sabato 16 giugno 2018

CAPITALISMO E ROMANTICISMO NEOLIBERISTA

Il problema nella storia del liberalismo:
"... consisterebbe nel paradosso per cui la capacità di orientare le emozioni pubbliche è considerata uno dei punti di forza dei politici più in vista, ma nonostante ciò il ruolo delle emozioni non è ritenuto così importante da essere oggetto specifico di riflessione sulle forme politiche"
 (Martha Nussbaum)

... Dobbiamo riconoscere che questa trascuratezza non vale solo per gli intellettuali ma anche per i cittadini e i politici (forse sopratutto per loro). Non sembra diffondersi la convinzione che tra i propri compiti civili vi sia quello di prestare maggiore cura alla qualità delle emozioni agite nello spazio pubblico. Si potrebbe sintetizzare il problema in questo modo: si sottovaluta la funzione pubblica delle emozioni, pur ammettendo che è proprio su di esse che si esercita attualmente una parte significativa del potere politico. Col risultato, da un lato di assistere a sempre un maggior uso politico delle emozioni (basti pensare alla rappresentazione del terrorismo e degli spostamenti migratori) e, dall'altro lato, di perseverare nella convinzione che le emozioni politiche, pur così importanti, non necessitino di troppa attenzione e non vadano né studiate né orientate. C'è però un limite teorico nella tesi di Nussbaum: quel che agli occhi di un intellettuale appare come un problema agli occhi del militante politico appare semplicemente una risorsa.
Una categoria politica che manifesta alla perfezione questo rovesciamento è quella del leader. Chi altro è il leader, almeno nella considerazione che ne abbiamo nelle democrazie occidentali, se non il politico che sposta l'opinione pubblica con la sola forza carismatica delle emozioni e dell'empatia? Le democrazie dei leader si radicano in un neoromanticismo politico. L'accettazione delle necessità di un leader sembra essere, nell'era delle post-democrazie, uno dei dogmi bipartisan ...
(Paul Ginsborg & Sergio Labate - Passioni e politica pp 50-51).
...
Occorrerebbe una feroce e profonda riflessione su come oggi l'astrazione di ciò che ancora chiamiamo democrazia sia in effetti percepita. La definizione di essa come postdemocrazia usata dai due autori, di cui ho riportato un estratto del loro interessante lavoro, mi ha profondamente colpito e indotto, appunto, a dedicarmi a farla. La spasmodica necessità della ricerca di un leader che guidi un popolo verso una qualunque direzione da lui prospettata ma ha sempre lasciato perplesso e pieno di domande sul perché il genere umano tenda a radicalizzarsi attorno a qualcuno dotato di un potere di fascinazione. Non sono mai stato attratto visceralmente dalle persone che nel corso della mia vita sono assurte al potere, né, tanto meno, ho avuto un debole per una qualunque ortodossia che si è susseguita nel corso di questo tempo; non ne ho mai compreso la necessità né cosa possa restituire a chi ne diventa un adepto, ma questo, credo, è un mio grande limite.
Oltre a ciò, quello che veramente mi rende incomprensibile il dogma del leader è che nella grande maggioranza dei casi questi non sono connotati da alcuna qualità particolare, sono persone piuttosto ordinarie direi; è proprio da questo punto, credo, che debba partire l'analisi su ciò che l'attuale civiltà del pianeta Terra stia in effetti cercando. 
La mia proposta, in proposito, è in realtà una domanda: Una rassicurazione sulla propria identità?

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