lunedì 29 giugno 2015

ROMA - MONACO DI BAVIERA - PRAGA - BERLINO - ROMA . Capitolo 3

(cronaca di un viaggio in treno avvenuto nell'anno di grazia 2006 - vedi post  precedente del 15 giugno 2015)

9 agosto Monaco di Baviera - Praga

La sveglia che puoi regolare sul telefonino è puntata alle 5 e 45. Quando suona io non la sento. G. invece ha già fatto la doccia quando mi chiama. I sacchi sono pronti. Noi pressappoco. Li carichiamo sulle spalle e chiamiamo l’ascensore. Nella hall deserta il tedesco di servizio dai lineamenti orientali ritira la chiave e poi sbiascica qualcosa in un terrificante slang anglo tedesco. Io non lo degno di uno sguardo. G. abbozza una risposta. Quello sparisce sotto il bancone e riemerge in un nanosecondo con in mano un telecomando.

- Forse vuole dietro quello che ci hanno dato quando siamo arrivati,  blatera G. leggermente indispettito.
  
È cosi.
"Ma brutto stronzo figlio di troia nano bastardo, vattelo a prendere. Sei qui, in un deserto, non devi fare un cazzo, perché ci rompi i coglioni?", verrebbe da dire, ma l’educazione che ci hanno impartito i nostri genitori ci impone di tornare in camera e, una volta giù di nuovo, tirarglielo dietro.
E così sia.
L’aria è frizzante. Il giorno ha aderito quasi completamente sulla notte. Restano solo poche sacche buie. La stazione ha pochi frequentatori. Ma tutti belli svegli. Come automi compriamo la colazionepranzo da portarci sul treno. Ed acqua.
I vagoni rossi del treno per Praga sembrano deserti. Entriamo, sistemiamo gli zaini, poi scendiamo a fumarci una canna. Mancano cinque minuti alla partenza. A G. viene un dubbio. Esce nuovamente e mi dice che sulla carrozza non c’è scritto Praga ma un’altra località.

- Nooo, non ti preoccupare sarà una stazione di mezzo, dico mentre cerco una posizione per dormire.

G. scende di nuovo. Venti secondo dopo mi urla nell’orecchio che i vagoni per Praga sono quelli azzurri in testa al convoglio. In uno spasmo violento raccogliamo tutto quello che abbiamo e iniziamo a correre in avanti. Alla prima scritta Praga saliamo, e si chiudono le porte.  I nostri cuori sfiatano per l’accelerazione cardiaca. Avevamo mezz’ora di anticipo e stavamo per perderlo.
Compiaciuti delle nostre teste di cazzo cerchiamo e troviamo un posto. Ripetiamo l’operazione di ancoraggio dei bagagli. G. calza l’auricolare dell’emmepitre.
Io mi addormento. E così, tra buone letture, dormite e qualche sms con le amicheamici a Roma scorriamo sui binari sicuri delle ferrovie tedesche.
Finché Praga non segnala il suo "benvenuti".
La stazione è piena di tossici.
Il cammino fino all’albergo faticoso.
La stanza accogliente.
La doccia calda.
Ed il letto finalmente comodo.
Al pomeriggio, al risveglio, planiamo sulla città come aquile affamate. In cerca di prede. In cerca di qualcosa che ancora non conosciamo. Ma che di lì a poco tornerà alla luce da dove era stato sepolto. First stop for drink beer.
In un saliscendi da luna park l’antico vigore e splendore praghese ci si dipana davanti in tutta la sua maestosità, finché lo splendido imbrunire non crea nuove alterazioni visive, facendo esplodere, nel profondo dell’animo, sensazioni eteree di pace eterna.
Ponte Carlo s’illumina.
I turisti sciamano.
Noi prendiamo coscienza.
Un volo simbiotico perpetuo che forse ha trovato il suo nido.


10 agosto  Praga

Accarezzare un sogno. Lasciare che seta scivoli sul tuo viso lasciando dietro se una miriade di celeri brividi, interminabili. In un oasi di piacere e pace. Ecco. Le strade  appaiono d’incanto dietro ogni vicolo e s’aprono e le percorriamo senza un contatto, leggeri e vuoti, ma calamitando ogni sospiro e sussurro che una leggera brezza ci consegna ad ogni incontro casuale, sotto un portico, sul colle del castello, sotto Ponte Carlo, a fissare lo scorrer del Moldova e delle nostre ore. Nel peregrinar divertito e senza meta. 
Nell’apprendere, comunicare, fotografare e commentare. E poi un violino. Un sax. Una fisarmonica. Arte di strada venduta in strada. E una coppia di cinesi che si abbracciano nello scoppio di un flash che sarà un prezioso ricordo. E lei che è bella. L’altra di più.
 E W.A.Mozart. Il dongiovanni. Marionette che ballano guidate da mani sapienti. E flash ininterrotti. E turisti. E noi. Casinò “24H open”, e sesso offerto agli angoli:" fick fick, pompino (a seguire hascisc e marjuana)", continua a ripetere un nero che sbuca dall’ombra come un assassino sulla sua preda, in mostra sui volantini in strada.
E questuanti proni, immobili come mimi, mentre l’Europa che conta cena sotto orribili ombrelloni ma necessari dagli scoppi improvvisi di piogge cantilenanti che cadono sulla città di tanto in tanto.
Alle 11 di sera, poi, cala il sipario. E ciò che prima era solo sussurrato timidamente diventa un’eco che si rincorre in ogni angolo e vicolo. Quelli soddisfatti del giorno tornano nelle silenziose e spoglie camere d’albergo. Mentre sulla scena irrompono i cavalieri iscritti al “sex machine museum”.
Con le loro spade affilate pronte a penetrare giovani carni, salutandole all’incontro con “ hey, guys”, e facendole scivolare sul viso la più falsa delle carezze. Cavalieri che hanno da spendere il loro bottino di guerra sudato nelle 360 battaglie dell’anno, sostenute nei loro paesi d’origine.
I pubs e ristoranti iniziano le operazioni di chiusura. Non ti servono più. Gli unici posti nella città per gli ospiti dove è possibile bere sono quelli in mano alla mafia locale, discoteche e sale da gioco, peep show e kabaret, tutti ritrovi dove il mercimonio del sesso ha una sua giustificazione.
E i cavalieri barbari si ammassano alle entrate, file di uomini con l’uccello che smania, che ha voglie, che può pagare. Per uno scalpo di cui potranno raccontare agli amici, trofeo di una guerra che non si combatte con armi, e da cui è facile uscire vincitori.
E noi lì, a guardare increduli la caduta di quello che resta della belle epoque, della Praga bohemien, dell’aristocratico motore culturale della mittle europa di un tempo non troppo lontano.
Voltiamo le spalle.
Ce ne torniamo alla room 307 dell’Abri hotel.
Strada facendo compriamo una birra da un ambulante.
Domani Praga tornerà ai sui fasti.
Fino alle 11 di sera.
E forse, anche un po’ meno.
Non piove.
E questo è molto.
Buonanotte.

Bordel pour bordel
 Moi, je préfère le métro
 D’abord c’est moins cher
 Et puis c’est plus chaud

                                   (Aragon

lunedì 15 giugno 2015

ROMA - MONACO DI BAVIERA - PRAGA - BERLINO - ROMA . Capitolo 2

(Cronaca di un viaggio in treno avvenuto nell'anno di grazia 2006 - vedi post precedente del 10 giugno 2015)

6 agosto Monaco di Baviera

È possibile restare calmi e indifferenti mentre il modo intorno a te precipita? È questa la sensazione che proviamo mentre io e G., dopo doccia e canna mattutina, cerchiamo disperatamente le chiavi della stanza. E cerchiamo. E cerchiamo. E cerchiamo. Alla fine, dopo circa mezz’ora di inutili ricerche, G. è finito addirittura a  togliere i pannelli in cartone del contro soffitto della camera mentre io sostenevo che se trovava la chiave la sopra avrei preso il primo treno per Lourdes, apriamo rassegnati la porta e, come in tutte le storie a lieto fine, la chiave è sulla porta.
Bella e fredda è lì che aspetta. Che due coglioni la recuperino. Che due coglioni la riportino nel posto giusto.
E così il nostro primo giorno in Monaco ha inizio. Sperando che abbia anche una fine.
Piove a dirotto. C’è gente ferma all’uscita dell’albergo dove siamo alloggiati. Senza ombrello. Come noi. Chi di noi due ha mai posseduto un ombrello? Se pur piccolo e non ingombrante? Ma compenetrati nella nostra parte di turisti noalpitur decidiamo di avventurarci per le strade della città.
E cosi premiamo start e la nostra playstationnonvirtuale emette i primi vagiti accogliendoci nel gioco che abbiamo fortemente voluto e programmato. Molto sommariamente. Molto nonsense
Comunque.
Alla stazione G. prende un cappuccino, o qualcosa che avrebbe dovuto esserlo nelle intenzioni di chi lo ha preparato. Io sandwich con salame, e coca cola. Con risultati  migliori dei suoi. Poi comperiamo due “blue umbrella”.
Alla fine ne resterà uno solo. L’altro risulterà smarrito e piangente su qualche panchina che ha accolto i nostri sederi affaticati dal troppo camminare. E guardare. E commentare. Dalle troppe tappe a cercare strade sulla cartina. E posti. Mentre nordiche bellezze attraversano i nostri desideri lasciandosi dietro una morbida scia di eccitazione. E strani tipi.
Durante il peregrinare ne abbiamo incontrato e fotografato addirittura uno in pigiama. Turisti per lo più. Che avranno avuto le nostre medesime impressioni guardando noi. Anche se non siamo in pigiama.
E ci ritroviamo con il naso all’insù ad aspettare che l’orologio in Marienplatz inizi lo show delle dodici, che rappresenta interrottamente dal 1700 circa. Così, almeno, riporta la guida per “un weekend” che abbiamo tolto da un ripiano in una delle rigogliose librerie in stazione termini.
Vestiti come loro. Con macchina fotografica e videocamera digitale, come loro. Mp3 e telefoni cellulari, come loro. E carte di credito, solo meno disponibili delle loro. E collegamento alla rete possibile in ogni momento grazie al portatile al seguito. Come per ognuno che lo vuole in  uno dei tanti internetcafé della città. Turisti tecnologici, se non altro.

- Saremo in grado di saper utilizzare tutto ciò? domando a G. mentre una deliziosa birra bagna labbra assetate. 
- Certo che si! 
- Certo che no ! provoco io. 
- Vedrai, vedrai come l’interconnessione globale ci sposterà da un punto all’altro dell’Europa unita
- Per fortuna, concludo.

Ridendo ordiniamo un’altra birra. Io vedo un cane verde. La pioggia adesso non cade più. Marienplatz rigurgita di gente. Le nostre teste di vuoto.

Al ritorno ripercorriamo le tappe di oggi. Rapiti soprattutto dagli splendidi paradisi disegnati da un artista di cui non ricordo il nome, ma cosa importa, dai quali ci siamo lasciati catturare e trasportare in un volo libero,  in una calda ed accogliente oasi di brasiliani sapori. E dalla favelas in mattoncini e legoblock  riprodotta in una sala del museo individuato nel nostro giro mattutino da Morrigno, un giovane artista brasiliano. Un florilegio di colori accesi e vibranti, un enorme deposito d’armi, macchine di lusso e fango, e strade barricate sulle quali domina il cristo re. Con le braccia aperte che guarda sotto. Forse pensa che sia sufficiente. A che la vita che ti è stata donata in quel posto misero non ti sia tolta prima di essere maggiorenne, non ti sia privata da sbarre, non ti costringa a prostituirti, a vendere droga, a cercare avanzi nella spazzatura.
Un filo sottile lega l’avvocato conosciuto in treno all’opera di Morrigno. Un sottile, ma resistente filo. Un messaggio, forse, che ancora non abbiamo compreso, ma che sicuramente porteremo alla luce seguendo le altre indicazioni che, inevitabilmente, si porranno davanti a noi fervidi credenti del sopranaturale, di fatti apparentemente distanti fra loro, ma con lo stesso minimo comune denominatore.
A noi trovarlo.
Giunti in camera G. sviene non appena riesce a stabilire un contatto con il cuscino. Lo rianimo dopo due ore quando esco dalla doccia. Che aiuta anche lui allo sbrinamento del cervello obnubilato dalle troppe canne. E dalle troppe birre.
La notte ci accoglie piovendo. Ma tenera e fresca. Invogliante. Raggiungiamo in fretta un ristorante argentino. Ricarichiamo le nostre cellule. Gustiamo un pessimo vino rosso spagnolo. Due rum a testa. E fumando, finalmente, una sigaretta, ci disperdiamo fra le rade persone che popolano l’umida serata bavarese.
Soddisfatti e satolli di questa giornata così lontana dalle nostre abitudini; semplice e densa di quei piccoli avvenimenti che nel nostro caos quotidiano nella città eterna passano inosservati o derisi.
Buona notte.

  
7 agosto Monaco di Baviera.

La chiave è al suo posto questa mattina. La testa apparentemente. Dopo lo stato di catalessi passato stanotte, una riga vuota la percorre da destra verso sinistra. Usciamo dopo aver controllato di aver preso tutto. Tutto quello che riteniamo ci possa servire. O solo aver dietro per sicurezza. E lentamente ci avviamo alla colazione. G. ritenta la sorte con un cappuccino. Anche io replico quello di ieri, con identici risultati per entrambi.
E poi via, nell’ecumenica atmosfera che ristagna su Monaco di Baviera. Una città buddista. In cui il tempo non ti aggredisce. Ma partecipa con te all’evolversi dei minuti. Delle ore. Della mattina pomeriggio e sera. E ti culla in un silenzio irreale per chi vive alle nostre latitudini. Un silenzio che da energia. Che ti carica. In una ninnananna dei miei primi giorni di vita.
Nello girovagare spensierato per la città ci ritroviamo schiavi senza saperlo della tecnologia che, pesantemente, trasciniamo chi attaccata al collo chi chiusa in borsa. Le cose si rincorrono rapidamente, ma slacciate dalla frenesia usuale che abita le nostre menti. Colori e forme geometriche, culi e tette, oli su tela e leoni in strada, mcdonald e two beer please, canne rollate in un parco innaffiato perennemente da qualcuno lassù, e biciclette da noleggiare che non troviamo chi le noleggia ma metà dei turisti sono in giro con quelle.
Una buona birra, anzi due, chiude la mattina mentre acqua senza soluzione di continuità cade sulle vie della capitale delle Baviera.
Ci alziamo.
Facciamo due metri.
G. vede due fantasmi. Io li fotografo.
Facciamo altri due metri.
Ci fermiamo sotto un portico che costeggia la strada.
Premiamo rewiu e guardiamo la foto. E poi di nuovo.
G. prima sgrana gli occhi. Poi ride.
Io rido solo.
E riprendiamo la marcia.
Pensiero di G.: “averli visti, beh succede, ma fotografarli ...”
Pensiero mio: “averli visti, beh succede, ma fotografarli ...”
Ma nessuna parola vibra dalle nostre corde vocali intrise di luppolo.
Nella pausa pomeridiana G. si sente un leone, mi dice mentre lavo la lunga camminata sotto la doccia. Esco dal bagno e dorme. Io m’incarto con Flaiano. E due ore serfano leggiadre fra le nostre stanche membra. Intorpidite. Esauste.
Il risveglio di G. è da leone. Doccia di sbrinatura ed giù, all’internetcaffé, visto che abbiamo dietro il portatile per collegarsi alla rete e prenotare alberghi. Ventisette minuti per capire (visto che noi, detto ieri, con la tecnologia saremmo arrivati ovunque) come funziona.
Poi l’arcano viene svelato. Chiediamo al tipo addetto a questa cosa. Spariamo verso Praga 89 email in un crescendo di eccitazione e tensione, sicuri del fatto nostro e con la testa a vagliare ogni possibile alternativa. Un’ora sudaticcia e incredibilmente lunga. Nell’attesa di una risposta. Di una speranza. Quando la navigazione si esaurisce per mancanza di credito recitiamo la parte delle persone di buon senso dicendoci che, sicuramente, ci risponderanno all’indomani. Bravi !
"Se non ci scollegavano ci facevano soci", è l’ultima frase che percepisco nell’esaurirsi delle mie pile biologiche.
Anche se vorrei ridere per quanto è vero.
Su Monaco piove.
Su di noi no.
Buonanotte.


8 agosto monaco di baviera

Rewiu è di nuovo in azione. I due fantasmi, alla luce del giorno e con gli occhi di una mente sveglia se non proprio reattiva e scattante, sono due giapponesi incartate in un qualche tipo di impermeabile.
Giro off sulla macchinetta fotografica. G. sul tasto della luce. E tutto riappare come per magia nel velo di un’esile pioggia. Strade assonnate ma vibranti di vita pur se povere di calore.
Gli uomini sembrano distanti fra loro mentre si sfiorano nella meravigliosa isola pedonale che racchiude il centro città. Condomini di un’enorme palazzo. Ma schivi e ben attenti a non contaminarsi. Lindi e sorridenti. Nel giusto peso. Con il giusto conto corrente. Macchina. E fica al fianco. Bionda. Algida. Costante. Quasi sempre seriosa. Valchirie che cavalcano l’onda del benessere e del fitness. Estatiche manipolazioni genetiche. Prive d’abbronzatura. Pallide lune in un cielo scostante, perennemente imbronciato, ma pronto ad illuminarle la scena, quando ne ha voglia, calando sul palco un tenero sole. E a noi non resta che beatificarle nel nostro personale organigramma del paradiso che continuamente aggiorniamo.
Pinakoteken der modern assorbe completamente la mattina, facendo germogliare nel nostro spirito fiori di benessere di rara bellezza. E Purezza. Nelle inarrivabili espressioni di visionari fuori tempo, luogo, dimensione.
Un ottimo caffè ci riporta sulla terra. Sono le due del pomeriggio. La città è nostra, seppur in condivisione. Ce ne fottiamo, e trascinando i piedi su marciapiedi senza una fine battiamo strade che ancora non conosciamo.
Alle tre break per una birra.
Così alle quattro.
Alle cinque.
E alle sei.
Finché l’internetcaffé non ci appare davanti a ricordarci che abbiamo ancora una prenotazione da fare. E biglietti da comprare.
Ci sono solo due risposte alle 89 email inviate.

- Beh, un po’ poche,  faccio io. 
- Beh un po’ troppe poche, ribadisce G..

Curiosi ed in attesa, come frequentatori di tavoli verdi al casinò, aspettiamo che la pallina finisca il suo giro per vedere se il colore che esce è quello puntato. Nero. Noi rosso. Altro giro. Altra attesa. Nervosa adesso, incalzante, dubbiosa e quasi rassegnata.
Nero. Bingo!
E come due cretini che hanno appena vinto la riffa sotto casa ci abbracciamo. Come dopo un gol. Nella nostra personale rivincita contro chi poi. Ma siamo felici e vogliamo farlo vedere. E ci stiamo riuscendo, visto che, finite le feste, ci restano attaccati addosso sguardi ebeti di eternauti avvizziti.

- Stampa il booking
- Come? 
- Print! No? 
- Imbecille, print che? Dov’è la stampante? 
- Bravo! print che!

Mi volto e mi dirigo verso la tipa del bancone del caffè+internet in cerca di spiegazioni, chiedendogli, letteralmente, come posso to stamp (francobollo) the booking ...
Quella mi guarda inorridita e mi chiede "what?"
Io ripeto la frase ben tre volte. Quella capisce con chi a da fare e mi chiede dove è posizionata la mia stazione.  Poi mi dice che da lì non posso stampare. Devo cambiare postazione. È bello, e mi diverto perché ci sono giorni che non capisco alcunché di quello che mi dicono ma mi esprimo in un ottimo inglese, altri invece capisco chiaramente quello che mi riversano addosso ma non riesco a mettere in piedi alcuna frase di senso compiuto o almeno ben strutturata.
G. è li che ci guarda.
Cambiamo posto. Infilo una moneta da un euro nell’apposita fessura che ci dovrebbe garantire almeno venti minuti di navigazione quando le urla di una tedescona precocemente invecchiata mi spostano di lato. Inveisce mugolando nella sua, per noi, incomprensibile lingua. Dopo circa cinque minuti, più o meno, intuiamo che quella postazione è inservibile.
Chiedo dietro l’euro.
Penso mi mandi a quel paese. Ma non ho la forza di reagire. Tanto meno G.
Domani dobbiamo andare. E non abbiamo di che dormire. 
In nostro soccorso arriva la ragazza del bar/caffè/internet/etuttoquellochec’èlidentro, e ci porge un foglio che fornisce informazioni.
E ci voleva tanto …
Riemersi stralunati da quella orgia di incomprensioni seguiamo alla lettera le istruzioni.

- Su stampiamo!, fa G.

No, nel frattempo una nuova email di ritorno dall’albergo con il quale avevamo gridato bingo ci avverte che devono spostarci in un altro posto.
Decidiamo di telefonare.
Volturano la chiamata nell’albergo che ci dovrebbe ospitare. Per uno strano scherzo del destino la conversazione fra me e chi mi risponde dall’altra parte del telefono fila via liscia e senza intoppi. Chiara.
Sarà di necessità virtù?
Non me ne frega un cazzo.
Abbiamo il booking.
G. fornisce i dati richiesti ed il numero della carta di credito. In due minuti abbiamo il nostro accredito. Inviamo la stampa. La ritiriamo dove indicato. Paghiamo 70 centesimi. E veloci come puma sprofondiamo sui morbidi sgabelli di quello che abbiamo eletto posto migliore di Monaco per bere birra.
Pizza per cena in compagnia di quattro jap. Brutte. Una meno. Io me la vorrei fare. G. pure.
Mi dispiace ma io so io e voi non siete un cazzo”,  riecheggia dal cellulare di G. avvertendolo di un messaggio in arrivo. Io continuo a guardare le jap.
Loro vanno.
Anche noi.
Su Monaco piove.
Domani alziamo i tacchi e ce ne andiamo a Praga.
Prima di dormire fantastichiamo un’ammucchiata con le quattro jap. Orientali occidentalizzate. Fiche trasversali. Bocche sapienti. Gheishe.
Adesso viene giù un temporale.
Buonanotte.


venerdì 12 giugno 2015

DIECIMILA SUICIDI IN GRECIA


E si, il numero è proprio quello, forse per difetto. Dal 2011, anno in cui ufficialmente è iniziata la crisi economica che attanaglia la maggior parte degli stati facenti parte dell'Unione Europea in Grecia, fonte Corriere della Sera (link della video intervista alla fine del post), 10.000 persone si sono tolte la vita.
Mi riesce particolarmente difficile commentare una simile notizia, sopra tutto per come è venuta fuori ed è stata accolta, ovvero nell'indifferenza generale.
Un padre il cui figlio è incluso in questo numero tragico snocciola questa cifra quasi in assenza di emozione, come se fosse in una sorta di trance ipnotica; io guardo e riguardo il video e resto senza parole. 
Non una articolo di giornale, un servizio sui tg nazionali, né, tanto meno, una qualunque forma di comunicazione ufficiale seppur, magari, in una fredda nota statistica.
A questo siamo, l'Unione nasconde le sue cifre impietose come un qualunque regime dittatoriale sparso sul pianeta, con la differenza che l'Europa non è un Paese africano o asiatico cui ai grandi stati fa comodo il dittatore di turno.
O forse è proprio così?
Gli stati vassalli della Germania oramai tacciono impauriti su quello che sta succedendo nella vecchia, cara e gloriosa Europa, come un qualsiasi affiliato ad una qualunque mafia mondiale che gode di riflesso del potere del boss ma tace di tutto quello che vede?
"Mi vergogno di essere europeo": con questa frase si chiude l'intervista al padre greco che stiamo cercando, non senza sforzo, di commentare.
Mi vergogno anche io di essere europeo, se esserlo significa guardare solo ed esclusivamente al proprio interesse, alla salvaguardia del possesso, al mantenimento dello status quo conquistato ed esibito, a discutere solo ed esclusivamente di freddi numeri su fredde slides in freddi convegni che s'interrogano sul futuro economico dell'Unione.
Nella vecchia,cara e gloriosa Europa ci sono voluti secoli per conquistare diritti per l'uomo comune, dagli albori dello Stato sociale per cui è stata combattuta la Rivoluzione Francese, passando per la Rivoluzione industriale inglese ed il Capitale di Marx, alle grandi battaglie sociali per i diritti nei primi anni del 900 e così via.
Ora assistiamo inermi ad un lento ma inesorabile depauperamento di queste conquiste, soggiogati dalla logica della multinazionali, delle banche e del "pareggio di bilancio"; inermi ed impauriti.
Diecimila suicidi  è un numero che dobbiamo tenere impresso a fuoco nel nostro immaginario, è un numero che occorrerà ampliare con i dati occulti degli altri stati dell'Unione, cercandolo sul campo, lontano dalle veline di regime imposte ai mezzi di comunicazione ufficiali.
Il depauperamento dello Stato Sociale a cui stiamo assistendo ha colpito anche noi, oltre la Grecia, la Spagna, la Francia ed il Portogallo.
L'Unione conta ad oggi 28.000.000 disoccupati, e prospettive non proprio allettanti per i nostri ragazzi.
Non lasciamo che secoli di lotte vengano spazzate via condizionate dalla "crescita zero" che ogni giorno viene sventolata sotto i nostri occhi sempre più tristi e, oramai, ciecamente circospetti ...
DIECIMILA SUICIDI ...




http://video.corriere.it/grecia-il-conto-disperazione-diecimila-suicidi-5-anni-l-ultimo-quello-mio-figlio/604464a8-0f8f-11e5-aa3a-b3683df52e95?fb_ref=Default

mercoledì 10 giugno 2015

ROMA - MONACO DI BAVIERA - PRAGA - BERLINO - ROMA . Capitolo 1

(cronaca di una viaggio in treno avvenuto nell'anno di grazia 2006 )

4 agosto - Roma

L’augurio telefonico delle sei e mezza circa di un pomeriggio intriso di sole ed aspettative è di buon riposo. Buona dormita. E così sia. G. chiude la conversazione e davanti mi passa veloce il suo viso in un ghigno beffardo e per nulla disposto ad assecondarsi … né tanto meno a farlo per me …


5 agosto Roma - Monaco di Baviera

L’havana sette imperversa lungo i corridoi del mio stomaco mentre cerco di scrivere un sms a G.: “sto a rientrà!!!! Boh”.
Sono circa le quattro e mezza del mattina e dall’augurio sono trascorse dieci ore circa ... Quando apro la porta di casa il mio mondo si capovolge riversando liquido in eccesso nel mio stomaco nella tazza del cesso. E poi coma profondo, morte apparente.
Due ore dopo il cuckoo che ho memorizzato come suoneria sul cellulare inizia la sua cantilena tirandomi fuori dal girone dei non morti.
Sotto casa G. e D. Sono confuso. Loro più di me. D. era con me. G- riceveva il mio messaggio di rientro mentre tentava di aprire la porta di casa. Con scarsi successi. Fa caldo. Lo zaino pesa. Nella macchina dal condizionatore non sembra uscire aria ma rum. Tento di non respirare ma mi sembra una follia. Scendiamo davanti ad un bancomat per prendere soldi credo, ma non posso giurare che sia andata effettivamente così. Piombo in un nuovo coma finché un fastidio nell’orecchio non mi avverte che “bisogna scendere” ; "e perché ?" mi verrebbe da rispondere … ma lo sguardo dei due davanti a me mi comunica che dobbiamo anche farlo, e pure in fretta ...

- Si potrebbe una volta, una cazzo di volta, per la precisione dico, affrontare un impegno così complesso ed articolato come una partenza per la vacanza, in  modo più consono e  meno trafelato?

- Certo che si potrebbe ... alza la voce G., piuttosto, diciamo così, contrariato dal precipitare degli eventi ...

- Se una volta in vita tua comprassi una sveglia che funziona ... mezz’ora di ritardoe devo dire che stai migliorando … 
- A che ora è il ... 
- Ora! 
- Che cazzo! …
 - Che cazzo lo dico io ... 
- E già, è un’esclusiva … 
- No ... no ... proprio che cazzo, su sbrigati ...

Alla fine della corsa ci aspetta uno scompartimento che già accoglie quattro persone. Ci hanno lasciato i posti nel mezzo. Gli zaini sono ingombranti. Anche l’alito, che permea subito la ridotta aria a disposizione di un sottile velo di putrefazione.
E finalmente le scomode poltrone (?) accolgono i bermuda a righe di G. e la mia tuta adidas nera con righe bianche ai lati.  
Io cado in un nuova coma. Però più scomodo. E meno pesante.
G. non so che faccia.
Mi sveglio dopo circa tre ore.
G. mi saluta. E cade in coma.
Adesso è lui che non sa che cosa faccio io.
Dopo circa un ora riemerge.
Io intanto ho intavolato una conversazione seria e costruttiva con una donna, che non capisco che accento abbia, seduta alla sinistra di G. Il treno sembra non avere suoni. Sembra che viaggi in una sorta di playback silenzioso. Camuffato dalle nostre parole passatempo in un luogo di ritrovo. La fame bussa alle porte dello stomaco. Il percorso ad ostacoli verso la carrozza ristorante per fortuna è breve. I panini di gomma. La pepsi calda. Venti euro transitano dalle nostre tasche nei bilanci dell’azienda trenitalia rossi di vergogna. L’unico contento sembra il cameriere. Anche senza un motivo apparente a noi sembra; però continua a fare battute alle quali nessuno ride. Uno perché, oltre a noi, il resto dei conviviali è straniero, e secondo perché a me G. proprio non fanno ridere.
Nel percorso ad ostacoli del ritorno un’anziana ed antipatica signora ci chiede di aiutarla a trasportare le sue valigie. Controvoglia accettiamo. Non per maleducazione, pigrizia, forse. Comunque. G. prende in consegna un pacco di cartone tutto incerottato. Io una valigia che poteva contenere l’anziana signora stessa.  I muscoli mi si tendono fino quasi a strapparsi. La smorfia di dolore di G. penso che appaia sul suo viso  per la stessa cosa. Percorriamo due vagoni fra gente accampata su trenitalia.com trainando, fra bestemmie, quei pesi fuori portata per gente normale che onestamente spende i suoi soldi in ricche bevute e in tutte le altre cose che comprandole commetti un reato, e che dorme poco.
Ma tant’é.
Quando la vecchia finalmente trova un posto io sono stremato. G. sta per dargli una capocciata. Non per maleducazione, pigrizia, forse. Lei si volta e dice qualcosa. Il pacco e la borsa finiscono nell’apposito spazio bagagli sopra le poltrone (?) dello scompartimento in un baleno anche se con un probabile stiramento dei bicipiti.
Grazie.
Ma vaffanculo!
E poi, come cazzo ha fatto a portare valigia e pacco fin lì? Misteri della fede ...
Ad ogni buona azione corrisponde una reazione.
E comunque. Riprendiamo posizione nei posti riservati che le effe esse ci hanno garantito con l’acquisto del biglietto per Monaco di Baviera e ci rimettiamo a parlare con la signora alla sinistra di G.
Alla sua destra una coppia in età piuttosto avanzata che brontolano da quando siamo partiti. Rompicoglioni essenziali in un viaggio. Se non altro per avere qualcuno di cui sparlare.
Riesco finalmente a comprendere che la signora con la quale interloquiamo è brasiliana, di Belo Horizonte, o almeno così mi sembra. È in viaggio con il figlio sedicenne per raggiungere la sorella che vive a Monaco. Lei a Roma. È avvocato. E ci racconta un sacco di fatti, perlopiù legati al sottobosco romano dell’immigrazione, storie di droga e prostituzione. Insomma quello con cui abbiamo più affinità. Non crediamo alle nostre orecchie mentre la conversazione si srotola piacevole fra un arresto e storie di trans, che lavorano per far mangiare fratelli, sorelle e mamme nelle lontane favelas in cui erano derisi e violentati fin da bambini.
La coppia statica e borbottante nel frattempo, per loro fortuna, è scesa a Bolzano. Dimenticando gli occhiali da vista di lui. O di lei. Boh. Si scambiavano posto di continuo. Ci dispiace. Anzi no. Non ce ne frega un cazzo. Anzi.
E dopo quel piccolo momento di soddisfazione riprendiamo i nostri discorsi profondi traslocando sul tema degli ultrà.
G., che era stato subito riconosciuto da vecchie foto segnaletiche divulgate dalla digos di Roma,  come ammetterà l’Avvocato successivamente  in un delirio di onestà, snocciola la lunga sequenza di comportamenti estemporanei venutisi a creare sin dalla pubertà per quei cazzo di colori giallo e rosso per i quali ha attraversato l'Italia in lungo e largo, isole comprese.
 Io ogni tanto mi addormento, G. ogni tanto calza le cuffie dell’emmepitre che abbiamo acquistato prima di partire, entrambi in segno di resa, mentre l’avvocato tenta di entrare prepotentemente nel guinnes dei primati parlando per dieci ore consecutive.
E finalmente, dopo un’incomprensibile partita a carte con il figlio di lei a piripicchio, si mi sembra di ricordare sia questo il nome di quel gioco improbabile, Monaco segnala la sua presenza con un cartello bianco e blu al lato destro del treno.
La brasiliana residente a Roma da sedici anni ha al seguito quattro valigie di cui  una alla vista sembra molto pesante.
Indovinate chi la scenderà?         
Saluti.
Ed un numero di telefono.

Mentre su Monaco scende una leggera pioggia che ci accompagnerà in questa prima notte bavarese.

lunedì 1 giugno 2015

CACCIA ALL'UOMO

Il Belpaese è oramai sempre più insofferente ed intollerante al problema razziale che ci sta per scoppiare in mano. L'episodio che ha visto protagonisti i Rom nella Capitale è sintomatico del fatto che occorre prendere decisioni forti in tempi stretti, oppure la gente inizierà a provare a farsi giustizia da sola.
Ho letto di tutto sulla scia di questo ultimo tragico episodio nel quale ha perso la vita una signora filippina al lavoro da noi che lascia un marito e due figli. Era ad aspettare un mezzo pubblico, assieme a tante altre persone che popolano periferie sempre più lasciate in balia di eventi incontrollabili.
Se ancora non è successo, ed io non giurerei su questo, succederà.
L'esasperazione può condurre a moti di ribellione incontrollabili, soprattutto in quei luoghi in cui il senso di protezione è latente, per non dire assente.
Giocare con le parole è un esercizio stucchevole fatto da personaggi senza qualità che detengono poteri concessi loro non democraticamente, come è oggi la realtà di un paese che non elegge più il suo leader ma gli viene imposto.
Occorrono decisioni, non i soliti caroselli televisivi fatti di appelli irricevibili da chi vive in periferie sature già di per se di problemi che si trascinano da anni.
Se non possiamo gestire certe problematiche occorre eliminarle, questo è ineludibile. Non piacerà a tutti, ma nemmeno questa situazione piacerà a tutti. E' la democrazia, o presunta tale.
Facciamo un referendum e lasciamo decidere al popolo sovrano. La saggezza risiede nella normalità, nelle difficoltà 
 che vengono affrontate quotidianamente, nelle privazioni, nelle delusioni, negli insulti che dobbiamo ascoltare ogni giorno dai personaggi che affollano radiotvgiornali, che si permettono di dire che forse non riusciamo a capire.
No, noi comprendiamo benissimo e ne abbiamo le palle piene di voi, ottusi ogni oltre ragionevole aspettativa.
Ci saranno ancora vittime che si intersecheranno con il problema razziale, e prima opio scatterà una caccia all'uomo e lì, in quel momento, la storia cambierà.
Un leader che possa essere considerato tale la storia la cambia senza che necessariamente debba morire qualcuno, pur se in una rivoluzione sociale questo accade normalmente.
Un leader, appunto.
A ciascuno il suo.
Ma noi, questo che oggi ci rappresenta, male, non lo abbiamo eletto.
Ne Renzi in idem.
E se cominciasse da lui la caccia all'uomo?