lunedì 8 febbraio 2016

IL PROBLEMA CULTURALE

Questo post conclude il discorso iniziato con ESSERE O NON ESSERE e proseguito con DEL PENSIERO DOMINANTE e INTERNET; doveva essere un unico blocco ma in effetti sarebbe stato troppo lungo e dispersivo e per questo ho preferito frazionarlo in quattro parti distinte.
In proposito occorrerebbe anche rileggere il post ILLUMINARSI, dove è stato affrontato il problema emerso in Italia sulla capacità del nostro popolo di comprendere ciò che legge (quando lo fa).
Non postulo critiche in proposito, in quanto io stesso mi ritengo un ignorante che cerca disperatamente di erudirsi per quanto mi è possibile, ma sono semplici ed elementari riflessioni su ciò che sembra mi circondi.
Ho frequentato studi sociologici sia all'università che come autodidatta e mi viene spontaneo metterli in relazione con la quotidianità che vivo, sia nel mio lavoro, dove mi capita di incontrare eccellenze, sia nel mio privato, dove ho la fortuna di conoscerne altrettante.
In Italia esiste un problema culturale, come del resto altrove in occidente (non parlo del resto del pianeta in quanto non ho approfondito per ragioni di tempo, e anche di spazio nel mio intelletto, la questione in argomento); esiste e occorrerebbe affrontarlo in maniera radicale.
Il primo problema da affrontare in maniera risolutiva dovrebbe essere quello dell'istituzione scolastica; dalla riforma Gentile del 1923 se ne sono succedute diverse (inutile ora ripercorrerne la storia) e questo la dice lunga su come non si sia mai guardato ad un obiettivo strategico a lunga gittata ma solo ed esclusivamente o ponendo attenzione ai livelli occupazionali o agli obiettivi ristretti di partito o onda ideologica.
Non è una critica al mondo dell'insegnamento, nel quale ho anche diverse conoscenze a vario livello, ma una critica alla struttura in se, incapace di produrre uno zoccolo duro su cui basare il futuro della nazionale producendo una classe dirigente all'altezza delle aspettative con continuità, ovvero non solo sperando nell'eccellenza individuale ma sfornarla, invece, in modo seriale.
La guida di un paese deve essere per forza di cose basata su un sistema elitario che emerga non per mancanza di concorrenza ma su di una sana e leale concorrenza basata sulle idee che ognuno è capace di produrre, slegandola, sopratutto, dal sistema delle conoscenze e delle opportunità.
Il ricambio generazionale dei vertici deve essere più frequente, assecondando sia la velocità alla quale viaggia oggi il mondo sia i cambiamenti dei punti di vista legati, inevitabilmente, all'età di chi è deputato a proporre idee.
Le esigenze cambiano velocemente, come cambia e si aggiorna la tecnologia (di cui abbiamo ampiamente discusso); questo non vuol dire che l'esperienza non sia più un valore aggiunto, lo è eccome, ma occorre che questa sia mixata con lo sguardo rivolto al futuro che reca con se l'età giovanile.
Io ho quarantanove anni, e quando hanno discusso per affidarmi la guida di un ufficio pubblico uno dei dubbi che hanno a lungo prolungato la mia nomina era legato alla mia età: in sostanza mi consideravano troppo giovane.
Questa cosa mi ha fatto a lungo sorridere, ma poi ho dovuto necessariamente farci i conti quando ho iniziato a confrontarmi con il mondo industriale; sono rimasto sorpreso dalla loro sorpresa sia di vedermi lì dove mi avevano messo sia per le mie idee riguardo ad alcuni processi legati ai rapporti istituzione/mondo produttivo che, a mio parere, erano insoddisfacenti ed andavano rivisti.
Oggi qualcosa è stato migliorato, ma restano ancora tante cose da fare; cambiare modo di relazionarsi è stato solo un primo passo, ne restano altri, molto significativi, da affrontare.
Durante un convegno con il mondo industriale mi sono trovato a dire che si viene sempre a chiedere all'amministrazione di cambiare passo, ma quando questo si manifesta iniziano le resistenze di una comoda, seppur, a loro dire, intralciante continuità di ciò che è.
Nel question time successivo nessuno ha posto o fatto considerazioni al riguardo di questa provocazione; ciò mi ha fatto molto pensare nonché procurarmi una certa delusione.
Per migliorare come nazione occorre che tutte le sue componenti viaggino alla medesima velocità di pensiero e tutte siano disposte ad assumersi i rischi di un cambiamento, che deve avvenire in tempi rapidi; non parlo di una mano di poker, ma di progetti a media scadenza da portare a termine.
Non è più tollerabile oggi attendere domani; se una cosa occorre oggi oggi deve essere realizzata. Già i risultati di quello che viene fatto in un dato momento si vedranno in un futuro più o meno prossimo, se dilazioniamo questo tempo già nel momento decisionale gli effetti quando, e se, si manifesteranno saranno già inadeguati.
Il più grande problema occidentale è legato alla lentezza dei processi di cambiamento, che è, a tutti gli effetti, un problema culturale e non politico.
La storia del pianeta terra è stata cambiata nel corso dei secoli da menti elette e lungimiranti, ma in numero alquanto ridotto e molto,molto lentamente. Ciò che è avvenuto dopo la rivoluzione industriale inglese dell'800 sta a dimostrarlo: da quando più persone hanno avuto accesso ad alti livelli di istruzione la società occidentale ha prodotto più tecnologia di quanta ne ha prodotta per oltre duemila anni, nel corso dei quali poco effettivamente è stato fatto.
Allargando in maniera esponenziale questa base e guardando alle giovani menti non come una minaccia per il potere precostituito ma come una risorsa fondamentale per l'umanità tutta è possibile produrre effetti ad oggi sconosciuti che, per forza di cose, non potranno che essere positivi.


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