venerdì 5 marzo 2010

NYC SKYLINE

il mio fine settimana rigurgita i suoi primi vagiti mentre guardo floscio la tv sul divano. parassita. veleggiando leggero fra una moltitudine di canali. di visi. situazioni. storia. scienza. ma senza un approdo. dove calare l’ancora e rassegnarmi. a restare in casa. a mangiare schifezze. a fare audience.
masturbo il telecomando cercando un orgasmo. anche finto. simulato. finché mi ritrovo a camminare sotto enormi palazzi senza colore su di un sudicio marciapiede ghiacciato. fa un freddo cane. strade vuote e buie e neve. mentre scende la sera su questo enorme frigorifero. poi d’incanto negozi, luci, macchine, people. due ragazzine centroamericane si offrono di fronte ad un megastore mentre due asiatici contrattano animosamente su qualcosa che passa da una mano all’altra.
m’investe un’aria gelida. marina. attraverso un incrocio. mi fermo da un vecchio ambulante greco che vende panini. non chiedo. fa tutto da solo. rabbrividisco quando inonda un’enorme salciccia con una salsa che sotto la luce artificiale del suo ristorante all’aperto assume un colore grigiastro. tieni il resto vorrei dire. ma vedo che tanto non ci pensa proprio a tornarmelo dietro.
azzanno il sandwich. un cab inverte pericolosamente la marcia. la salsa cola copiosa. alzo un dito. il taxi si ferma. salgo. saluto. è pachistano. o indiano. o boh. emette suoni acuti. indecifrabili. come lui. l’abitacolo è pieno di ammennicoli e fotografie. parla come un invasato mentre attraversiamo il ponte sospeso nel buio circondati da macchine taglia xxl.
poi un crash di lamiere ci ferma. il pachistano scende. scendono mille altre persone. tra cui un avvocato. tutti si agitano. la notte oramai copre un cielo senza stelle. mi allontano furtivo. sento gridare hei…tu.. ma non ci faccio caso. corro. corro. lasciandomi alle spalle quel delirio. e rido. rido divertito. attraverso un altro incrocio. e poi ancora uno. mi accascio ansimando su di un distributore di giornali. due irlandesi del nypd mi guardano diffidenti. poi continuano a fare quello che devono. altra gente passa veloce. indifferente.
la strada è elegante. vellutata. sobria. scortata da grattacieli dove si consuma il quotidiano. e palazzi snob con portiere in livrea rossa. entro in un bar. siedo al banco. un crogiuolo di razze abita quelle luci soffuse in piccoli tavoli. una minitv manda canestri in continuazione. birra. e sono di nuovo fuori. pellegrino in questa adrenalina continua, mistica, eterea, fuorviante, debordante, catalizzatrice. in un prisma di colori, odori, facce, storie….quando all’improvviso will, grace e karen…
la luce filtra dalla finestra. la tv emana bagliori indefiniti. il telecomando è in terra. io in un intorpidito risveglio…

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