realtà siamo questa deve essere a disposizione di pochi eletti, illuminati, o come in qualunque altro modo vogliamo chiamarli?

venerdì 17 agosto 2018

IERI - OGGI - DOMANI (PLATONE )

"Se i filosofi non governeranno le città o se quelli che ora chiamiamo re o governanti non coltiveranno davvero e seriamente la filosofia, se il potere politico e la filosofia non coincideranno nelle stesse persone e se la moltitudine di quelli che ora si applicano esclusivamente all'una o all'altra non sarà col massimo rigore impedita a farlo, è impossibile che cessino i mali delle città e anche quelli del genere umano"
 (Platone - La Repubblica - dialogo - Libro V 390-360 A.C.)

"Io vidi che il genere umano non sarebbe mai stato liberato dal male,se prima non fossero giunti al potere i veri filosofi o se i reggitori di Stato non fossero, per divina sorte, diventati veramente filosofi"
 (Platone - La Repubblica - dialogo - Lettera VII 390-360 A.C.)
 
 
 
 
Rileggendo in questi giorni "La Repubblica" di Platone mi si è rafforzata la convizione non solo, questa acclarata, dell'universalità del suo pensiero ma sopratutto della sua modernità nonché, per certi versi, profeticità.
L'idealizzazione del "filosofo", di colui, cioé, che secondo Platone "vede" le idee, ovvero realtà oggettive quali il buono, il bello, il giusto e l'utile, non considerati più quindi, come insegnava invece Socrate, puri ideali, a guida perfetta di una ipotetica forma di governo priva di degenerazioni resta, nell'attuale società contemporanea, la più futuribile, nonché auspicabile soluzione per le enormi difficoltà che vivono le attuali democrazie occidentali.
L'attuale democrazia occidentale, con particolare riguardo a quella italiana da qualche anno oggetto e soggetto di un esperimento sociale di vasta portata, nella quale i cittadini sono liberi e ad ognuno sembra lecito fare cò che gli pare ovvero con la tendenza ad abbondonarsi a desideri smodati sembra proprio vivere la sua massima degenerazione (così come profetizzato da Platone nel dialogo sulla Repubblica) in quanto non più capace di esercitare un auto controllo sulle assunzioni dei ruoli dominati nei quali esplica la sua funzione, in quanto incastrata, irrgidita, in una moltitudine di  opinioni manifestate da ogni singola persona e/o gruppi autoproclamatisi tali in virtù di un qualche ideale/obiettivo da raggiungere (che Platone avrebbe definiti "filodossi" per distinguerli dai filosofi, nel senso che questi ultimi non sarebbero in grado di "vedere le idee" ma solo la molteplicità delle cose particolari).
La considerazione di  Platone delle "opinioni", ovvero qualcosa di intermedio tra l'ignoranza e la scienza, ovvero ciò che non è e non sarà, sottindende quindi che i cosidetti filodossi non sarebbero in grado di guidare una forma di governo tendende al giusto e scevra di sperequazioni sociali, seppur suddivisa in classi (Filosofi, Guerrieri, Artigiani) e questa  si è rivelata come una profezia che si sta manifestando nei giorni nostri, nei quali qualità e virtù individuali  vengono completamente ignorate nel momento della delegazione di un compito supremo quale gestire un sistema/paese a individui che non avrebbero dovuto mai assurgere a tale compito anche, e sopratutto, in ragione della loro profonda ignoranza.
Pur non volendo, come sempre Platone indica nella sua iperbole, individuare i "filosofi" quali intermedi fra l'Uomo e Dio (il Sapiente Supremo) in quanto è la stessa filosofia ad essere "intermedia" tra sapienza ed ignoranza, si appalesa estremamentre complicato afferrare il senso delle degenerazione delle attuali post-democrazie in fatto di ascesa ai sui vertici di umani che non dovrebbe trovarsi dove si trovano in quanto non pronti, adatti, per tale ruolo assumendo la conditio sine qua non di Platone quale presupposto fondamentale perché nello Stato si realizzi la giustizia è l'identificazione di filosofia e potere politico come dogma inalienabile per fa si che un sistema/paese possa funzionare nel giusto e nell'equilibrio permanente.
Forse potrebbe essere giunto il momento di riconsiderare ciò che veramente debba intendersi per Governo e Stato e maggiormente il ruolo di ognuno nella Struttura Sociale che ne deriva, che dovrebbe essere adeguato a ciò che questo è in grado di apportare in essa e non su cosa egli pensa che possa apportare (opinione), per fa sì che la profezia di Platone (è impossibile che cessino i mali delle città e anche quelli del genere umano") possa essere smentita e non solo ...